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Sorpasso dello streaming sulla Tv, un passaggio epocale

Sorpasso dello streaming sulla Tv, un passaggio epocale

Secondo Nielsen, a maggio 2025 lo streaming ha superato per la prima volta la TV tradizionale negli USA, raggiungendo quasi il 45% del tempo di visione. Un sorpasso storico che ci dice molto più di quanto sembri: cambia il modo in cui ci informiamo, ci intratteniamo.

Negli ultimi anni, il modo in cui fruiamo dei contenuti video è cambiato radicalmente.

Secondo gli ultimi dati Nielsen, a maggio 2025 lo streaming ha rappresentato il 44,8% del tempo totale trascorso davanti allo schermo negli Stati Uniti. Per la prima volta, ha superato la somma delle due principali forme di televisione tradizionale: via cavo e in chiaro.

Un dato che non lascia spazio a dubbi: lo streaming non è più un’alternativa. È diventato il modo principale con cui le persone si informano, si intrattengono e scelgono cosa vedere.

Ma cosa significa davvero questo sorpasso?

Significa che non guardiamo più la TV come una volta. E non si tratta solo di tecnologia. È in atto un cambio culturale profondo. L’utente oggi è protagonista, sceglie quando, come e cosa guardare. Non esiste più il vincolo del palinsesti; non c’è più l’attesa per il programma delle 21. O delle 20:30 per chi lo ricorda. Tutto è on demand. Sempre.

Non è un caso che le piattaforme più popolari, da YouTube a Netflix, da Twitch a TikTok, siano diventate nel tempo ecosistemi di attenzione, capaci di trattenere gli utenti per ore grazie a un flusso continuo e personalizzato di contenuti.

Sorpasso dello streaming sulla Tv, un passaggio epocale
Sorpasso dello streaming sulla Tv, un passaggio epocale

E questa trasformazione non riguarda solo l’intrattenimento.

Sempre più persone si informano tramite live streaming, notizie commentate in diretta, creator che costruiscono formati originali dove informazione e opinione si fondono. La differenza tra chi fa TV e chi fa streaming è ormai sempre più sottile. In molti casi, è del tutto svanita.

Non è più la TV a dettare il tempo dell’informazione o del racconto. È lo streaming a dettare il tempo dell’attenzione.

Un tempo si diceva “ci vediamo in TV”. Oggi si dice “seguimi in diretta” o “trovi tutto sul mio canale”.

È il trionfo della logica personalizzata, ma anche della disintermediazione portata forse all’estremo.

I creator parlano direttamente alle community, saltando tutta la filiera editoriale classica. E in questo scenario, la TV tradizionale – se non evolve – rischia di diventare marginale.

Naturalmente non tutti gli utenti sono migrati completamente. I contenuti sportivi in diretta e gli eventi di massa continuano ad avere un peso in TV. Ma anche lì, lo streaming avanza. Basti pensare a quanto sia centrale oggi Amazon Prime Video per il calcio o le mosse aggressive di Disney+ per accaparrarsi diritti sportivi.

In questo scenario, resta da capire se questo sorpasso è solo numerico o se diventerà strutturale, anche nel modo in cui raccontiamo il mondo.

Perché lo streaming è veloce, adattivo, iper-personalizzato. Ma rischia anche di essere più frammentato, più polarizzato, più schiavo dell’algoritmo.

La sfida oggi non è solo quella dell’audience. È la sfida della qualità. Se il tempo dell’attenzione si è spostato sulle piattaforme, la responsabilità di chi le popola è ancora più grande.

Vi invito ad ascoltare l’episodio sul mio canale YouTube, che vi invito a seguire, e anche su Spotify che trovate qui sotto.

L’Europa accelera sulla sovranità IA, Italia tra le protagoniste

L'Europa accelera sulla sovranità IA, Italia tra le protagoniste

Uno studio di Accenture su 1.928 organizzazioni rileva che il 62% delle aziende europee cerca soluzioni di IA sovrana. L’Italia si piazza seconda in Europa con il 71% pronta ad aumentare investimenti. I settori chiave: banking, energia, PA.

