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Nuova etichetta energetica per smartphone e tablet

Nuova etichetta energetica per smartphone e tablet

L’UE introduce dal 20 giugno 2025 un’etichetta energetica per smartphone e tablet. Informazioni su efficienza, durata, riparabilità e resistenza utili per acquisti più consapevoli.

Dal prossimo 20 giugno 2025, in tutta l’Unione Europea entrerà in vigore una nuova etichetta energetica dedicata a smartphone e tablet.

Si tratta di una novità importante che avvicina i dispositivi mobili agli standard già adottati da tempo per gli elettrodomestici, introducendo criteri chiari su efficienza energetica, durata della batteria, riparabilità e resistenza.

Una misura attesa, per la verità, che punta a promuovere scelte di acquisto più consapevoli e a favorire la sostenibilità nell’uso quotidiano della tecnologia.

Vediamo insieme di cosa si tratta.

Etichetta energetica anche per i dispositivi mobili

L’adozione di una etichetta energetica nasce da una precisa esigenza, vale a dire quella rendere più trasparente per i consumatori la qualità dei dispositivi mobili dal punto di vista energetico e ambientale.

Fino ad oggi, smartphone e tablet venivano valutati principalmente in base alle loro caratteristiche prestazionali, come velocità, memoria, fotocamere, mentre elementi come la durata della batteria, la possibilità di riparazione o la resistenza fisica passavano in secondo piano.

Nuova etichetta energetica per smartphone e tablet
Nuova etichetta energetica per smartphone e tablet

Etichetta energetica, quali i dispositivi mobili

Con la nuova etichetta, invece, saranno questi aspetti a essere messi in evidenza, permettendo agli utenti di compiere scelte più informate.

La nuova normativa riguarda smartphone, tablet e telefoni cordless con schermo fino a 17,4 pollici. Sono esclusi i dispositivi con schermi flessibili e i tablet basati su Windows, che saranno oggetto di regolamentazioni specifiche future.

Cosa indica la nuova etichetta energetica

Proprio come per frigoriferi o lavatrici, l’etichetta mostrerà una classe di efficienza energetica che va dalla A (massima efficienza) alla G (minima efficienza). Ma ci sarà molto di più.

Le informazioni riportate comprenderanno:

  • autonomia della batteria, indicata in ore e minuti per ciascun ciclo di carica completo;

  • durata della batteria nel tempo, ovvero quanti cicli completi il dispositivo può sostenere mantenendo almeno l’80% della capacità iniziale;

  • indice di riparabilità, che valuta quanto sia facile riparare il dispositivo;

  • resistenza a cadute, testata su urti accidentali;

  • protezione da polvere e acqua, specificata tramite l’indice di protezione IP;

  • QR code, che rimanderà a una scheda più dettagliata nel registro europeo EPREL.

Oltre all’etichetta, i produttori dovranno rispettare nuovi criteri di progettazione ecocompatibile, tra cui garantire batterie più durevoli, assicurare la disponibilità di pezzi di ricambio e rendere accessibili gli aggiornamenti software per almeno cinque anni dalla fine della vendita del modello.


 

 

 

 

smartphone nuova etichetta energetica
Smartphone nuova etichetta energetica
  1. Scala delle classi di efficienza energetica da A a G.
  2. La classe di efficienza energetica di questo prodotto.
  3. Durata della batteria per ciclo, in ore e minuti per ogni carica completa.
  4. Classe di affidabilità in caduta libera ripetuta.
  5. Durata della batteria in cicli.
  6. Classe di riparabilità.
  7. Grado di protezione dall’ingresso di acqua.

Quando entrerà in vigore

La nuova etichettatura sarà obbligatoria a partire dal 20 giugno 2025.

Da quel momento, tutti i dispositivi immessi sul mercato europeo dovranno riportare la nuova etichetta, pena l’impossibilità di essere venduti legalmente nei paesi membri.

Un cambiamento che riguarda non solo i grandi produttori, ma l’intero mercato dei dispositivi mobili.

Perché è stata introdotta

Alla base della decisione c’è un obiettivo chiaro: promuovere la sostenibilità e favorire l’economia circolare.

Ormai lo sappiamo bene, gli smartphone e i tablet sono diventati oggetti di uso quotidiano. Ma la loro produzione, il loro consumo e il loro smaltimento generano un impatto ambientale significativo.

Secondo la Commissione Europea, rendere i dispositivi più efficienti, durevoli e riparabili può ridurre sensibilmente l’impronta ecologica, oltre a contenere la produzione di rifiuti elettronici.

Fornire informazioni trasparenti significa anche ridurre l’obsolescenza programmata. E incentivare i consumatori a considerare la longevità come un fattore decisivo, non solo le caratteristiche più appariscenti.

Cosa cambia per i consumatori

Per i consumatori la nuova etichetta rappresenterà uno strumento in più per valutare meglio la qualità del prodotto, andando oltre le sole specifiche tecniche.

Scegliere uno smartphone o un tablet non sarà più solo questione di fotocamere migliori o schermi più luminosi. Dal 20 giugno in poi si potrà capire anche quanto durerà la batteria nel tempo, quanto sarà facile ripararlo in caso di guasto e quanto resisterà agli imprevisti della vita quotidiana.

Inoltre, avere informazioni più chiare potrà anche aiutare a risparmiare. Infatti, un dispositivo più efficiente e duraturo richiede meno sostituzioni e meno spese nel tempo.

Etichetta energetica dispositivi mobili, svolta culturale 

L’introduzione della nuova etichetta energetica per smartphone e tablet è molto più di una questione di trasparenza commerciale. Potrebbe essere davvero una svolta culturale.

Siamo di fronte ad un cambiamento di paradigma nell’approccio alla tecnologia, orientato non solo all’innovazione ma anche alla responsabilità ambientale e sociale.

Dal 2025, ogni scelta tecnologica avrà un peso ancora più concreto sulle nostre abitudini e sull’ambiente che ci circonda.

Una trasformazione apparentemente poco incisiva, ma che promette di cambiare il modo in cui valutiamo i dispositivi che ci accompagnano ogni giorno.

[L’immagine di copertina è stata creata da Franz Russo utilizzando il modello di intelligenza artificiale generativa Chatgpt-4o]


Un pesante blackout ha colpito la Spagna e il Portogallo

Un pesante blackout ha colpito la Spagna e il Portogallo

Un pesante blackout ha colpito in modo particolare la Spagna e il Portogallo, in misura minore il sud della Francia. Pesanti disagi ai servizi digitali e alle infrastrutture. Adesso si cerca di scoprire le cause tra guasto o attacco cyber. Intanto sarebbe meglio investire su infrastrutture resilienti.

Nella giornata di oggi, 28 aprile 2025, un blackout di grandi proporzioni straordinarie a colpito la Spagna, il Portogallo e in misura minore il sud della Francia, lasciando milioni di cittadini senza elettricità e generando disservizi estesi, soprattutto nell’ambito dei servizi digitali e delle infrastrutture critiche.

Cosa è successo

Secondo quanto riportato da Red Eléctrica Española, intorno alle 12:30 ora locale, la rete elettrica spagnola ha subito una brusca oscillazione di potenza, causando un crollo della domanda da oltre 25.000 MW a circa 12.400 MW nel giro di pochi minuti.

Il blackout ha interessato l’intera Spagna continentale, il Portogallo e alcune regioni del sud della Francia come l’Occitania.

Il blackout ha avuto un impatto immediato sulla Rete e sulle telecomunicazioni. In molte aree spagnole e portoghesi la rete mobile è andata completamente offline, rendendo impossibili sia le chiamate vocali sia il traffico dati.

Le connessioni fisse hanno subito blackout o forti rallentamenti, con pesanti ripercussioni su attività commerciali, media, e servizi online essenziali.

Un pesante blackout ha colpito la Spagna e il Portogallo
Un pesante blackout ha colpito la Spagna e il Portogallo

In tilt anche i sistemi di pagamenti

Anche i sistemi di pagamento elettronico, bancomat e POS sono andati in tilt, obbligando molti esercizi commerciali ad accettare esclusivamente pagamenti in contanti.

Il blackout ha paralizzato i trasporti pubblici. Metropolitane evacuate a Madrid, Barcellona e Valencia; treni bloccati su tutta la rete ferroviaria; traffico cittadino in tilt per semafori fuori uso.

Negli aeroporti di Madrid-Barajas e Lisbona si sono registrati ritardi e cancellazioni di voli, con operazioni ridotte all’essenziale grazie ai generatori di emergenza.

Gli ospedali, sebbene equipaggiati con generatori, hanno dovuto sospendere interventi non urgenti e concentrarsi sui servizi di emergenza.

Ipotesi sulle cause: guasto o attacco informatico?

Le autorità spagnole e portoghesi stanno ancora indagando.

L’ipotesi prevalente riguarda un guasto tecnico, ma non si esclude un possibile attacco informatico.

Alcuni gruppi hacktivisti come NoName e DarkStorm hanno rivendicato l’evento, ma al momento non esistono prove concrete a sostegno di questa rivendicazione.

Cosa accade ai servizi web e all’infrastruttura digitale durante un blackout

In eventi di blackout prolungato, i servizi digitali si bloccano a cascata. I data center possono resistere solo per un tempo limitato grazie ai sistemi UPS e ai generatori.

In ogni caso, le reti di telecomunicazione dipendono fortemente dalla disponibilità costante di energia. Quando la rete primaria cede, anche le torri cellulari, le centrali dati e i nodi di rete si spengono progressivamente.

A questo si aggiungono i problemi alla catena logistica del digitale: senza elettricità, è impossibile mantenere operativi servizi cloud, streaming, e-commerce e infrastrutture pubbliche digitalizzate.

Come agire per ridurre i disagi

Affrontare blackout estesi richiede una strategia articolata:

  • Ridondanza energetica: garantire una rete distribuita di generatori e sistemi UPS non solo nei data center, ma anche nei nodi di rete più periferici.
  • Piani di disaster recovery: le aziende e le istituzioni devono disporre di protocolli chiari per la gestione delle emergenze digitali.
  • Cybersecurity avanzata: proteggere gli impianti critici da attacchi informatici è fondamentale per ridurre i rischi di blackout indotti.
  • Formazione e cultura della resilienza: formare operatori e cittadini su come reagire efficacemente in caso di blackout.

Il blackout di oggi, in Spagna, Portogallo e Francia, rappresenta una drammatica conferma della fragilità delle nostre infrastrutture digitali.

Una fragilità che richiede un ripensamento serio delle strategie di resilienza energetica e digitale, in un contesto sempre più interconnesso e vulnerabile.

Elon Musk riduce il suo ruolo al DOGE mentre Tesla crolla

Elon Musk riduce il suo ruolo al DOGE mentre Tesla crolla

Musk prevede di ridurre il suo ruolo al DOGE per Tesla, e ora i profitti crollano (-71%). Con l’appoggio di Trump non molla. La realtà rischia di frenare i suoi sogni marziani.

Elon Musk ha annunciato che ridurrà il suo impegno nel Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE), l’ente voluto da Donald Trump per snellire la burocrazia statunitense.

Il suo intento è tornare a concentrarsi su Tesla e le sue altre aziende. La notizia, riportata da Reuters e Politico, arriva in un momento critico per il colosso delle auto elettriche, che ha registrato un crollo dell’utile netto del 71% nel primo trimestre del 2025.

Dietro questi numeri si nasconde anche il peso delle scelte e dell’atteggiamento di Musk, sempre più al centro di polemiche per le sue prese di posizione politiche e il suo uso, a volte spregiudicato, della sua piattaforma X.

Val la pena analizzare i fatti e capire cosa sta succedendo.

Musk, il passo indietro dal dipartimento DOGE

Durante una conference call con gli investitori di Tesla, Musk ha dichiarato che il suo lavoro al DOGE è “quasi completato” e che, a partire da maggio 2025, dedicherà solo uno o due giorni a settimana all’ente governativo, tornando a focalizzarsi su Tesla, SpaceX e X.

Secondo Reuters, Musk ha sottolineato che il suo ruolo di “dipendente governativo speciale” scadrà a fine maggio, dopo i 130 giorni previsti dal suo incarico.

La decisione non sorprende: il DOGE, guidato da Musk e dall’imprenditore Vivek Ramaswamy, ha già implementato riforme radicali, con tagli per oltre 140 miliardi di dollari, anche se alcune stime sono controverse.

