Il malfunzionamento dell’altro giorno ha messo in evidenza, se ce ne fosse ancora bisogno, che Twitter ha serie difficoltà alle proprie infrastrutture. E forse qualcosa dipende anche dai mancati pagamenti ad Amazon.
C’era forse qualcuno che immaginava che la completa capitolazione di Twitter sarebbe arrivata con in grandi eventi, come la Coppa del Mondo dello scorso dicembre, e invece. È bastato un semplice errore di aggiornamento di codice in un banale lunedì per farci rendere conto che ormai Twitter sta navigano nel mare di Internet senza motore, per inerzia. Pronto a fermarsi completamente al primo grande scoglio che ne determinerà la fine.
Guardate, non è una ricostruzione sintetica o magari legata al sentimentalismo facile, perché a Twitter ci teniamo tutti, ma è la semplice verità. A meno che le cose non cambino, e in fretta.
Ma giusto per dare un contesto più preciso, nei giorni scorsi si è scoperto che, in realtà, Twitter ha seri problemi alle proprie infrastrutture, quelle che permettono di mandare avanti la piattaforma così come la vediamo.
Nei giorni scorsi le cronache riportano lo scontro con il gigante Amazon che è fornitore di una parte dei servizi cloud di cui Twitter deve usufruire. Ebbene, Amazon chiede che venga rispettato l’accordo firmato nel dicembre 2020, che avrebbe dovuto essere strategico (c’era ancora Jack Dorsey) per Twitter, lamentando mancati pagamenti per un totale di 70 milioni di dollari.
Come ritorsione, il gigante fondato da Jeff Bezos minaccia di non pagare 1 milione di dollari di pubblicità, per il primo trimestre del 2023.
Il malfunzionamento che si verifica ormai di sovente sulla piattaforma è ormai da riferirsi ad una infrastruttura tecnica sempre più precaria e debole. Un risultato che è la conseguenza del licenziamento di quasi l’80 percento della forza lavoro di Twitter.
Qualche giorno fa, uno dei tanti ingegneri licenziati da Elon Musk descriveva Twitter come un’azienda che ormai si muove sulla base di quello che è stato fatto prima, quasi per inerzia, pronta a fermarsi definitivamente alla prima grande difficoltà.
Ascolta qui:
Curioso rilevare come in realtà Twitter sfrutti davvero poco i servizi cloud di Amazon, su cui si poggiano Twitter Spaces e poco altro. C’è da dire anche che Twitter aveva proposto ad Amazon di rivedere gli accordi, revisione che da Seattle hanno rifiutato.
Ma Twitter usa invece Google Cloud su cui poggia la quasi totalità della piattaforma, in virtù di un accordo da 1 miliardo di dollari per 5 anni. Su questo Twitter non ha chiesto revisioni e i pagamenti sono puntuali. Forse perché Google resta comunque un investitore importante e conviene mantenere buoni rapporti anche per l’indicizzazione sul motore di ricerca.
Ora, di fronte a questa situazione il commento di Elon Musk conferma che, strano a dirsi per uno come lui, di non sapere di cosa si sta parlando. Risolvere tutto con “bisogna riscrivere il codice”, vuol dire non aver idea di come sia strutturata la piattaforma. E dopo 5 mesi comincia, in effetti, a destare ben più di una preoccupazione.
Senza dimenticare che, a conti fatti, il calo dei ricavi dalla pubblicità nel 2022 è stato del 40% e non si conoscono dati oggettivi per i primi mesi di quest’anno. Ma visto l’andazzo, è facile pensare che il trend negativo sia proseguito ed è sempre più lontano il traguardo dei 3 miliardi di dollari per la fine dell’anno.