C’è un dato che più di ogni altro fotografa il momento che l’Europa sta vivendo con l’intelligenza artificiale: il 62% delle organizzazioni europee è attivamente alla ricerca di soluzioni sovrane.

In realtà, si tratta di una tendenza che non sorprende, se si considera l’attuale incertezza geopolitica. E se si considera la crescente consapevolezza che il controllo su dati e infrastrutture tecnologiche rappresenta oggi un asset strategico fondamentale.

Un nuovo studio di Accenture, condotto tra luglio e agosto 2025 su 1.928 organizzazioni in 28 Paesi e 18 settori, evidenzia come la sovranità nell’intelligenza artificiale stia rapidamente passando da concetto teorico a priorità concreta per le imprese europee.

E l’Italia si colloca ai primi posti di questa trasformazione.

Cosa significa IA sovrana e perché è importante

L’IA sovrana si riferisce alla capacità di un paese di sviluppare e implementare sistemi di intelligenza artificiale utilizzando infrastrutture, dati, modelli e talenti locali.

Non si tratta solo di un concetto tecnico, ma di un vero approccio strategico che consente di proteggere i dati da accessi esterni, rafforzare la competitività economica e ridurre la dipendenza da fornitori tecnologici non europei.

In un contesto geopolitico caratterizzato da crescenti tensioni commerciali e tecnologiche, questa autonomia assume un valore, appunto, fondamentale.

La sovranità digitale diventa la risposta europea a un paradosso sempre più evidente: come accelerare l’adozione dell’intelligenza artificiale per stimolare innovazione e crescita, senza dipendere eccessivamente da tecnologie provenienti da fuori regione.

L'Europa accelera sulla sovranità IA, Italia tra le protagoniste
L’Europa accelera sulla sovranità IA, Italia tra le protagoniste

I numeri della svolta e l’Italia protagonista

Dallo studio di Accenture emerge che, nei prossimi due anni, il 60% delle organizzazioni europee prevede di aumentare gli investimenti in tecnologie di IA sovrana. L’Italia si distingue con il 71% delle aziende intenzionate a potenziare gli investimenti in questo ambito, posizionandosi come secondo paese europeo subito dopo la Germania (73%) e davanti a Svizzera (64%), Spagna (63%) e Regno Unito (62%).

Le preoccupazioni legate alla sovranità tecnologica sono particolarmente rilevate in alcuni paesi: Danimarca (80%), Irlanda (72%) e Germania (72%) guidano la classifica delle nazioni più attente al controllo dei propri dati e infrastrutture.

Sovranità IA investimenti per Paese
Sovranità IA investimenti per Paese

Sovranità IA, settori strategici in prima linea

Come prevedibile, i settori con requisiti regolatori stringenti e che gestiscono dati sensibili sono i più inclini ad adottare soluzioni sovrane. Il settore bancario si colloca in testa con il 76% delle organizzazioni alla ricerca di queste soluzioni, seguito dall’energia (70%) e dalla pubblica amministrazione (69%). Questi numeri riflettono la necessità di proteggere informazioni critiche e rispettare normative sempre più stringenti in materia di privacy e sicurezza dei dati.

In pratica, settori come la finanza devono garantire che i dati dei clienti rimangano sotto controllo locale, mentre nel comparto energetico – considerato infrastruttura critica – la sovranità tecnologica diventa una questione di sicurezza nazionale.

Il paradosso europeo, tra controllo e innovazione

Mauro Macchi CEO Accenture EMEA
Mauro Macchi CEO Accenture EMEA

“L’Europa si trova davanti ad un paradosso”, sottolinea Mauro Macchi, CEO Accenture EMEA. “Da una parte i suoi leader comprendono la necessità di accelerare l’adozione dell’intelligenza artificiale per stimolare innovazione e crescita, ma dall’altra, poiché la maggior parte delle tecnologie proviene da fuori regione, ritengono che ciò rappresenti un rischio”.

La soluzione a questo dilemma emerge chiaramente dallo studio. Ossia, un approccio ibrido che bilancia controllo dei dati e accesso all’innovazione mondiale.

Secondo la ricerca, nelle organizzazioni europee solo un terzo dei progetti di IA (il 36%) richiede effettivamente un approccio sovrano, principalmente per motivi regolatori o per la sensibilità dei dati trattati.