Già negli ultimi giorni, Politico aveva riportato indiscrezioni secondo cui Trump era pronto a ridimensionare il ruolo di Musk, più orientato a diventare un consigliere informale.

La Casa Bianca e Musk avevano smentito un’uscita immediata, ma le pressioni degli investitori di Tesla, preoccupati per il calo delle vendite (-13% nel primo trimestre), sembrano aver spinto Musk a fare un passo indietro. “Tesla ha bisogno di me ora più che mai”, ha detto Musk, come riportato da Bloomberg.

Elon Musk riduce il suo ruolo al DOGE mentre Tesla crolla
Elon Musk riduce il suo ruolo al DOGE mentre Tesla crolla

Musk e il crollo dei profitti di Tesla, i numeri

Nel frattempo, i numeri parlano chiaro e non sono incoraggianti.

Tesla ha chiuso il primo trimestre del 2025 con un utile netto di 409 milioni di dollari, in calo del 71% rispetto agli 1,4 miliardi dello stesso periodo del 2024. I ricavi sono scesi del 9%, attestandosi a 19,3 miliardi di dollari.

Sempre secondo Reuters, il calo è dovuto a una combinazione di fattori: una domanda globale più debole per i veicoli elettrici, tagli aggressivi ai prezzi per stimolare le vendite e un aumento delle spese operative per progetti di intelligenza artificiale e robotica, come il robot Optimus e la guida autonoma.

La concorrenza, con rivali come il cinese BYD in forte ascesa, ha fatto il resto.

Gli investitori non hanno nascosto la loro preoccupazione. Durante la conference call, Musk è stato messo sotto pressione per la sua gestione frammentata, con il tempo diviso tra DOGE, X e SpaceX. “Tesla sta pagando il prezzo della distrazione di Elon”, ha commentato un analista citato da Bloomberg.

Musk e il suo atteggiamento sempre più polarizzante

L’immagine di Musk, sempre più polarizzante, potrebbe aver contribuito a generare questo momento difficile per Tesla.

Negli ultimi mesi, come ben sappiamo, il CEO ha fatto parlare di sé non solo per le sue imprese imprenditoriali, ma per una serie di comportamenti e dichiarazioni che hanno sollevato critiche in tutto il mondo.

Il caso più eclatante risale al 20 gennaio 2025, durante l’insediamento di Trump, quando Musk ha compiuto un gesto, braccio teso dopo essersi battuto il petto, interpretato da molti come un saluto fascista o nazista.

Media come Times of Israel hanno riportato le reazioni indignate, mentre l’Anti-Defamation League ha definito il gesto “maldestro” ma non intenzionalmente nazista. Musk, su X, ha respinto le accuse, parlando di “trucchi sporchi” e spiegando che voleva solo “dare il cuore al pubblico”. Eppure, il gesto è stato celebrato da gruppi estremisti come Blood Tribe, alimentando le polemiche.

Non solo. Musk ha apertamente appoggiato partiti di estrema destra, come Alternative für Deutschland (AfD) in Germania, definendolo “l’ultima speranza” per il Paese in un editoriale su Welt am Sonntag.

Durante una diretta su X con la leader di AfD Alice Weidel, non ha contraddetto teorie revisioniste su Hitler, suscitando ulteriori critiche. La sua gestione di X, trasformata in un megafono per idee di destra e teorie controverse, ha alienato utenti e istituzioni.

Per citarne qualcuno, la vicepremier spagnola Yolanda Díaz, ad esempio, ha abbandonato la piattaforma in segno di protesta, mentre la Commissione Europea ha messo sotto osservazione X per possibili violazioni del Digital Services Act.

Questi episodi hanno avuto un impatto sulla percezione anche di Tesla. Come riportato da Reuters, il brand è fortemente associato alla figura di Musk, e le accuse di antisemitismo (come la condivisione di teorie cospirative su George Soros nel 2023) e il flirt con l’estrema destra hanno allontanato consumatori e investitori sensibili a questi temi.

Il comportamento di Musk sta diventando un rischio per Tesla“, ha dichiarato un analista di Wedbush Securities a Bloomberg. La fiducia nel marchio ne ha risentito, soprattutto in mercati chiave come l’Europa, dove le polemiche politiche di Musk sono seguite con attenzione.

Cosa attendersi da Musk ora

La decisione di Musk di ridimensionare il suo ruolo al DOGE è un segnale che il tycoon è consapevole delle difficoltà di Tesla. In ogni caso, il danno reputazionale e le sfide di mercato non si risolveranno dall’oggi al domani.

La concorrenza nel settore delle auto elettriche è sempre più agguerrita, e Tesla deve ritrovare il suo slancio innovativo per recuperare terreno.

Musk, dal canto suo, dovrà dimostrare di poter bilanciare le sue ambizioni politiche con la leadership aziendale, evitando passi falsi che potrebbero ulteriormente erodere la fiducia degli stakeholder. Impresa quasi impossibile.

Intanto, il dibattito sul suo atteggiamento non accenna a placarsi. È sicuramente Musk a portare Tesla dov’è oggi, ma è anche la sua personalità controversa a metterla a rischio.

Di fronte ad una situazione del genere, c’è da star sicuri che Musk prenderà qualche provvedimento di convenienza sul momento. Ma in una prospettiva più ampia, in realtà, è pronto a non indietreggiare in alcun modo.

Orma ha assunto la consapevolezza che il suo ruolo all’interno dell’amministrazione Trump è appoggiato proprio dal presidente Usa. E fin quando questo sostegno c’è, per lui tutto va bene.

Solo che tutto questo, come abbiamo visto, deve fare i conti con la realtà. E Marte è ancora molto lontano dall’essere raggiunto.

La Commissione UE multa Apple e Meta in violazione del DMA

La Commissione UE multa Apple e Meta in violazione del DMA

La Commissione UE ha inflitto una multa ai due colossi Apple e Meta per aver violato il DMA. Un caso che potrebbe rendere ancora più accese le relazioni tra Usa e UE.

La Commissione Europea ha inflitto oggi una sanzione a due dei più grandi colossi tecnologici Usa.

Apple e Meta sono state multate rispettivamente per 500 milioni e 200 milioni di euro per aver violato il Digital Markets Act (DMA), la nuova normativa dell’UE pensata per garantire maggiore equità e trasparenza nei mercati digitali.

E questa volta, si tratta della prima vera multa ufficiale per mancato rispetto delle regole del DMA.

L’indagine era stata avviata nel marzo 2024.

La Commissione UE multa Apple e Meta in violazione del DMA
La Commissione UE multa Apple e Meta in violazione del DMA

Perché Apple e Meta sono multate dalla UE

Nel comunicato ufficiale rilasciato dalla Commissione Europea, si legge che Apple e Meta non avrebbero rispettato l’obbligo previsto dal DMA di offrire agli utenti europei “un servizio equivalente che utilizzi meno dati personali”.

Un obbligo non accessorio, ma centrale nel nuovo impianto normativo, che mira a riequilibrare il rapporto tra i cosiddetti gatekeeper (i grandi intermediari digitali) e gli utenti finali.

Secondo l’analisi della Commissione, Apple avrebbe ostacolato gli sviluppatori nell’informare gli utenti su opzioni di pagamento alternative all’App Store. Ma soprattutto non avrebbe offerto una scelta chiara agli utenti su un sistema che tratti meno i loro dati personali.

Meta, dal canto suo, avrebbe violato lo stesso principio nella recente introduzione dell’abbonamento no ads, che non offrirebbe in modo adeguato un’alternativa che non comporti l’uso estensivo dei dati.

Cos’è il DMA e perché è importante

Il Digital Markets Act è entrato in vigore nel novembre 2022, ma ha iniziato a produrre effetti concreti solo da marzo 2024, quando è entrato in piena applicazione.

Si tratta di una normativa ambiziosa con cui l’Unione Europea mira a regolamentare l’attività dei grandi attori digitali – designati ufficialmente gatekeeper – imponendo loro obblighi chiari in materia di interoperabilità, trasparenza e protezione dei dati personali.

La logica alla base del DMA è semplice. Se pochi attori dominano il mercato digitale europeo, devono rispettare regole più severe per evitare comportamenti anticoncorrenziali e garantire agli utenti finali maggiore libertà di scelta.

In questo contesto, le sanzioni di oggi segnano una svolta. Si tratta delle prime multe effettive basate proprio sulle violazioni del DMA, e potrebbero aprire la strada a un confronto ancora più acceso tra Bruxelles e le big tech americane.


Teresa Ribera
Teresa Ribera

“Le decisioni odierne inviano un messaggio forte e chiaro. Il Digital Markets Act è uno strumento cruciale per liberare potenziale, scelta e crescita, garantendo agli operatori digitali la possibilità di operare in mercati contendibili ed equi. Protegge i consumatori europei e crea condizioni di parità. Apple e Meta non hanno rispettato il DMA”. Sono le parole a commento di Teresa Ribera, Vicepresidente Esecutiva per una Transizione Pulita, Giusta e Competitiva


Le tensioni geopolitiche e l’ombra di Trump

La notizia arriva in un momento già teso nelle relazioni tra Stati Uniti e Unione Europea. I dazi introdotti recentemente dagli USA su alcune esportazioni europee – e le possibili contromisure da parte dell’UE – hanno acceso un clima di scontro commerciale che si intreccia sempre di più con la regolamentazione del digitale.

Proprio in questo clima, Meta – così come altre grandi aziende tecnologiche – avrebbe chiesto nelle ultime settimane l’intervento di Donald Trump, in vista delle elezioni presidenziali USA, affinché eserciti pressione sull’UE per ammorbidire l’applicazione del DMA.

Una mossa che, se confermata, suggerisce un’escalation non solo economica, ma anche politica, nel rapporto tra Bruxelles e Silicon Valley.

Non è un mistero che le big tech abbiano sempre mal digerito l’idea di una regolamentazione europea autonoma. Ma l’approccio dell’UE, soprattutto in ambito digitale, è oggi più determinato che mai.


Henna Virkkunen
Henna Virkkunen

“Consentire la libera scelta di aziende e consumatori è al centro delle norme stabilite dal Digital Markets Act. Ciò include garantire che i cittadini abbiano il pieno controllo su quando e come i loro dati vengono utilizzati online e che le aziende possano comunicare liberamente con i propri clienti. Le decisioni adottate oggi dimostrano che sia Apple che Meta hanno privato i propri utenti di questa libera scelta e sono costrette a modificarne il comportamento. Abbiamo il dovere di proteggere i diritti dei cittadini e delle imprese innovative in Europa e mi impegno pienamente per raggiungere questo obiettivo”.

Henna Virkkunen, Vicepresidente esecutivo per la sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia


Cosa potrebbe succedere adesso

Le sanzioni comminate oggi rappresentano un segnale forte e inequivocabile. L’Unione Europea è disposta ad applicare il DMA fino in fondo.

Apple e Meta, con 60 giorni di tempo per adeguarsi, potrebbero fare ricorso, certo, ma difficilmente questo rallenterà la macchina regolatoria europea. Anzi, è probabile che altre indagini, tuttora in corso, possano portare presto a ulteriori sanzioni nei confronti di Alphabet (Google), Amazon e TikTok.

Dal canto loro, gli Stati Uniti potrebbero interpretare questo come un attacco diretto alle aziende americane, alimentando le frizioni commerciali in corso.

E con Trump alla Casa Bianca, la questione DMA potrebbe diventare uno dei nodi più delicati nelle relazioni transatlantiche.

Insomma, ci troviamo al primo vero banco di prova dell’efficacia del Digital Markets Act. È anche una dimostrazione che l’UE, almeno sul fronte della regolamentazione digitale, non ha intenzione di restare a guardare.

Vedremo come si svilupperà questa vicenda nei prossimi giorni.

Addio Papa Francesco, primo vero papa dell’era dei social media

Addio Papa Francesco, primo vero papa dell'era dei social media

Addio a Papa Francesco, primo Papa dell’era digitale, ha saputo usare il web e i social per comunicare con semplicità, autenticità e visione fino all’ultimo.

Nel giorno di Pasquetta, il 21 aprile 2025, muore Papa Francesco.
Quello che possiamo definire, senza esagerare, il primo Papa dell’era dei social media.

Nonostante il primo account social — @Pontifex su Twitter — fosse stato inaugurato da Benedetto XVI nel dicembre 2012, è stato poi lui, Papa Francesco, a dare voce e corpo alla comunicazione digitale. A usare davvero le piattaforme per parlare al mondo.

Si è affacciato sul mondo social con naturalezza, semplicità, coerenza. Ha compreso, forse prima di molti altri, che per parlare davvero al mondo — soprattutto ai più giovani — bisognava saper ascoltare, dialogare, comunicare. Anche online.

Durante tutto il pontificato, non ha mai avuto paura degli strumenti digitali.
Non li ha mai demonizzati. Anzi, li ha accolti e benedetti. Letteralmente.

“Internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti”,
aveva detto nel 2014. E non a caso definì il web “un dono di Dio”.

Un dono, certo, se usato responsabilmente. Un mezzo potente per costruire ponti, non per erigere muri.

Nel 2022, Papa Francesco disse:

L’uso dei media digitali, in particolare dei social media, ha sollevato una serie di gravi questioni etiche che richiedono un giudizio saggio e attento da parte dei comunicatori e di tutti coloro che hanno a cuore l’autenticità e la qualità delle relazioni umane.
L’educazione ai media, la creazione di una rete tra i media cattolici e il contrasto alle menzogne e alla disinformazione”.

Parole che dimostrano quanto fosse profondamente sensibile ai temi etici legati alla comunicazione digitale.

E quanto credesse in un uso consapevole degli strumenti, per contrastare le derive della disinformazione.

Addio Papa Francesco, primo vero papa dell'era dei social media
Addio Papa Francesco, primo vero papa dell’era dei social media

Il primo Angelus “social” e il primo tweet

Lo aveva capito fin da subito, Papa Francesco.

Nel marzo 2013, a pochi giorni dalla sua elezione, il primo Angelus fu anche il primo Angelus davvero “social”. Le sue parole, pronunciate in Piazza San Pietro con quella forza gentile che lo ha sempre contraddistinto, furono condivise, commentate, rilanciate. In rete. In tempo reale.

E pochi giorni dopo arrivò anche il suo primo tweet ufficiale: semplice, diretto, umano.
Segnava l’inizio di un nuovo modo di comunicare il messaggio della Chiesa.
Nessuna distanza. Nessun filtro. Solo parole che parlavano al cuore.


Un Papa cercato e seguito online

Nel 2013, lo stesso anno della sua elezione, Papa Francesco fu il personaggio più cercato su Google in Italia.
E nel report annuale di Twitter, il suo nome figurava tra i più citati al mondo.

Segnali chiari. Il mondo voleva ascoltarlo. Voleva leggerlo.
Voleva seguirlo, in ogni parola, in ogni gesto.

La rete diventava così uno spazio di prossimità, dove il suo messaggio arrivava più lontano, più velocemente, a più persone.


L’indulgenza plenaria online

Nell’estate del 2013, durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, Papa Francesco scrisse un’altra pagina storica:
fu concessa l’indulgenza plenaria anche a chi seguiva l’evento attraverso i social media.

Un messaggio forte. Un gesto che riconosceva il valore spirituale di una partecipazione digitale, non solo fisica.

Ancora una volta, il digitale non era visto come un ostacolo, ma come estensione del dialogo e della condivisione.


Il Giubileo raccontato sui social media

Quando, nel 2015, si aprì il Giubileo straordinario della Misericordia, i social media si trasformarono in strumenti essenziali per raccontare, condividere, vivere quel momento.

L’hashtag #GiubileodellaMisericordia fu tra i più usati in Italia nei giorni dell’apertura della Porta Santa: oltre 17.500 conversazioni in poche ore.

Era la prova concreta di quanto il messaggio di Papa Francesco trovasse eco nel linguaggio dei nostri tempi.


Un Papa amato sul web

Come raccontato proprio qui su questo blog, nel 2014 Papa Francesco era stato il personaggio più amato del web.

Con oltre 49 milioni di citazioni online tra marzo e novembre 2013, e una media di 1,7 milioni di ricerche mensili su Google.

Non era solo popolarità. Era una sintonia nuova con chi cercava un messaggio di speranza, di misericordia, di pace. Anche online.


Un messaggio fino all’ultimo

Papa Francesco ha continuato a comunicare fino all’ultimo.
Con lo stesso stile. Con la stessa voce: chiara, gentile, accogliente. Ha parlato ai giovani. Ha parlato agli esclusi. Ha parlato a chi è lontano dalla Chiesa, ma non dalla vita.

E ha usato anche il web e i social media per farlo.

Con umiltà, senza retorica, senza paura. Con autenticità.


La sua eredità digitale e umana

Il ricordo di Papa Francesco, oggi che ci lascia, è anche il ricordo di un modo nuovo di essere presenti nel mondo. Di una comunicazione che ha saputo incontrare l’altro anche attraverso uno schermo.

Non è stato solo il primo Papa dell’era dei social. È stato il primo a viverla davvero, con coerenza e visione.

E in questo tempo incerto, il suo esempio resta.

TikTok lancia Footnotes, la versione ibrida di Community Notes

TikTok lancia Footnotes, la versione ibrida di Community Notes

TikTok lancia Footnotes, un sistema di verifica collaborativa simile a Community Notes. Un modello ibrido che combina il fact-checking professionale con il contributo degli utenti. Per ora negli Usa, ecco come funziona.

E così, dopo Meta, anche TikTok decide di abbracciare un sistema di verifica collaborativa molto simile a quello di Community Notes di X. Su TikTok si chiamerà Footnotes, proprio per richiamare l’idea di note a piè di pagina, cioè brevi annotazioni che aggiungono contesto ai contenuti condivisi sulla piattaforma.

L’obiettivo è chiarire meglio alcune informazioni, soprattutto in situazioni che rischiano di essere fraintese o decontestualizzate.

Quello che emerge, ancora una volta, è che le piattaforme digitali sono sempre più chiamate a spiegare meglio il contesto dei contenuti che gli utenti vedono ogni giorno. Non basta più segnalare o rimuovere: serve anche chiarire, fornire strumenti per capire.

E tutto questo, ovviamente, per contrastare in modo più efficace il fenomeno della disinformazione.

Quindi, TikTok alla fine si muove nella stessa direzione. Una mossa prevedibile, se guardiamo a ciò che sta accadendo anche sulle altre piattaforme, dove cresce l’adozione di sistemi di verifica gestiti — almeno in parte — direttamente dagli utenti.

Ma con qualche differenza.

Rispetto a Community Notes su X, e rispetto anche al sistema di Meta (che, ricordiamolo, è attivo solo negli Stati Uniti e non ancora in Europa), TikTok adotta un approccio diverso.

Su Meta, ad esempio, il nuovo sistema comunitario è ancora affiancato, soprattutto in Europa, dal lavoro delle organizzazioni di fact-checking.

TikTok invece non abbandona il fact-checking professionale, anzi. La società di ByteDance continua a collaborare con oltre 20 organizzazioni accreditate, ma apre anche agli utenti. E qui sta la novità.

https://newsroom.tiktok.com/en-us/footnotes
Come apparirà Footnotes su TikTok

Chi può contribuire?

Non tutti. Per diventare contributori su Footnotes bisogna:

  • avere almeno 18 anni,

  • avere un account TikTok attivo da almeno 6 mesi,

  • non aver violato le regole della piattaforma.

Sono requisiti simili a quelli richiesti su X. Ma qui TikTok costruisce un sistema ibrido.

Come funziona Footnotes di TikTok

Quando un contenuto viene segnalato per potenziale disinformazione, gli utenti approvati possono proporre una nota informativa.

Questa nota non viene pubblicata subito. Prima deve essere valutata da altri utenti, anche con opinioni divergenti, attraverso un meccanismo che TikTok chiama Bridge-Based Ranking.

Un sistema che favorisce le note considerate utili da utenti con prospettive diverse, per evitare distorsioni di parte.

In parallelo, il contenuto della nota può essere anche sottoposto alla valutazione delle organizzazioni di fact-checking. Solo quando questi criteri sono soddisfatti, la nota viene approvata e pubblicata in fondo al contenuto, come una vera nota a piè di pagina.

Le piattaforme rendono più chiari i contesti

Questa scelta conferma una tendenza ormai evidente: le piattaforme non possono più ignorare il contesto dei contenuti. Devono spiegarlo, renderlo trasparente, soprattutto quando diventano — come nel caso di TikTok — spazi non solo di intrattenimento, ma anche di informazione, soprattutto per i più giovani.

Footnotes si inserisce quindi in un panorama dove la disinformazione è diffusa, e dove la capacità di spiegare — e non solo limitare — diventa centrale.

TikTok lancia Footnotes, la versione ibrida di Community Notes
TikTok lancia Footnotes, la versione ibrida di Community Notes

Footnotes arriverà in Europa?

Per ora, Footnotes è attivo solo negli Stati Uniti, in fase di test.

TikTok non ha ancora annunciato una data di lancio per l’Unione Europea, anche perché qui vigono regole precise, come il Digital Services Act, che impone standard stringenti per la trasparenza e la gestione dei contenuti.

È plausibile che TikTok voglia prima verificare l’efficacia del sistema negli USA, e solo dopo valutare un’estensione al mercato europeo. Ma se i risultati saranno positivi, è lecito aspettarsi che Footnotes arrivi anche qui — anche se con i necessari adattamenti alle normative europee.

Footnotes, un modello intermedio

Rispetto alla totale apertura di X e alla svolta comunitaria (ma ancora incerta) di Meta, TikTok sembra scegliere una strada intermedia. Non rinuncia alla verifica professionale, ma coinvolge gli utenti in un processo strutturato, trasparente e, almeno nelle intenzioni, controllato.

Potrebbe essere una soluzione più sostenibile nel lungo periodo, soprattutto dal punto di vista della gestione e della credibilità.

Resta da vedere come evolverà. Di certo, continueremo a monitorare il funzionamento di Footnotes, soprattutto se, come probabile, dovesse arrivare anche in UE.

Ecco perché OpenAI starebbe pensando ad un proprio social media

Ecco perché OpenAI starebbe pensando ad un proprio social media
Ecco perché OpenAI starebbe pensando ad un proprio social media

OpenAI sta pensando ad un proprio social media. Tra rivalità con Elon Musk e bisogno di dati, ecco perché potrebbe cambiare il panorama delle piattaforme digitali.

Se davvero OpenAI realizzasse la sua piattaforma digitale, come si racconta in queste ore, allora sì che sarebbe uno stravolgimento delle piattaforme digitali, in particolare del panorama dei social media per come lo conosciamo oggi.

L’dea di OpenAI di un suo social media

Il primo a darne notizia è stato The Verge che ha lanciato un suo articolo con una notizia importante: OpenAI, la società guidata da Sam Altman che ha creato ChatGPT, starebbe pensando a una piattaforma digitale in stile X.

La piattaforma – guarda caso – è proprio quella di Elon Musk. E fra poco spiego cosa intendo per “guarda caso”.

Perché un social media proprio adesso?

Perché OpenAI starebbe pensando a una mossa del genere? E soprattutto: quale sarebbe la finalità per un’azienda di intelligenza artificiale?

Prima di rispondere a queste domande, riavvolgiamo un attimo il nastro e torniamo indietro di qualche anno.

Ecco perché OpenAI starebbe pensando ad un proprio social media
Ecco perché OpenAI starebbe pensando ad un proprio social media

Un po’ di storia: dal 2015 a oggi

Siamo nel 2015, anno in cui nasce OpenAI come associazione senza scopo di lucro, con l’obiettivo di rendere l’intelligenza artificiale accessibile e utile a beneficio dell’umanità.

Tra i fondatori, c’era anche Elon Musk. Le cose vanno bene fino al 2018, quando Musk, stanco della leadership di Altman – secondo le informazioni che abbiamo – decide di uscire dal progetto. Se ne va, sbattendo la porta.

Poi conosciamo tutti l’evoluzione: Musk acquista Twitter nell’ottobre 2022, e nel frattempo i rapporti con OpenAI si fanno sempre più tesi.

Le tensioni con Musk e la nascita di Grok

Gli screzi tra i due non si sono mai sopiti. Anzi, si sono accentuati con la crescita di ChatGPT e con la trasformazione di OpenAI in azienda a scopo di lucro, una svolta non da poco. In parallelo, Elon Musk sviluppa xAI e poi Grok, il chatbot integrato su X.

Le tensioni si aggravano fino ad arrivare a cause legali. Proprio recentemente, OpenAI ha denunciato Musk, e la battaglia giudiziaria è in corso.