Il restante 65% delle organizzazioni riconosce di non poter restare competitivo senza la collaborazione di fornitori tecnologici non europei, mentre il 57% valuta l’utilizzo di soluzioni sovrane offerte sia da provider europei sia extraeuropei.

Vale a dire, la sovranità non significa isolamento, ma scelta consapevole del giusto livello di controllo.

Dall’architettura tecnologica alla strategia di business

“Un approccio di IA sovrana non significa centralizzare tutto”, precisa Mauro Capo, Digital Sovereignty Lead Accenture EMEA. “L’obiettivo è scegliere il giusto livello di controllo su dati, infrastruttura e modelli, mantenendo al contempo i vantaggi di scala e la velocità d’innovazione offerti da alcuni provider globali”.

In alcuni casi è sufficiente garantire la residenza locale dei dati, in altri – come nel settore della difesa – serve una piena sovranità su tutti i componenti dell’intelligenza artificiale. Questa flessibilità architettonica rappresenta la chiave per massimizzare il valore dell’IA sovrana senza sacrificare competitività e innovazione.

Accenture è già attiva nel supportare questo percorso, con progetti concreti come quello realizzato in Svezia con Telia Cygate per aiutare le organizzazioni locali ad adottare soluzioni di intelligenza artificiale scalabili e sicure.

In Europa, l’azienda collabora con diversi partner infrastrutturali come Nebius, piattaforma cloud di IA basata ad Amsterdam, per creare le fondamenta delle fabbriche di IA sovrana dei clienti.

Da rischio a vantaggio competitivo, il cambio di prospettiva necessario

Oggi solo il 19% delle organizzazioni considera l’IA sovrana un vero vantaggio competitivo, mentre quasi la metà (il 48%) la adotta principalmente per motivi di conformità normativa. Inoltre, appena il 16% delle imprese europee ha portato il tema della sovranità dell’IA all’attenzione del CEO o del Consiglio di Amministrazione.

Questi numeri rivelano un gap significativo tra l’importanza strategica della sovranità digitale e la sua percezione attuale nelle organizzazioni.

In ogni caso, la consapevolezza sta crescendo. Infatti, il 73% delle organizzazioni ritiene che governi e istituzioni, come l’Unione Europea, debbano svolgere un ruolo attivo nel rafforzare la sovranità digitale europea, attraverso regolamentazione, incentivi e investimenti pubblici.

Anche le PMI sono considerate cruciali in questo percorso: il 70% delle imprese ritiene essenziale favorirne l’accesso a soluzioni sovrane, riconoscendo che la sovranità tecnologica non può essere un privilegio riservato solo alle grandi corporation.

Roadmap per il futuro

Accenture identifica quattro pilastri fondamentali per massimizzare il valore dell’intelligenza artificiale sovrana:

Guidare la sovranità dell’IA: rendere la sovranità dell’IA una priorità strategica per i CEO, allineando innovazione, gestione del rischio e crescita aziendale.

Ripensare la sovranità: passare da una visione di mera conformità normativa a una di vantaggio competitivo e creazione di valore tangibile.

Espandere l’ecosistema: costruire architetture ibride che uniscano la fiducia e il controllo locale con l’accesso all’innovazione globale.

Ridefinire l’architettura tecnologica: integrare la sovranità in ogni livello – dati, infrastrutture, modelli e applicazioni – per garantire resilienza e adattabilità nel lungo termine.

L’Italia e la sfida della sovranità tecnologica

Il posizionamento dell’Italia al secondo posto tra i Paesi europei per investimenti previsti in IA sovrana rappresenta un segnale incoraggiante. Con il 71% delle aziende pronte ad aumentare gli investimenti nei prossimi due anni, il Paese dimostra di aver compreso l’importanza strategica di questa trasformazione.

Si tratta di un’opportunità per rafforzare il tessuto produttivo nazionale, attrarre investimenti e talenti, e posizionarsi come hub europeo per l’innovazione tecnologica sovrana. La sfida ora è tradurre questa intenzione in azioni concrete, progetti implementati e competenze sviluppate.