L’offerta di Musk e la risposta di Altman

A febbraio di quest’anno, Elon Musk ha provato a rilanciare. Ha offerto 97 miliardi di dollari per acquisire OpenAI. Una mossa per riportarla alle origini, secondo lui.

Altman ha risposto via X: “No, grazie. Semmai compreremo noi X per 9,7 miliardi”. Una battuta, forse, ma alla luce di ciò che sappiamo oggi, potrebbe nascondere molto di più.

Anche Meta spinge sull’AI, e OpenAI risponde

Quando Meta ha lanciato il suo Meta AI, Altman ha commentato: forse è arrivato il momento che anche OpenAI abbracci i social media. Tutti segnali che portano nella stessa direzione.

OpenAI contro X?

E adesso arriva questa notizia. Appunto, OpenAI potrebbe entrare direttamente nel mercato delle piattaforme digitali, in concorrenza diretta con X.

Perché proprio ora?

Primo: per la rivalità ormai conclamata con Elon Musk. Secondo: perché X sta consolidando la sua posizione e OpenAI potrebbe inserirsi proprio in questo contesto.

I dati, il vero obiettivo di OpenAI

Ma la motivazione più importante è un’altra. ChatGPT ha bisogno di dati. Ha bisogno di dataset sempre più grandi per migliorare. E qual è il modo più diretto per reperire dati, anche in tempo reale? Una piattaforma sociale, come appunto X.

Come fa Meta AI, che si nutre di dati pubblici degli utenti, nonostante l’opposizione. Come fa Grok, che accede a dati condivisi su X. OpenAI potrebbe fare lo stesso, se avesse una propria piattaforma.

Un esempio concreto: Studio Ghibli e action figures

Basti pensare al recente trend delle immagini generate in stile Studio Ghibli o alle action figures AI: se questi contenuti venissero condivisi su una piattaforma OpenAI, che tipo di dati ne emergerebbero?

Dati preziosi per addestrare i modelli, che diventerebbero sempre più efficaci, più evoluti. L’intelligenza artificiale si nutrirebbe di questi contenuti.

Pe un social media servono infrastrutture

Chiaramente, entrare nel mercato delle piattaforme digitali non è un gioco. Servono server, infrastrutture, investimenti. OpenAI è già attrezzata, ma dovrà fare di più.

E soprattutto dovrà progettare una piattaforma con un livello di engagement molto elevato, se vuole distinguersi in un mercato ormai segnato dall’“algoritmo del proprietario”.


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E se OpenAI ci riuscisse?

Non mi sorprenderebbe se OpenAI riuscisse davvero nel suo intento: realizzare una piattaforma digitale che alimenti il suo modello ChatGPT, che attiri utenti, ma che allo stesso tempo sia guidata da logiche di controllo algoritmico.

Non sarebbe nulla di nuovo, anzi: sarebbe perfettamente in linea con quello che stiamo già osservando in molte piattaforme.

Altman ci sta pensando, ma non c’è nulla di ufficiale

L’idea c’è, l’intento pure. Ma non ci sono ancora notizie ufficiali. Sam Altman sta raccogliendo feedback all’interno dell’azienda per capire se il progetto è davvero fattibile.

Non è solo una questione finanziaria: si tratta di comprendere come posizionarsi in un contesto dove X, Meta e altre stanno già giocando le loro carte.

Una sfida che cambierebbe tutto

Una mossa del genere farebbe saltare i nervi a Elon Musk, e sarebbe uno scenario che varrebbe la pena osservare da vicino. Perché cambierebbe davvero tutto.

Continuerò a raccontarvi ciò che succede. Se volete condividere pensieri e opinioni, lo spazio per farlo è aperto. E ci aggiorniamo alla prossima.

Meta rischia di perdere Instagram e WhatsApp, ecco perché

Meta rischia di perdere Instagram e WhatsApp, ecco perché

Il processo antitrust che vede FTC contro Meta è senza dubbio storico. Al centro le acquisizioni di Instagram e WhatsApp, con l’obiettivo di separarle dall’azienda. Un caso che potrebbe cambiare il futuro dei social media.

È iniziato in questi giorni, a Washington, uno dei più importanti, proprio per la sua natura, processi antitrust della storia recente.

Infatti, si è di fronte ad un processo il cui risultato potrebbe cambiare radicalmente lo scenario dei social media. Quelle piattaforme digitali che ormai stanno plasmando le nostre esistenze.

Il caso investe direttamente Meta Platforms, l’azienda guidata – e co-fondata – da Mark Zuckerberg, chiamata a rispondere in tribunale alle accuse mosse dalla Federal Trade Commission (FTC).

L’obiettivo dichiarato dell’agenzia governativa per il commercio è quello di spezzare il colosso dei social media, forzando la separazione delle sue due più celebri acquisizioni, Instagram e WhatsApp.

Una vicenda che rimette al centro del dibattito il tema della concentrazione di potere tecnologico e che potrebbe ridefinire, come dicevamo prima, il nostro rapporto con le piattaforme digitali.

Meta rischia di perdere Instagram e WhatsApp, ecco perché
Meta rischia di perdere Instagram e WhatsApp, ecco perché

Una lunga battaglia che arriva in aula

Le acquisizioni di Instagram nel 2012 e di WhatsApp nel 2014 sono state approvate all’epoca senza opposizioni rilevanti. Ma nel corso dell’ultimo decennio, la crescente preoccupazione per il potere esercitato dalle big tech ha spinto le autorità a rivedere il passato con occhi diversi.

La vicenda ha origine nel dicembre 2020, quando la Federal Trade Commission avvia la sua prima azione legale contro Meta (allora ancora Facebook), accusandola di pratiche anticoncorrenziali legate alle acquisizioni di Instagram e WhatsApp.

Dopo un primo rigetto nel 2021, la FTC presenta una versione aggiornata della denuncia che viene accolta, aprendo così la strada al processo odierno.

Ricorderete anche che nel 2020 c’era Donald Trump alla Casa Bianca. I rapporti all’epoca tra il presidente Usa e il fondatore di Facebook non erano idilliaci.

La FTC accusa Meta di aver agito in modo deliberato per soffocare la concorrenza, acquisendo quelle che già allora erano considerate minacce emergenti.

A sostegno di questa tesi, l’agenzia ha portato in aula messaggi interni in cui Zuckerberg scriveva: “Meglio comprarli che competere”- Buy or bury.

Un passaggio che potrebbe diventare il simbolo stesso del caso.

Secondo la FTC, quelle acquisizioni non hanno avuto lo scopo di innovare, ma di impedire che altri potessero farlo. Una visione che, se accolta dal tribunale, potrebbe portare a una sentenza storica: la separazione forzata di Instagram e WhatsApp da Meta.

In buona sostanza, FTC contesta a Meta il fatto che questa espansione dell’azienda e delle piattaforme è andata oltre

La difesa: “Non siamo un monopolio”

Dal canto suo, Meta respinge ogni accusa. La linea difensiva è chiara: il mercato dei social media è oggi più competitivo che mai. TikTok, YouTube, X (l’ex Twitter), iMessage e nuove piattaforme emergenti rendono lo scenario attuale molto diverso da quello del 2012.

Meta insiste anche sul fatto che le acquisizioni abbiano prodotto valore per i consumatori. Instagram, ad esempio, ha evoluto le proprie funzionalità, introducendo Stories, Reels, funzioni di e-commerce e strumenti per creator che difficilmente avrebbe potuto sviluppare in autonomia. WhatsApp è diventata una piattaforma globale, sicura e affidabile anche grazie agli investimenti di Meta.

La difesa punta inoltre il dito contro la revisione postuma delle acquisizioni: “All’epoca furono approvate, ora vengono messe in discussione. Come possono le aziende operare in un clima simile di incertezza normativa?”, è l’obiezione di fondo.

Una partita anche politica

Non è un caso che il processo arrivi in un momento delicato anche dal punto di vista politico. L’amministrazione Trump ha rimosso recentemente due commissari democratici dalla FTC, alterandone l’equilibrio interno. Contestualmente, Meta ha intensificato le attività di lobbying, cercando un’intesa che potesse evitare il processo.

Ma l’attuale presidente della FTC, Andrew Ferguson, ha deciso di andare avanti, dichiarando l’intenzione di portare fino in fondo la battaglia legale. A presiedere il caso è il giudice James Boasberg, che in passato si era mostrato scettico verso alcune argomentazioni della FTC, ma ha deciso di non bloccare il procedimento, ritenendo le accuse meritevoli di un processo completo.


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Le parole di Sheryl Sandberg

Il dibattimento si annuncia lungo e articolato. Era attesa la testimonianza di Mark Zuckerberg, ma anche quella di Sheryl Sandberg (ex COO di Meta) e di altri alti dirigenti dell’azienda.

Alla Sandberg, nella sua prima comparsa davanti alla commissione, è stato chiedo conto delle email in cui si parlava di Google+, oggi non più attivo. Nel 2011 Google voleva fare pubblicità su Facebook del suo social network, ma dalle email risulta che la Sandberg abbia scritto: “Bloccherei Google”.

Tutte frasi ed espressioni che in questi contesti vengono usate contro dalla controparte e che possono delineare scenari evocati proprio dalla controparte. La Sandberg è attesa di nuovo davanti al giudice.

Verranno poi ascoltate anche aziende concorrenti come Snap, Pinterest e TikTok, chiamate a spiegare come l’influenza di Meta abbia modellato — o limitato — l’ecosistema dei social media.

Il processo proseguirà nei prossimi mesi e si prevede che durerà fino a luglio 2025. Una sentenza che imponga lo spacchettamento di Meta rappresenterebbe un evento senza precedenti dai tempi delle storiche battaglie antitrust contro AT&T e Microsoft.

Una questione che va oltre Meta

Ma al di là del destino di Instagram e WhatsApp, questo processo è anche un banco di prova per la regolamentazione delle grandi piattaforme tecnologiche. Quali limiti deve avere il potere di aziende private nel plasmare le nostre interazioni digitali? Quando un’acquisizione diventa un abuso? E quanto possiamo contare sulle istituzioni per vigilare su un settore che si evolve più rapidamente delle leggi?

Il processo FTC contro Meta non è solo una questione giuridica.

Rappresenta un serio momento di riflessione sul futuro dell’equilibrio tra innovazione, concorrenza e libertà digitale. Una riflessione che ci riguarda tutti.

Immagini IA, ChatGPT 4o e rischio disinformazione

ChatGPT 4o ora consente di generare immagini di personaggi famosi in contesti realistici, ma mai avvenuti. Un passo avanti che solleva rischi concreti di disinformazione visiva. Ecco cosa sta cambiando, come riconoscerlo e perché serve essere responsabili.

Restando sul tema di intelligenza artificiale, vi sarete accorti anche voi che ultimamente si è potenziata la possibilità di generare immagini. E di generare queste immagini anche con personaggi noti, personaggi pubblici, personaggi famosi, politici… e addirittura ritrarli in situazioni che prima non era possibile fare.

Mi riferisco in particolare all’aggiornamento di ChatGPT, che ha potenziato il modello 4o al punto da far generare, da riuscire, da permettere agli utenti di generare immagini che prima non era possibile fare.

Ci concentriamo sempre sulle capacità dell’intelligenza artificiale, di questi modelli che sono sempre più aggiornati, sempre più potenti, ma non ci soffermiamo mai sul fatto che prima non era possibile fare una cosa, e invece oggi è possibile farlo.

Immagini IA, ChatGPT 4o e rischio disinformazione
Immagini IA, ChatGPT 4o e rischio disinformazione

Quali immagini può generare oggi ChatGPT 4o

Come appunto questa, che in realtà definisce ancora di più la vicinanza tra ciò che era lecito fare e ciò che in realtà è un rischio, un potenziale rischio di disinformazione che è alla portata di tutti.

Perché questo?

Perché in realtà le immagini sono, l’abbiamo visto anche in questi giorni, il contenuto più facilmente condivisibile, più facilmente condiviso sulle piattaforme, e che facilmente può diventare anche virale.

Lo diventa nel momento in cui noi abbiamo la possibilità di ritrarre personaggi noti, famosi. Faccio l’esempio di Trump che è sulla spiaggia di Copacabana con Elon Musk a bere un drink. Una situazione che prima su ChatGPT non era possibile fare e che adesso invece è alla portata di tutti.

Trump Musk spiaggia copacabana ChatGPT 4o franz russo
Trump Musk spiaggia copacabana ChatGPT 4o realizzata da Franz Russo

Sono quelle situazioni in cui abbiamo questa sorta di voglia di vedere personaggi famosi in situazioni che molto probabilmente non vivrebbero mai, e che difficilmente sarebbero ritratte in quella situazione.

Questo significa che, in realtà, anche noi potremmo essere al centro di quel contenuto. E quindi, avendo la possibilità di poter ritrarre e permettendo anche agli utenti la possibilità di generare immagini come queste, nulla vieta che un giorno ci possa essere un Franz Russo, tanto per fare un esempio, che si trova in un determinato luogo, con una determinata situazione, ma in realtà tutta quell’immagine non esiste.

Il confine tra immagini reali e false è sempre più sottile

Quindi il confine tra ciò che è possibile, che è realistico, e ciò che è in realtà una potenziale disinformazione, si sta avvicinando sempre di più.

Ma perché ChatGPT arriva a trasferire questo senso di responsabilità un po’ più verso gli utenti?

La questione è molto semplice, ed è di natura commerciale.

Il caso Grok 3 di xAI

Sul mercato dell’intelligenza artificiale esiste già Grok 3, la terza versione di questa intelligenza artificiale realizzata da xAI, che è una delle società di Elon Musk.

Grok si trova all’interno della piattaforma X, e permette fin dall’inizio, da quando è stata generata la prima versione, di generare immagini che ritraggono personaggi famosi anche con un limite sempre più alto, con un’asticella sempre più alta, con possibilità di ritrarre personaggi famosi sempre più alla portata di chiunque.

L’immagine di Papa Francesco col piumino bianco

Ricordate quando nel 2023 si realizzarono quelle immagini con Papa Francesco, il famoso piumino? Ebbene, quell’immagine lì oggi ChatGPT la fa tranquillamente.

Papa Francesco piumino IA franz russo
Papa Francesco piumino generata con la ChatGPT 4o da Franz Russo

L’immagine del falso arresto di Trump

Oppure un’altra famosa immagine di Donald Trump circondato da poliziotti che cerca di fuggire a un possibile arresto: ebbene, quell’immagine ChatGPT oggi la realizza tranquillamente, senza nessun problema.

Donald Trump falso arresto generato con la IA
Donald Trump falso arresto generato con ChatGPT 4o da Franz Russo

Questo significa che il confine, ripeto, di quello che noi possiamo generare rispetto a una potenziale disinformazione, si sta sempre di più assottigliando, sempre di più avvicinando. Non si riconosce più il rischio di quello che riusciamo a generare.

Ci sono addirittura delle immagini, tipo Bill Gates con una birra in mano, realizzata da me su ChatGPT, che alcuni strumenti di verifica, come Illuminarty, addirittura fanno fatica a definire se sia un’immagine realistica, umana, oppure se sia generata da intelligenza artificiale.

Bill Gates con birra in mano realizzata con Chatgpt-4o da Franz Russo
Bill Gates con birra in mano realizzata con Chatgpt-4o da Franz Russo

Questo già ci dice molto di come effettivamente anche questi strumenti di verifica possono essere utili o addirittura affidabili.

Piccoli suggerimenti per riconoscere immagini IA

Per cercare poi di offrire qualche suggerimento su come accorgerci del fatto che queste situazioni, alcune immagini, possono sembrare artefatte, ecco alcuni dettagli:

  • lo sfondo, magari un po’ confuso;

  • scritte non precise;

  • mani, che erano un grande problema per DALL·E 3;

  • oppure la pelle, che è sempre perfetta, molto liscia, e quindi già di per sé ti porta a pensare che sia un’immagine artefatta, anche se in alcuni casi anche questo dettaglio è in netto miglioramento,

  • o addirittura l’esposizione della luce, che in alcuni contesti è quasi irrealistica: quel tipo di luce difficilmente può essere naturale.

Oppure ancora, cercare di avvalersi sempre della ricerca inversa, quindi utilizzare motori di ricerca – ad esempio Google Immagini – sottoponendo i contenuti per avere una risposta dal motore di ricerca sul fatto che quell’immagine sia stata già utilizzata in altri contesti o meno.

Anche perché è capitato, anche di recente, che alcune immagini realizzate con intelligenza artificiale—quindi neanche con modelli di ricerca tanto evoluti, perché l’evoluzione l’abbiamo avuta molto molto di recente—siano stati confusi come contenuti realistici.

Quindi il senso di responsabilità, da parte nostra, ormai è imprescindibile. Non possiamo che fare affidamento a quel senso di responsabilità, alla consapevolezza del fatto che stiamo utilizzando strumenti che in alcuni contesti possono generare contenuti potenzialmente di disinformazione.


Guarda il video


Anche la ghilbizzazione aiutare a confondere

Anche lo stesso fenomeno della ghiblizzazione, di cui abbiamo parlato anche in un altro video, è uno di quegli elementi che ci porta a trasformare quella che è la realtà in un contesto diverso: più armonioso, più pastellato, più colorato, più dolce.

Ma anche quello diventa una situazione per mascherare altre situazioni irrealistiche. Condividerle in un contesto completamente diverso, anche quello è un potenziale rischio di disinformazione.

meme ghiblizzazione franz russo
Celebre meme con ghiblizzazione

Quindi, rispetto anche alla potenzialità, al modo in cui noi possiamo effettivamente affrontare questo, è sicuramente importante conoscere meglio i modelli. E quindi avvalerci di quella competenza, AI Literacy, conoscenza approfondita dei modelli. Dobbiamo prestare attenzione su come utilizziamo questi modelli e per cosa li vogliamo usare.

Che sia per uso personale, per lavoro, per tutte le attività che facciamo, dobbiamo prestare sempre molta attenzione e affidarci a un senso di responsabilità. Chiederci sempre:
qual è la motivazione che mi porta a usare questo modello?
Cosa voglio davvero fare?

E imparare, anche noi utenti, a riconoscere sempre meglio queste immagini, a sapere che tipo di immagine abbiamo davanti, a saperle riconoscere ed evitare che diventiamo anche noi potenziali diffusori di disinformazione.

Meta AI usa i nostri dati e non si può disattivare, alcune considerazioni

MetaAI usa i nostri dati e non si può disattivare, alcune considerazioni

Meta AI è arrivata da poco in Italia. Ma ci sono due aspetti che vanno approfonditi: l’uso dei dati pubblici degli utenti e l’impossibilità di disattivare l’IA. In questo articolo provo a verificare le implicazioni, tra privacy, consenso. E anche un confronto con Grok di X.

Come sapete, Meta AI è attivo anche in Italia da qualche giorno. È arrivato anche su WhatsApp, dove praticamente tutti gli utenti hanno visto questa iconcina circolare che, una volta attivata, risponde a delle domande e a dei problemi.

Per cercare di chiarire il motivo di questa considerazione, che si basa essenzialmente su due elementi, provo ad essere un po’ più chiaro, per farvi entrare nella logica di ciò che dirò più tardi, soprattutto su questi due punti.

Un assistente a tratti invadente

Immaginiamo di essere in una grande stanza e di osservare ciò che accade, accompagnati da una persona che chiameremo il nostro assistente particolare.

Quando abbiamo qualcosa da chiedere, ci rivolgiamo a questo assistente che risponde alle nostre domande in maniera molto precisa e dettagliata, offrendo anche la possibilità di approfondire successivamente.

Intanto, continuiamo il nostro giro in questo palazzo osservando tutte le stanze: in ogni stanza c’è qualcosa che ci incuriosisce, e chiediamo al nostro assistente.

Il problema è che questo assistente ci segue in continuazione, anche quando non lo interpelliamo: ci osserva, ascolta le nostre azioni, guarda con chi parliamo e ascolta cosa diciamo con le altre persone che incontriamo.

Il problema sorge quando ci accorgiamo che questa presenza diventa, ad un certo punto, pesante e vorremmo mandarla via, ma non riusciamo a trovare un modo per farlo. Non c’è la possibilità, per così dire, di disattivarla.

MetaAI usa i nostri dati e non si può disattivare, alcune considerazioni
MetaAI usa i nostri dati e non si può disattivare, alcune considerazioni

Il primo problema di Meta AI: l’uso dei dati pubblici

Ed è qui che entro sul tema, cercando di spiegare i due elementi cardine che riguardano Meta AI (e non solo).

Intanto, MetaAI è presente in Unione Europea dal 20 marzo, dopo aver – per così dire – migliorato la sua aderenza, la sua compliance, al GDPR.

Il GDPR, questo regolamento sulla protezione dei dati entrato in vigore in Unione Europea nel 2018, ha rivoluzionato il modo in cui vengono gestiti i dati.

Ebbene, ci sono due aspetti che meritano attenzione.

Il primo è che, inizialmente, avevo creduto che Meta AI non usasse i nostri dati per allenare la sua intelligenza. In realtà, le cose sono diverse. Se provate a chiedere a MetaAI, su Facebook, Instagram o WhatsApp, se utilizza i vostri dati, la risposta standard è: “No, non utilizzo i dati“. Tuttavia, la realtà è più complessa.

Meta AI usa i dati pubblici degli utenti

Meta AI usa i dati pubblici degli utenti: per “dati pubblici” intendo i post, le immagini e i commenti resi visibili a tutti. Questo significa che, per evitare di dare in pasto i nostri contenuti all’intelligenza artificiale, bisognerebbe passare in modalità privata. Nella modalità privata l’IA non riuscirebbe a prelevare i dati che non vogliamo rendere pubblici.

Questo approccio non va proprio nella direzione del GDPR, il cui fondamento è il consenso informato e la capacità di controllo da parte dell’utente all’interno delle piattaforme digitali.

Cosa c’è all’interno del Privacy Center

All’interno del Privacy Center non è ben spiegato se e come si debbano pubblicare i nostri contenuti. Meta non dà spazio a questo aspetto; il link di riferimento, che fornirò in calce al video, spiega che se non volete che MetaAI utilizzi i vostri dati, dovete passare in modalità privata. Questa soluzione, però, può essere valida per alcuni e meno per altri.

Parliamo di consapevolezza: è importante che, da un lato, la piattaforma fornisca l’informazione corretta e, dall’altro, che ciascuno adotti l’atteggiamento giusto nella condivisione dei contenuti. Solo in questo modo possiamo essere consapevoli e responsabili dell’uso dei nostri dati.

Secondo problema di Meta AI: non può essere disattivata

Il secondo elemento, che cozza maggiormente con il GDPR, è il fatto che l’intelligenza artificiale non può essere disattivata. Non esiste un tasto o un’opzione che permetta all’utente di scegliere se utilizzare o meno l’IA.

L’unica cosa possibile, in assenza di una modalità di disattivazione, è di non utilizzarla: di non interpellarla, di non fare in modo che possa entrare nelle vostre conversazioni. Ma l’IA si alimenta delle richieste (i cosiddetti prompt), dei risultati e delle risposte, continuando a prelevare dati.

Da tutte le piattaforme – Instagram, Messenger, WhatsApp e Facebook – le risposte pubbliche attingono anche ai risultati pubblici, senza possibilità di disattivare l’IA. Questo ulteriore elemento non collima con il GDPR, perché non offre la possibilità di scegliere.

Il confronto con Grok di X

Se volessimo fare un paragone, ci riferiremmo a Grok di X (la piattaforma che prima era Twitter, di proprietà di Elon Musk). Grok, che è l’IA di X, funziona in maniera simile: è integrato nella piattaforma, usabile anche senza abbonamento (con alcune limitazioni) fino alla versione Premium+. Anche Grok, comunque, utilizza di default i dati pubblici degli utenti, non appena si attiva un account.

L’unica azione possibile è quella di andare nelle impostazioni della privacy, nella sezione dedicata a Grok, e disattivare l’opzione di raccolta dati pubblici. Attenzione: se si effettua questa operazione, Grok continuerà a utilizzare i dati già condivisi, mentre solo i dati futuri non verranno più prelevati.

Un ulteriore elemento è la possibilità di eliminare la cronologia delle conversazioni con l’IA. Pur essendo un aspetto leggermente più in linea con il GDPR, sul consenso informato rimane comparabile a MetaAI.

In sintesi, stiamo parlando di due esperienze molto simili che, da un lato, permettono un minimo di controllo. Anche Grok suggerisce, come ultima ipotesi, di passare in modalità privata per evitare che i propri dati vengano prelevati. Tuttavia, questo comporta una significativa riduzione nella visibilità e nelle condivisioni dei propri contenuti.