Prospettive future, tra autonomia e competitività

La sovranità nell’intelligenza artificiale rappresenta oggi per l’Europa molto più di una risposta difensiva alle tensioni geopolitiche. È l’opportunità di ridefinire il proprio ruolo nell’ecosistema tecnologico globale, bilanciando l’apertura all’innovazione mondiale con la protezione degli interessi strategici nazionali ed europei.

Come sempre, il successo dipenderà dalla capacità di passare dalle intenzioni ai fatti: investimenti concreti in infrastrutture, sviluppo di competenze locali, collaborazione tra pubblico e privato, e soprattutto la volontà politica di fare della sovranità digitale una vera priorità strategica.

Il momento di agire è adesso. I dati Accenture dimostrano che le organizzazioni europee hanno compreso la posta in gioco. Resta da vedere se questa consapevolezza si tradurrà in quella leadership tecnologica che l’Europa ambisce a riconquistare.


Fonte: Studio Accenture condotto tra luglio e agosto 2025 su 1.928 organizzazioni in 28 Paesi e 18 settori

Meta Q3 2025, si punta tutto su IA e superintelligenza

Meta Q3 2025, si punta tutto su IA e superintelligenza

I numeri del Q3 di Meta mostrano come la società di Zuckerberg sia ormai orientata verso l’intelligenza artificiale. Anzi, verso la superintelligenza: investimenti e infrastrutture puntano a un’intelligenza superiore firmata Meta.

Questo è quel periodo dell’anno in cui molte aziende quotate fanno un po’ di conti sull’andamento delle piattaforme digitali. apparentemente sono dati che danno noia, numeri finanziari, dati su guadagni e altro. In realtà, in questo preciso momento, sono dati che ci dicono in che direzione stanno procedendo le aziende.

E vediamo insieme come è andato il terzo trimestre per Meta, la società di Mark Zuckerberg che in questi mesi ha virato completamente sulla IA. Pertanto, il Metaverso, mai del tutto avviato, è già un lontano ricordo.

Dunque, Meta ha presentato i risultati del terzo trimestre nella giornata del 29 ottobre 2025. I numeri confermano l’assoluto dominio pubblicitario e una visione che guarda ormai sempre più lontano, ossia alla superintelligenza. Ma dietro questa narrazione di successo si nascondono scelte strategiche che ridisegnano il futuro non solo di Meta, ma dell’intero ecosistema tecnologico.

Partiamo dai dati che contano davvero.

Le piattaforme Meta, dominio incontrastato

Quando si parla di Meta nel 2025, non possiamo parlare solo di Facebook. Ormai lo abbiamo imparato bene, stiamo parlando di un ecosistema di comunicazione globale che tocca quotidianamente la quasi totalità del pianeta.

Nel Q3 2025 (terza trimestrale dell’anno), Meta ha raggiunto 3.54 miliardi di persone che usano almeno una delle sue app ogni giorno. Giusto per comprendere meglio, con tutti i limiti del caso. Ad oggi, la popolazione mondiale è di circa 8.1 miliardi; escludendo 1.4 miliardi di cinesi (dove Meta è bandita), questo significa che Meta raggiunge quasi il 50% della popolazione mondiale accessibile ogni singolo giorno.

Resta ancora oggi uno dei fenomeni più straordinari della storia della comunicazione, e assume un altro contorno da questo punto di vista.

Questo numero è cresciuto dell’8% anno su anno. Non è più una crescita esplosiva come avveniva un tempo, a questi livelli di scala, la crescita è per forza moderata. Ma è consistente e significa che nonostante la saturazione in molti mercati sviluppati, Meta continua ad aggiungere centinaia di milioni di nuovi utenti ogni anno.

Vediamo i dati per ogni singola piattaforma, perché i numeri disaggregati rivelano dinamiche diverse.

Meta Q3 2025, si punta tutto su IA e superintelligenza
Meta Q3 2025, si punta tutto su IA e superintelligenza

Instagram, il traguardo dei 3 miliardi di utenti

Come avevamo già anticipato il mese scorso, Instagram ha raggiunto il traguardo fondamentale in questo Q3 2025, ossia i 3 miliardi di utenti attivi. Significa che Instagram da sola ha più utenti mensili di quanti vivono nella metà della popolazione mondiale.