Grok (X) Meta AI
Opt-out disponibile ✅ Sì ⚠️ Sì, ma difficile da trovare
Disattivazione IA ✅ Parziale (nessuna interazione) ❌ No
Consenso esplicito ❌ No ❌ No
Trasparenza IA ⚠️ Media ❌ Bassa
GDPR compliance 🟡 In dubbio, ma più avanzato 🔴 Più problematico

La IA entra nelle piattaforme digitali per cambiarle 

Quindi, si tratta di un passaggio inevitabile: l’intelligenza artificiale sta entrando nelle piattaforme digitali e, come già anticipato in un mio video precedente, questo cambierà radicalmente il nostro modo di interagire non solo con le piattaforme ma anche tra di noi.

Le relazioni e le conversazioni tra utenti saranno inevitabilmente influenzate dall’uso dell’IA. Dobbiamo farlo in maniera informata e consapevole, sapendo se i nostri dati saranno dati in pasto all’intelligenza artificiale e avendo la possibilità di scegliere, in linea con il consenso informato richiesto dal GDPR.

Il GDPR poggia la sua intera esistenza su questo principio: anche se non c’è un obbligo esplicito, la dichiarazione di consenso dovrebbe far parte dell’esperienza dell’utente, permettendogli di scegliere se concedere i propri dati.

 

Questi sono, in sostanza, i due elementi che rendono Meta AI un caso particolare.

Adesso bisognerà osservare se Meta intende, in questo scenario globale – complicato da aspetti geopolitici, finanziari e normativi – adeguarsi pienamente al regolamento europeo. Vedremo anche come reagirà l’Unione Europea a questi due punti critici, soprattutto considerando le tensioni nei rapporti con gli Stati Uniti e l’eventuale questione dei dazi e della web tax che colpiranno le big tech.

Non è uno scenario facile, e vedremo come evolveranno le cose. Ci interrogheremo se Meta AI diventerà più conforme al GDPR.

Condividete le vostre esperienze e i vostri pensieri: se Meta AI è stata utilizzata, se eravate informati sull’uso dei vostri dati. Fatemelo sapere nei commenti.

 

Sanzioni UE a X di Elon Musk, scenari e tensioni con gli USA

Sanzioni UE a X di Elon Musk, scenari e tensioni con gli USA

Secondo il NYT, la UE sarebbe pronta a sanzionare X per violazione del Digital Services Act. Il caso potrebbe trasformarsi in un nuovo conflitto tra UE e USA, e accentuare le tensioni già alle stelle per via dei dazi.

Secondo il  New York Times ci si avvicina ad un possibile scontro tra l’Unione Europea e X, la piattaforma social di Elon Musk. Scontro da molti già prospettato in precedenza.

Secondo quanto riportato, le autorità UE starebbero preparando una sanzione che potrebbe superare il miliardo di dollari. L’accusa rivolta a X è di aver violato il Digital Services Act (DSA), la normativa comunitaria che regola i servizi digitali e impone alle grandi piattaforme di contrastare contenuti illeciti e disinformazione.

Non è una notizia da poco. Si tratta di un segnale forte, che potrebbe segnare un punto di svolta nei rapporti tra Bruxelles e le big tech americane, con ricadute che vanno ben oltre il destino della piattaforma di Musk.

Il contesto: il Digital Services Act e  il controllo digitale

Per capire di cosa stiamo parlando, è necessario fare un passo indietro.

Il Digital Services Act, entrato in vigore nel 2024, è il pilastro della strategia europea per regolamentare il selvaggio west del digitale.

L’obiettivo è garantire che le piattaforme con più di 45 milioni di utenti nell’UE – come X – adottino misure rigorose contro la diffusione di contenuti illegali, dalla propaganda estremista alla disinformazione sistematica.

Le sanzioni per chi non si adegua possono arrivare fino al 6% del fatturato globale annuo, una cifra che, nel caso di X, potrebbe tradursi in una multa monstre.

L’indagine su X non è una novità.

Sanzioni UE a X di Elon Musk, scenari e tensioni con gli USA
Sanzioni UE a X di Elon Musk, scenari e tensioni con gli USA

Indagine su X avviata a fine 2023

Già a dicembre 2023, la Commissione Europea aveva aperto un fascicolo per verificare se la piattaforma rispettasse le nuove regole, concentrandosi su questioni come la gestione delle “spunte blu” a pagamento – accusate di favorire account falsi – e la trasparenza nella moderazione dei contenuti.

Ora, a quanto pare, Bruxelles è pronta a passare dalle parole ai fatti. L’articolo del NYT cita fonti anonime vicine all’indagine, secondo cui la multa potrebbe essere annunciata nell’estate del 2025. Accompagnata da richieste di modifiche strutturali alla piattaforma.

Un colpo diretto non solo a X, ma anche a Elon Musk, figura controversa, che da anni si scontra con le autorità europee sulla sua visione di una libertà di espressione senza filtri. E che oggi ricopre un ruolo di rilievo all’interno dell’amministrazione Trump.

I possibili scenari, cosa succede se la sanzione diventa realtà

Se l’UE dovesse confermare la sanzione, gli scenari possibili sono molteplici.

Il primo, e più immediato, è quello economico. Una multa superiore al miliardo di dollari metterebbe sotto pressione X, già alle prese con un calo di utenti e introiti pubblicitari dopo l’acquisizione da parte di Musk nel 2022. E che di recente è stata acquisita da xAI per 33 miliardi di dollari.

Ma non si tratterebbe solo di soldi. L’Europa potrebbe imporre cambiamenti operativi – come una revisione degli algoritmi o un rafforzamento della moderazione – che Musk ha sempre osteggiato, considerandoli una forma di censura.

Poi c’è lo scenario politico. X potrebbe decidere di resistere, magari ritirandosi dal mercato europeo per evitare di piegarsi alle regole del DSA.

Una mossa estrema, ma non del tutto improbabile, visto il carattere di Musk e le sue recenti prese di posizione contro Bruxelles. In alternativa, la piattaforma potrebbe adeguarsi, ma a costo di perdere parte della sua identità “libertaria”. Da ricordare la vicenda del Brasile.

Infine, c’è lo scenario diplomatico, quello più complesso. Una sanzione di questa portata non resterebbe un affare tra l’UE e X. Si colpirebbe un simbolo del potere tecnologico americano, guidato da un uomo che è anche uno dei più stretti alleati del presidente Donald Trump. E qui entra in gioco il contesto più ampio.

Le tensioni tra Usa e UE, dai dazi allo scontro sul digitale

Le relazioni tra Stati Uniti e Unione Europea non sono mai state così fragili.

Con l’entrata in vigore dei dazi annunciati da Trump due giorni fa – tariffe del 25% su acciaio, alluminio e auto, seguite da altre su semiconduttori e farmaceutici – il tutto si è trasformato in un campo di battaglia commerciale.

L’UE ha idea di rispondere con propri dazi, rinviati al momento al 13 aprile, ma la rappresaglia potrebbe presto prendere di mira i giganti digitali americani, come suggerito dal leader del PPE Manfred Weber: “Se Trump colpisce i nostri beni, noi puntiamo sui loro servizi”.

In questo clima di guerra fredda economica, la sanzione a X rischia di essere percepita come un attacco diretto agli interessi americani.

Musk, a capo del Department of Government Efficiency (DOGE) nella nuova amministrazione Trump, non è solo un imprenditore: è. Oggi è un attore politico di peso, con un’influenza che spazia ovunque.

L’UE, dal canto suo, sembra voler usare X come esempio per dimostrare che nessuno è al di sopra delle sue leggi. Una mossa che potrebbe innescare una reazione a catena.

Trump, che ha già minacciato di far uscire gli USA dalla NATO in risposta a mosse ostili, potrebbe vedere nella multa addirittura un affronto personale, esasperando ulteriormente le tensioni transatlantiche.

La risposta di X in cui parla di censura

X non è rimasta in silenzio. In un post pubblicato sulla piattaforma, la società ha replicato con toni decisi: “L’UE vuole punirci per aver difeso la libertà di parola. Il Digital Services Act è un’arma di censura, non una legge per la sicurezza. Non ci piegheremo”.

Un messaggio che riflette la linea dura di Musk, pronto a trasformare la vicenda in una crociata ideologica.

Nessuna apertura al dialogo, nessuna promessa di adeguamento. Solo la sfida aperta a Bruxelles, con un richiamo implicito al sostegno di Trump e dei suoi follower.

Le big tech si rivolgono a Trump per pressioni su UE

Non è un caso che, negli ultimi mesi, i grandi nomi della Silicon Valley abbiano intensificato i contatti con l’amministrazione Trump.

Mark Zuckerberg, ad esempio, in un’intervista al podcast Joe Rogan Experience del 18 gennaio 2025, ha dichiarato: “Gli Stati Uniti dovrebbero difendere le loro aziende tecnologiche. È un vantaggio strategico che non possiamo perdere”.

Una posizione che sembra un appello diretto a Trump per contrastare le mosse dell’UE, come il DSA o il Digital Markets Act, percepiti come minacce al dominio americano nel digitale.

Anche Sam Altman, CEO di OpenAI, ha reso la sua donazione alla campagna di Trump, un gesto che alcuni interpretano come un tentativo di assicurarsi un alleato contro eventuali ritorsioni europee.

Musk, dal canto suo, non ha bisogno di chiedere favori. Il suo legame con Trump è già solido, cementato da anni di sostegno politico e finanziario.

Il futuro in bilico tra Usa e UE

La vicenda di X e dell’UE è molto più di una disputa legale. È un capitolo di una storia più grande, quella di un mondo ormai diviso tra visioni opposte.

Da un lato, l’Europa che cerca di imporre regole per proteggere i cittadini e la democrazia; dall’altro, un’America che vede nel controllo digitale una minaccia alla sua egemonia.

Le sanzioni, se dovessero arrivare, non sarebbero solo un conto da pagare per Musk. Sarebbero un test per capire fino a che punto le tensioni transatlantiche possono spingersi prima di spezzare qualcosa di irreparabile.

E noi, come sempre, staremo qui ad osservare ed interpretare gli eventi, cercando di decifrare un futuro che oggi si scrive anche a colpi di post.

Il mondo del lavoro nell’era della IA, secondo LinkedIn

Il mondo del lavoro nell’era della IA, secondo LinkedIn

Come sta cambiando il mondo del lavoro nell’era della IA? I dati diffusi da LinkedIn sulle skill professionali in crescita, ci aiutano a scoprire le competenze necessarie per affrontare questo grande cambiamento.

In un momento in cui si parla, quasi quotidianamente, di come cambierà il lavoro nell’era della IA, ecco che LinkedIn ci offre una bussola per orientarci tra i cambiamenti in atto.

Con il recente rapporto Skills on the Rise 2025, la piattaforma di social business media più grande al mondo ha definito le 15 competenze che domineranno il mercato, negli Usa e in Europa, nei prossimi mesi.

Anche se l’Italia non è citata esplicitamente, queste tendenze emerse parlano chiaro. L’intelligenza artificiale e le soft skills saranno il cuore del mercato del lavoro anche da noi.

E c’è una sorpresa – o forse no – al primo posto: l’AI Literacy, ovvero la capacità di comprendere e utilizzare l’intelligenza artificiale.

Si tratta di un segnale chiaro. Il futuro è già qui, e chi vuole rimanere competitivo deve imparare a parlare la lingua della IA.

Un panorama in trasformazione

Il dato che colpisce di più arriva da una previsione: entro il 2030 (dal 2015), il 70% delle competenze richieste per la maggior parte dei lavori sarà diverso da oggi.

Non è fantascienza, ma una realtà spinta dall’adozione sempre più accelerata e capillare dell’IA in ogni settore.

LinkedIn, analizzando i profili dei suoi utenti e le offerte di lavoro pubblicate, ha stilato una classifica che mescola hard e soft skills. E il messaggio è evidente: non basta più essere specialisti in un solo campo, serve una visione d’insieme.

Dopo l’AI Literacy, troviamo competenze come la gestione del cambiamento, il pensiero critico e la leadership. Ma anche skill più tecniche come la gestione dei dati e la sicurezza informatica.

Il mondo del lavoro nell’era della IA, secondo LinkedIn
Il mondo del lavoro nell’era della IA, secondo LinkedIn

Perché l’AI Literacy è la regina del 2025

Non è un caso che l’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale sia in cima alla lista, un po’ ovunque.

Oggi l’IA non è più un optional. Dalle aziende che ottimizzano i processi produttivi ai professionisti che usano tool come ChatGPT per scrivere report o analizzare dati, questa tecnologia sta ridefinendo il modo in cui lavoriamo.