Facebook rimane il valore più grande in termini assoluti, ma Instagram rappresenta il vettore di crescita e, soprattutto, il laboratorio dove Meta sperimenta i formati che definiranno il futuro delle piattaforme digitali. I Reels, i video brevi, costituiscono il 50% di tutto il tempo trascorso su Instagram. Il 50%!

Gli utenti condividono 3.5 miliardi di Reels ogni giorno tra Facebook e Instagram.

Questo è il modo con cui Meta sta cercando di contrastare TikTok. Vale a dire attraverso l’integrazione del formato video breve nel DNA delle sue piattaforme. È strategia operativa che sta pagando.

Threads: da esperimento a piattaforma solida

Threads, possiamo dirlo, ha rappresentato una delle scommesse più importanti di Meta negli ultimi anni. E cioè, creare un’alternativa a X (Twitter) sfruttando la base di utenti di Instagram.

Nel Q3 2025, Threads ha superato i 150 milioni di utenti attivi giornalieri. Un dato, questo, che evidenzia come Threads sia passato dall’essere percepito come una curiosità a una piattaforma che genera engagement reale e misurabile.

Il tempo speso su Threads è aumentato del 10% nel Q3, guidato dl alcune modifiche apportate agli algoritmi di raccomandazione. Modifiche che in questo trimestre hanno generato aumento del 10% nel tempo che gli utenti trascorrono su Threads.

Più importante ancora: Meta ha iniziato a monetizzare Threads globalmente. Gli annunci sono ora presenti nel Feed su Threads a livello mondiale, e Meta gradualmente iniziando a inserire annuncia sulla piattaforma dopo aver consolidato l’utilizzo da parte degli utenti. Questo è un po’ la modalità d’azione che Meta ha perfezionato negli ultimi 10 anni.

Facebook e WhatsApp: le rocce di Meta

Facebook rimane, indiscutibilmente, il pilastro, con circa 2.11 miliardi di utenti attivi giornalieri. Molti ne dichiarano la fine, ma i numeri dicono altro. Quello che è realmente accaduto è che il suo ruolo è cambiato, lo abbiamo ricordato anche qui tante volte.

Ma Facebook resta il motore della raccomandazione algoritmica e il luogo dove le persone si connettono con i loro networks più vicini.

WhatsApp, con i suoi 2 miliardi di utenti attivi mensili, rimane l’app di messaggistica che connette il mondo. Pochi riconoscono quanto sia importante WhatsApp nella strategia di Meta, ma è qui che Meta sta costruendo il prossimo strumento di monetizzazione

Infatti, Meta sta vedendo una risposta positiva dai suoi annunci click-to-message, che permettono agli utenti di contattare i negozi direttamente da WhatsApp. I test sono ormai avviati in zone dove WhatsApp è molto usato come il Brasile.

Meta e i dati finanziati del Q3 2025

Meta ha generato 51.24 miliardi di dollari di entrate nel Q3 2025, superando le aspettative di Wall Street (+26% anno su anno). È la più alta crescita di revenue dal Q1 2024.

Il dato finanziario ci dice che Meta non è solo un’azienda grande e globale, ma sta accelerando. In un periodo dove molte tech company vedono decelerazioni, Meta continua a crescere doppia cifra. Perché? Principalmente per due ragioni: IA e video.

L’AI sta migliorando i sistemi di ranking pubblicitario in modo evidente. Il dato annuale degli strumenti pubblicitari completamente potenziato da IA ha superato i 60 miliardi di dollari. Questo significa che più di un settimo di tutte le entrate pubblicitarie di Meta viene generato attraverso sistemi interamente automatizzati e intelligenti.

Ad esempio, il sistema Lattice (l’architettura di modello unificato di Meta) ha ridotto il numero di modelli specializzati da circa 100 a una manciata di grandi modelli generalizzabili.

Nel Q3, il sistema Lattice è stato applicato alle campagne pubblicitarie per app, generando miglioramenti del 3% nelle conversioni. Meno codice specializzato, migliori risultati.

Le impressions pubblicitarie sono aumentate del 14%, il prezzo medio per annuncio del 10%. Entrambi i driver stanno funzionando.

Ma il profitto netto è crollato dell’83%

Questo numero merita un chiarimento. Meta ha dovuto affrontare una tassa straordinaria, una tantum, di 15.93 miliardi di dollari a causa dell’implementazione del “One Big Beautiful Bill Act” del Presidente Trump, che ha modificato il trattamento fiscale dei crediti differiti.

Escludendo questa situazione fiscale, il profitto netto sarebbe stato di 18.64 miliardi di dollari (+19% anno su anno) e l’EPS di 7.25 miliardi di dollari, superando le stime di Wall Street di 6.71 miliardi di dollari.

L’aliquota fiscale effettiva nel Q4 dovrebbe tornare al 12-15%, il che significa che il 2026 vedrà riduzioni significative nei pagamenti fiscali federali USA di Meta.

In pratica, il crollo del profitto è dovuto alla nuova legge voluta da Trump.

Ray-Ban, la rivoluzione non è ancora iniziata

Se c’è una storia che rivedremo molte volte nei prossimi 5 anni, è quella dei Ray-Ban smart glasses di Meta.

Nel Q3 2025, EssilorLuxottica – il colosso mondiale dell’ottica che produce i Ray-Ban – ha riportato che la partnership con Meta ha generato più di 4 punti percentuali della sua crescita di profitti del 11.7%, portando il profitto totale a 6.9 miliardi di euro (8 miliardi di dollari) nel trimestre.

In sostanza, mentre molte aziende di hardware lottano per trovare prodotti che la gente voglia realmente comprare, Meta ha creato un accessorio che le persone indossano di fatto ogni giorno.

I Ray-Ban Meta smart glasses hanno già venduto 2 milioni di unità dal loro lancio nell’ottobre 2023. “La domanda” – come ha detto Zuckerberg – “continua a superare la nostra capacità di produzione”.

EssilorLuxottica ha accelerato la produzione e ora punta a raggiungere 10 milioni di unità l’anno prima del previsto. Quindi non nel 2026, ma prima.

Il portfolio attuale include il Ray-Ban Meta Gen 2, l’Oakley Meta HSTN (lanciato a giugno), e il flagship del momento: il Meta Ray-Ban Display, i primi Ray-Ban realmente smart con uno schermo integrato e controllabili tramite un braccialetto intelligente.

La domanda a questo punto sorge spontanea: se i Ray-Ban smart vanno così bene, perché Reality Labs continua a perdere miliardi?

La risposta rivela la vera natura della strategia di Meta nell’hardware.

Meta IA superintelligenza 2025
Mark Zuckerberg – CEO Meta

Reality Labs: 70 miliardi di dollari di perdite

Reality Labs – la divisione di Meta dedicata a VR, AR e hardware intelligente – ha registrato un perdita operativa di 4.4 miliardi di dollari nel Q3 2025, generando al contempo 470 milioni di dollari in profitti.

Dall’avvio del suo progetto VR/AR nel tardo 2020, Reality Labs ha accumulato oltre 70 miliardi di dollari in perdite cumulative.

Queste perdite non vengono raccontate pubblicamente con il dovuto peso. Stiamo parlando di 70 miliardi di dollari, una somma gigantesca.

Eppure, i numeri raccontano una storia più sfumata di quella che potrebbe suggerire la narrazione che si vuole far passare.

Nel Q3, Reality Labs ha perso solo 4.4 miliardi di dollari contro attese di Wall Street di 5.1 miliardi di dollari. I Ray-Ban smart glasses – il segmento crescente – stanno compensando parzialmente le perdite dei visori Meta Quest. Numeri dati in calo in quanto non ci sono nuovi modelli per il 2025.

Zuckerberg ha assicurato gli investitori che Ray-Ban smart glasses “sarà un investimento molto proficuo” nel tempo. Il modello di business che Meta sta costruendo è noto: hardware a prezzi competitivi per acquisire utenti, monetizzazione attraverso servizi, app e commerce a lungo termine.

Meta AI: 600 milioni di utenti mensili

Qui la storia si fa più interessante.

Meta AI – l’assistente intelligente di Meta disponibile su WhatsApp, Facebook, Instagram – ha raggiunto quasi 600 milioni di utenti attivi mensili. È sulla strada per diventare uno degli assistenti IA più usati al mondo entro la fine dell’anno.