Ma attenzione, non si tratta solo di sapere “premere un pulsante”. L’AI Literacy significa capire come funzionano questi strumenti, interpretarne i risultati e integrarli in modo etico e strategico nel proprio flusso di lavoro. È una competenza trasversale, che tocca tanto il marketer quanto l’ingegnere. Tanto per chiarirci.

Non solo tecnologia: il ritorno delle soft skills

Accanto alle abilità tecniche, il rapporto di LinkedIn dà spazio a quelle che abbiamo sempre definito “soft skills” – e che oggi sono tutt’altro che secondarie.

Comunicazione, problem solving e capacità di adattamento al cambiamento sono tra le protagoniste.

Un esempio? La gestione del cambiamento, seconda in classifica, riflette la necessità di navigare in un contesto lavorativo sempre più fluido, dove le certezze di ieri non valgono più. È un invito a essere resilienti, un tema che torna spesso quando si parla di futuro del lavoro.

La “competenza” del pensiero critico

Tra queste si fa strada anche la capacità di “pensiero critico”. Ho già detto in altre occasioni che questa soft skill assume, e assumerà, uno spazio sempre più rilevante.

In un mondo dove l’intelligenza artificiale (IA) domina i processi e i dati inondano ogni decisione, la capacità di analizzare, valutare e prendere decisioni consapevoli diventa una sorta di ancora di salvezza. Ma cosa significa davvero nel contesto europeo?

L’IA può elaborare dati e suggerire soluzioni, ma non sa “pensare fuori dagli schemi” né mettere in discussione i propri output. Il pensiero critico serve a interpretare i risultati dell’IA, valutarne l’affidabilità e adattarli a contesti locali.

Pensiamo a un responsabile marketing che usa un tool di analisi predittiva: senza la capacità di chiedersi “questi dati sono davvero rappresentativi?” o “questa strategia ha senso per il mio pubblico?”, l’automazione rischia di diventare un boomerang.

Il pensiero critico entra in gioco come abilità per affrontare problemi complessi. Non si tratta solo di trovare risposte, ma di fare le domande giuste.

In Europa, la digitalizzazione dei processi, la spinta verso modelli ibridi di lavoro e l’urgenza climatica stanno cambiando profondamente le priorità aziendali.

Come cambieranno le competenze

In questo scenario, secondo il World Economic Forum, entro il 2027 il 44% delle competenze dei lavoratori dovrà essere aggiornato, e oltre il 75% delle aziende in Europa ha dichiarato di voler investire in upskilling e reskilling nei prossimi due anni.

Ma c’è di più: la conoscenza nei modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) è oggi tra le skill in crescita in Germania e Regno Unito. È un segnale chiaro del ruolo che strumenti come ChatGPT, Gemini o Claude stanno giocando non solo nella creazione di contenuti, ma anche nei processi di decision-making, ricerca, assistenza e relazione con il cliente.

L’IA non sostituisce, ma ridisegna

Il dibattito su come l’intelligenza artificiale stia impattando il lavoro resta aperto. Se da una parte c’è chi teme la sostituzione, dall’altra emerge un’interpretazione più concreta e matura: l’IA non elimina il lavoro, ma lo ridisegna.

Serve quindi un cambio di mentalità.

I lavoratori che sapranno collaborare con l’IA, comprenderne la logica, sfruttarne le potenzialità nei contesti giusti, saranno più preparati ad affrontare un mercato del lavoro in continua evoluzione. Ecco perché l’AI literacy è diventata una skill diffusa non solo tra i tecnici, ma anche tra chi lavora nel marketing, nella comunicazione, nelle vendite, nel customer service.

Differenze per paese

LinkedIn adatta le classifiche in base alle specificità dei mercati del lavoro locali. Ad esempio:
  • India: la lista dà più peso a competenze tecniche come Code Review (2° posto), Debugging, e Prompt Engineering, oltre a soft skills come Creativity and Innovation (1° posto) e Strategic Thinking. AI Literacy è presente ma non al primo posto.
  • Germania: competenze legate all’ingegneria e alla manifattura (es. Software Design, Process Optimization) sono più prominenti, insieme a Cybersecurity, vista l’importanza della protezione dati nell’UE.
  • Francia: soft skills come Comunicazione e Adattamento salgono in classifica, insieme a Customer Engagement, per il focus su servizi e relazioni con i clienti.
  • Regno Unito: AI Literacy e Data Management sono alte, ma anche Regulatory Compliance emerge per via del contesto normativo post-Brexit.

Una “media” delle 15 competenze

Ecco una media delle competenze, considerando la frequenza con cui una competenza appare nelle prime posizioni tra i vari paesi e la sua rilevanza globale:
  1. AI Literacy – sempre tra le prime, fondamentale ovunque per l’impatto dell’IA.
  2. Communication – ricorre in tutte le liste, essenziale in contesti ibridi e multiculturali.
  3. Adaptability – alta priorità per la rapidità dei cambiamenti globali.
  4. Critical Thinking – valutata ovunque per risolvere problemi complessi.
  5. Creativity and Innovation – spicca in India e compare spesso altrove.
  6. Leadership – costante per guidare team in transizione.
  7. Problem Solving – universale, soprattutto in India e USA.
  8. Data Management – cresce con la digitalizzazione, rilevante in UK e Germania.
  9. Cybersecurity – priorità in Europa (es. Germania) e USA.
  10. Change Management – frequente per gestire trasformazioni aziendali.
  11. Process Optimization – importante in contesti industriali (es. Germania).
  12. Stakeholder Management – ricorre in India e UK per relazioni strategiche.
  13. Large Language Model (LLM) Development – specifica ma in crescita, specie in tech hub.
  14. Market Analysis – rilevante per strategie di business globali.
  15. Conflict Resolution – emerge in USA e Francia per dinamiche lavorative.
Le competenze che contano nel 2025 per la IA
Le competenze che contano nel 2025 per la IA

Come cambierà il lavoro nei prossimi anni

La trasformazione è già in atto. Le professioni stanno cambiando forma, alcune si ibridano, altre spariscono o si trasformano profondamente. Allo stesso tempo, ne stanno emergendo di nuove.

Ciò che sta accadendo oggi non è solo un aggiornamento delle competenze, ma una ristrutturazione dei modelli professionali. Le organizzazioni più lungimiranti stanno già investendo per costruire team capaci di:

  • apprendere in modo continuo;

  • integrare strumenti digitali e umani;

  • gestire il cambiamento come una costante;

  • lavorare in contesti multiculturali e distribuiti.

In tutto questo, torna centrale una visione più ampia della formazione: non più solo tecnica, ma culturale e umana. La capacità di imparare, di leggere la complessità, di agire con consapevolezza e senso critico diventa la vera risorsa scarsa del futuro.

Alla fine per abbracciare il cambiamento non resta che imparare, imparare sempre. Studiare, approfondire per abbracciare il cambiamento.

Guarda e ascolta il video

[L’immagine di copertina, come quelle che accompagnano le condivisioni sui canali social media, è stata realizzata da Franz Russo usano il modello di generazione delle immagini Chatgpt-4o]

Ci informiamo sui social media, ma non ci fidiamo

Ci informiamo sui social media, ma non ci fidiamo

I social media hanno superato la TV come mezzo principale per informarsi, ma la fiducia verso queste piattaforme è molto bassa. Il rapporto AGCOM ci restituisce la fotografia di una informazione debole e la conferma dell’algoritmo del proprietario.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio annuale sul sistema dell’informazione 2025 pubblicato da AGCOM, nel 2023 i social media hanno superato la televisione come principale mezzo di informazione per gli italiani.

Si tratta di un sorpasso che possiamo definire storico. E che segna una svolta nel modo in cui le persone si informano quotidianamente.

Va detto che questo primato non si accompagna a un incremento della fiducia da parte degli utenti. Al contrario, i social si confermano tra le fonti ritenute meno affidabili.

E qui siamo nella dimensione del paradosso, o quasi.

Come si informano gli italiani: il ruolo crescente dei social media

Nel dettaglio, il rapporto evidenzia che:

  • il 19,8% degli italiani utilizza i social media come primo strumento per accedere all’informazione online;
  • seguiti da motori di ricerca (17,9%) e siti di quotidiani/periodici (11,8%);
  • il 50,5% degli utenti iscritti a social media dichiara di venire a conoscenza delle notizie sui social prima che da qualsiasi altro mezzo.

Con questi numeri, i social media superano la televisione, che si attesta al 46,5% come uso informativo nel giorno medio, in calo costante rispetto al 67,4% del 2019.

Interazioni superficiali e partecipazione limitata

Il rapporto AGCOM evidenzia anche come gli utenti tendono ad avere un comportamento prevalentemente passivo rispetto all’informazione ricevuta sui social media:

  • il 43,4% si limita a cliccare sui link;
  • il 40,7% mette un like;
  • solo il 16,9% commenta, il 12,6% condivide e appena il 6,1% avvia una discussione;
  • il 25,1% non compie alcuna azione rispetto alle notizie visualizzate.

Curiosamente, gli utenti over 65 si dimostrano spesso più attivi dei giovani nei commenti e nelle interazioni, a smentire il luogo comune di una fruizione più passiva da parte delle generazioni meno digitalizzate.

Fiducia ai minimi storici per i social media

Nonostante la centralità sempre maggiore nel consumo informativo, la fiducia nei social media resta bassa:

  • solo il 15,7% degli italiani esprime alta fiducia nei social come fonte d’informazione;
  • il 30,2% manifesta bassa fiducia;
  • i social si posizionano penultimi nella classifica delle fonti più affidabili, seguiti solo dalle piattaforme video;
  • anche tra i giovani (14-24 anni), che usano i social in modo intensivo, cresce il numero di chi non nutre fiducia in alcuna fonte informativa.

La relazione tra uso e fiducia non è lineare: chi usa intensamente un mezzo tende ad averne più fiducia, ma nel caso dei social media questa correlazione è debole. Il dato appare ancora più significativo se confrontato con la fiducia nella televisione, che rimane alta soprattutto tra gli over 65 (44,5%).

Un ecosistema informativo fragile e sbilanciato

L’analisi di AGCOM conferma che l’informazione è sempre più mediata da piattaforme digitali. E che questo passaggio ha generato una informazione sempre più debole. Sempre più esposta a manipolazioni e a deformazioni.

La prevalenza dei social nel ruolo di gatekeeper dell’informazione non garantisce qualità, affidabilità o trasparenza.

Questa tendenza si inserisce perfettamente nelle riflessioni che sto affrontando negli ultimi mesi. Dall’erosione della fiducia digitale all’algoritmo del proprietario, fino alla crescente polarizzazione dell’informazione.


Guarda il video:


I social media diventano lo spazio principale dove l’informazione viene vista, ma non dove si costruisce fiducia.

Il contenuto viene costruito solo per essere visto e non, banalmente, per informare e per generare opinioni e conversazioni.

Un divario che continuerà ad allargarsi finché non verrà affrontato con responsabilità, tanto da parte delle piattaforme quanto da chi crea contenuti.

Il quadro che emerge è chiaro. I social media sono oggi la porta d’accesso privilegiata all’informazione per milioni di italiani. Ma a questa centralità non corrisponde un riconoscimento in termini di autorevolezza.

É necessario concentrarsi sulla costruzione di contenuti che siano effettivamente informativi e che puntino alla qualità. Resto sempre convinto, infatti, che il contenuto equivalga ancora alla Relazione. Ma serve recuperare qualità e abbandonare il concetto di quantità che tanto piace all’algoritmo del proprietario.

[Immagine ci copertina realizzata da Franz Russo attraverso il modello di intelligenza artificiale generativa ChatGPT-4o]

 

Fiducia digitale degli utenti in calo, fanno peggio i social media

Fiducia digitale degli utenti in calo, fanno peggio i social media

Il Consumer Digital Trust Index 2025 di Thales mostra un calo nella fiducia digitale: se le banche sono al 44%, i social sono solo al 4%. L’82% abbandona i brand per i dati a rischio. Passkey e biometria possono invertire la rotta?

Ma voi vi fidate dei servizi digitali che usate? Dei siti web, delle app? E di come sono gestiti i vostri dati personali?

Cominciamo col dire che la fiducia degli utenti nei servizi digitali sta calando. E questo non è un buon segnale.

E ce lo conferma il Thales Consumer Digital Trust Index 2025, che fotografa un quadro preoccupante. I consumatori sono sempre più scettici nei confronti delle aziende e dei servizi digitali; mentre le imprese non riescono a colmare il divario di fiducia.

Ma vediamo i dati più rilevanti del report e un breve focus sull’Italia.

La fiducia digitale in declino a livello globale

Secondo il report, la fiducia nei servizi digitali è in declino o rimane stagnante in tutti i settori. Anche quelli più regolamentati.

Il dato più critico? L’82% dei consumatori ha abbandonato almeno un brand negli ultimi 12 mesi. Principalmente a causa di richieste eccessive di dati personali; processi di autenticazione non all’altezza; e scarsa trasparenza.

Il calo della fiducia è legato anche al fatto che quasi uno su cinque (il 19%) è stato informato che i propri dati personali sono stati compromessi nell’ultimo anno. Si tratta di un campanello d’allarme per le aziende, che dovrebbero adottare misure più efficaci per garantire la sicurezza e la privacy degli utenti.

Fiducia digitale degli utenti in calo, fanno peggio i social media
Fiducia digitale degli utenti in calo, fanno peggio i social media – foto: Greta Hoffman su pexels.com

Fiducia digitale, i dati più rilevati del 2025

Password e autenticazione sotto accusa

Il 75% dei consumatori vorrebbe eliminare le password in favore di metodi più sicuri come dati biometrici o PIN.

L’onere della sicurezza è tutto sui consumatori

Il 63% degli utenti ritiene che le aziende stiano delegando a loro la protezione dei dati. Invece di adottare misure più efficaci.

I bot malevoli compromettono l’esperienza utente

Il 33% degli utenti ha avuto problemi con acquisti digitali a causa di bot che alterano il processo d’acquisto, causando frustrazione e insoddisfazione.

I media e social media sono i meno affidabili

Solo il 3% dei consumatori si fida delle testate giornalistiche per la gestione dei propri dati.

Solo il 4% si fida dei social media, un dato che riflette una crisi di fiducia strutturale verso le piattaforme social, sempre più percepite come poco trasparenti.

La fiducia nei social media è al minimo storico

Uno degli aspetti più significativi del Consumer Digital Trust Index 2025 è proprio la sfiducia diffusa nei confronti dei social media.

Con solo il 4% dei consumatori che li considera affidabili nella gestione dei propri dati, il dato si allinea perfettamente a quanto già osservato e rilevato in precedenti articoli e video.

In particolare, il concetto di “algoritmo del proprietario” – di cui ho parlato spesso nel mio video podcast – trova anche in questa occasione una conferma concreta.

I social media hanno smesso di essere semplici spazi di connessione, luoghi dove ci si ritrovava condividendo interessi. Oggi il controllo sui contenuti è determinato dalle logiche e dagli interessi di chi possiede la piattaforma.

E quando la percezione è che l’utente abbia perso il controllo su cosa vede e su come vengono trattati i suoi dati, la fiducia mano a mano si sgretola.

Fiducia digitale degli utenti in calo, fanno peggio i social media
Thales Consumer Digital Trust Index 2025

Fiducia digitale, gli utenti si fidano di banche e pubblica amministrazione

Nonostante il quadro complessivo negativo, il report di Thales evidenzia anche i settori che riescono ancora a mantenere la fiducia degli utenti, pur senza superare mai la soglia del 50%.

In cima al Digital Trust Index 2025 troviamo, per il secondo anno consecutivo, il settore bancario, che ottiene un livello di fiducia globale del 44%.

Questo dato nasconde forti differenze generazionali: il 51% degli over 55 si fida dei servizi bancari, ma solo il 32% dei Gen Z esprime lo stesso livello di fiducia.

Le organizzazioni governative si posizionano al secondo posto con il 41%, registrando anche l’unico incremento rispetto all’anno precedente (dal 37%).

Al terzo posto troviamo il settore sanitario (40%), seguito da assicurazioni (24%) ed istruzione (17%).

Tutti gli altri settori si fermano sotto il 10%. Questi numeri indicano che una quota significativa di fiducia resiste, ma è concentrata in pochi ambiti percepiti come più regolamentati o sensibili.

Italia e la fiducia nei servizi digitali

Il report non presenta dati specifici sull’Italia, ma i trend europei evidenziano alcune dinamiche significative anche per il nostro Paese.

GDPR e nuove regolamentazioni

Il GDPR resta il pilastro normativo della protezione dati in Europa. Per i servizi finanziari digitali, dal gennaio 2025 (periodo vincolante), è affiancato dal Digital Operational Resilience Act (DORA), che punta a rafforzare la sicurezza informatica del settore finanziario.

Trasparenza richiesta dagli utenti

I consumatori italiani, come quelli degli altri Paesi europei, chiedono con forza maggiore chiarezza sull’utilizzo dei dati personali.

Crescita dell’autenticazione biometrica

Anche in Italia si registra un crescente interesse verso soluzioni di autenticazione più sicure e meno dipendenti dalle password.


Guarda qui il video sul Consumer Digital Trust Index 2025 di Thales


Cosa devono fare le aziende per recuperare fiducia

Per riconquistare la fiducia dei consumatori, le imprese devono agire con urgenza e visione. Ecco alcune direzioni possibili:

  • Adottare sistemi di autenticazione avanzati: meno password, più biometria e autenticazione a più fattori.
  • Ridurre la raccolta di dati superflui: chiedere solo ciò che è strettamente necessario e spiegare chiaramente l’uso che verrà fatto dei dati.
  • Comunicare la sicurezza: raccontare in modo semplice e trasparente le misure di protezione adottate.
  • Contrastare i bot malevoli: investire in tecnologie che migliorano l’esperienza online e proteggono gli utenti.
  • Implementare tecnologie affidabili: secondo il report, il 64% degli utenti si fiderebbe di più di un brand che adotta tecnologie come passkeys, biometria e intelligenza artificiale responsabile.

Come afferma anche John Tolbert, Director of Cybersecurity Research di KuppingerCole Analysts, il calo della fiducia è un fenomeno prevedibile, ma non inevitabile: con le giuste tecnologie e un’attenzione reale all’esperienza utente, è possibile invertire la rotta.

In conclusione, il Thales Consumer Digital Trust Index 2025 conferma in modo netto che il divario in termini di fiducia tra consumatori e servizi digitali si sta ampliando.

In un contesto in cui la fiducia diventa sempre più fragile, le aziende devono dimostrare di meritarla.

Perché la fiducia, così come la reputazione e altri valori fondamentali, una volta persa, non si recupera facilmente.

Potete scaricare gratuitamente il report da questo link.

[La foto di copertina è di Greta Hoffman su pexels.com]

 

Meta AI arriva anche in Italia, la IA cambia i social media

Meta AI arriva anche in Italia, la IA cambia i social media

Meta AI debutta in Europa e Italia, precisamente in 41 paesi. Integra le piattaforme Meta senza usare dati utenti, rispettando GDPR. Segna l’evoluzione dei social media verso ecosistemi più intelligenti. Le piattaforme digitali si evolvono.

Meta AI arriva in Unione Europea, e quindi anche in Italia. L’annuncio, del 19 marzo 2025, segna l’ingresso ufficiale dell’intelligenza artificiale di Meta in UE, dopo oltre un anno di disponibilità negli Stati Uniti.

Al momento, sarà attivo in 41 paesi, risponderà in italiano e si integrerà nelle piattaforme di Meta: Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger.

Un lancio atteso, ma non privo di limitazioni, che riflette il rispetto delle norme europee sulla privacy e offre uno spunto per riflettere sulla trasformazione dei social media.

Il modello di Meta AI distribuito in Europa non utilizza i dati degli utenti di Facebook e Instagram, una scelta obbligata per conformarsi al GDPR e all’AI Act, entrato di recente in vigore. Non permetterà la generazione di immagini né sfrutterà le conversazioni degli utenti per generare contenuti in risposta alle loro richieste.

Meta AI arriva anche in Italia, la IA cambia i social media
Meta AI arriva anche in Italia, la IA cambia i social media

Si tratta di restrizioni che spiegano il ritardo nell’espansione europea. A giugno 2024, Meta aveva già pianificato il debutto di Meta AI in Unione Europea, ma le istituzioni, in particolare l’Autorità irlandese per la protezione dei dati, avevano imposto un fermo, richiedendo il rispetto di una serie di regole. Ora, dopo mesi di adeguamenti, l’assistente è pronto a operare.


Come si usa Meta AI?

Meta AI sarà accessibile in diversi modi all’interno delle piattaforme Meta:

  • Su Instagram e Messenger, l’AI potrà essere attivata nei messaggi diretti.
  • Nei gruppi WhatsApp, gli utenti potranno menzionare @MetaAI per porre domande e ricevere risposte contestualizzate.
  • Nei commenti su Facebook, Meta AI potrà essere interpellata per fornire approfondimenti.
  • Sul sito meta.ai, l’assistente sarà disponibile come chatbot.

L’icona blu di Meta AI segnalerà chiaramente la sua presenza, e per attivarlo basterà digitare @MetaAI seguito da una richiesta.

Gli esempi di utilizzo più comuni? Si potrà chiedere all’AI di fornire informazioni in tempo reale all’interno di conversazioni su WhatsApp o di intervenire in discussioni su Instagram e Facebook.


Per attivarlo, comparirà un’icona blu nei messaggi di Instagram e nei gruppi WhatsApp, oppure basterà scrivere “@MetaAI” seguito da un prompt, una richiesta esplicita. L’intelligenza artificiale risponderà a domande o interverrà nelle conversazioni, come chiedere suggerimenti in un gruppo WhatsApp o fornire informazioni rapide su Instagram. Ogni contenuto generato da Meta AI sarà chiaramente identificato, in linea con le disposizioni dell’AI Act.

Le piattaforme digitali cambiano con la IA

Questa novità non è solo un aggiornamento tecnologico, ma la dimostrazione di un cambiamento profondo nelle piattaforme digitali. L’intelligenza artificiale non è più confinata a un algoritmo che decide cosa mostrare, il cosiddetto “algoritmo del proprietario”, che sempre più spesso privilegia i contenuti graditi alla piattaforma stessa, trascurando gli interessi reali degli utenti.

Ora, l’AI diventa un elemento attivo nella generazione di contenuti all’interno delle conversazioni tra utenti. Meta AI alimenterà un’ulteriore chiusura degli spazi digitali, trattenendo gli utenti all’interno delle piattaforme con risposte immediate e personalizzate, rafforzando il fenomeno delle bolle informative.

MetaAI e l’addio al fact-checking

Il lancio di Meta AI coincide con un altro sviluppo significativo: Meta ha abbandonato il fact-checking tradizionale e sta testando, negli Stati Uniti, le Community Notes, un sistema che affida agli utenti la validazione delle informazioni nei post. Questo approccio arriverà anche in Italia e vedrà probabilmente un ruolo per l’intelligenza artificiale.

In Europa, va precisato, le regole sulla privacy limiteranno l’impatto di queste innovazioni, mantenendo un equilibrio tra tecnologia e protezione dei dati.

Le piattaforme digitali, con Meta AI, si trasformano in assistenti in tempo reale e motori di ricerca integrati. Gli utenti potranno interrogare l’AI senza uscire dalle app, un modello che espanderà il loro ruolo oltre la semplice comunicazione.


Guarda il video


In futuro, Meta AI potrebbe generare contenuti automatici, incluse immagini, come già accade fuori dall’Unione Europea.

L’esempio di Grok su X

Un esempio parallelo è X, dove Grok, l’AI di Elon Musk, interviene direttamente nelle conversazioni quando richiamato con “@Grok”, rispondendo su argomenti specifici. A differenza di Grok, che opera come un bot con una sezione dedicata e un’app stand-alone negli Stati Uniti, Meta AI si integra nativamente nelle conversazioni, un aspetto che sottolinea la direzione verso una presenza sempre più pervasiva dell’AI.

Le piattaforme social media, con la IA da strumenti ad assistenti

Questo cambiamento ridefinisce le piattaforme digitali, nate come strumenti per connettere gli utenti, ma ora sempre più orientate a diventare ecosistemi autonomi.

Lo sviluppo di Meta AI in Italia dipenderà da come gli utenti lo accoglieranno: sarà un intervento minimo, senza impatto sulle conversazioni, o un elemento centrale nella loro evoluzione?

Nei prossimi mesi, osserveremo come tutto questo si inserirà nel nostro contesto e quale percorso prenderà.

 

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