Fermiamoci un attimo. OpenAI ha costruito ChatGPT come un prodotto standalone, accessibile via web browser. Meta, invece, ha integrato Meta AI direttamente nelle app che 3.5 miliardi di persone usano ogni giorno.

In sostanza Meta ha valorizzato il suo vantaggio strutturale, permettendo l’accesso alla IA a centinaia di milioni di persone.

I dati di adozione di Meta AI mostrano segnali positivi per l’azienda. Quando Meta migliora i modelli sottostanti, l’utilizzo dei servizi aumenta. In sostanza, al momento Meta AI non è più ritenuto un gadget o un giocattolo, ma uno strumento attivo.

Da specificare che questo può valere in Usa ma meno in Italia.

Sul tema della monetizzazione, Meta rimane ancora nella fase di rilascio e ottimizzazione. Secondo Zuckerberg ci sono “segnali incoraggianti”.

Meta si appresta a mettere in pratica modelli di monetizzazione già rodati anche per Meta AI, anche se nulla è ancora implementato su larga scala.

Meta AI è ora disponibile sui Ray-Ban smart glasses in Francia, Italia, Irlanda e Spagna.

Llama: 650 Milioni di download

Mentre OpenAI sviluppa ChatGPT come strumento IA proprietario, Meta ha scelto una strategia diversa, ossia Llama.

Llama ha raggiunto 650 milioni di download nel 2025, il doppio rispetto a tre mesi prima. Llama 4 – la versione più recente rilasciata ad aprile 2025 – include tre modelli: Scout (17 miliardi parametri attivi), Maverick (17 miliardi parametri attivi, 400B totali), e Behemoth (non ancora rilasciato, 288 miliardi attivi, 2T totali).

Questi numeri significano poco per chi non lavora con i modelli, ma per chi li lavora significano che Llama è diventato uno standard aperto nel quale costruire e generare. Ogni volta che uno sviluppatore sceglie Llama invece di Gemini di Google o Claude di Anthropic, Meta ha sicuramente portato a casa un risultato significativo.

Meta ha lanciato il programma “Llama for Startups” nel 2025, offrendo fino a 36 mila dollari in rimborsi per i costi claud per sei mesi alle startup che usano Llama.

Inoltre, Meta ha accordi di revenue sharing con i provider che ospitano Llama – inclusi AWS, Google Cloud, Azure. Questo significa che Meta genera guadagni diretti dal Llama stesso, non solo indirettamente attraverso i prodotti che lo usano internamente.

Quindi, mentre OpenAI monetizza ChatGPT direttamente con abbonamenti mensili, Meta sta costruendo l’infrastruttura IA sulla quale tutti gli altri costruiscono.

Un po’ come il modello di Intel negli anni ’90: non sei interessato a cosa i PC fanno, sei interessato a cosa fa il chip dentro il PC.

Meta e gli investimenti in IA

Tutti questi progressi – AI glasses, Meta AI, Llama – hanno un costo.

Nel Q3 2025, Meta ha speso 19.4 miliardi di dollari in capital expenditure (CapEx), (spesa in conto capitale) principalmente server, data center e network infrastrutturale.

Per l’anno 2025, Meta ha aumentato le sue previsioni di spesa in infrastruttura a 70-72 miliardi di dollari.

Wall Street attualmente si aspetta che Meta spenda 98 miliardi di dollari in CapEx nel 2026. Quasi come il doppio della spesa rispetto al 2025.

Cosa sta costruendo Meta con questi soldi? I “titan clusters”, ossia data center IA massivi.

Il primo, Prometheus, situato in Ohio, sarà attivo nel 2026 e ospiterà almeno un gigawatt di potenza di calcolo. Il successivo, Hyperion, scala fino a cinque gigawatt.

Per intenderci, un gigawatt è la potenza che consuma una città di 750.000 persone. Meta sta costruendo data center della dimensione di una città.

Sul fronte delle spese operative, Meta ha elevato la sua proiezione per le spese totali 2025 di altri 2 miliardi di dollari, portandole a 116-118 miliardi di dollari, una crescita del 20-24% anno su anno.

Per il 2026, Meta si aspetta che le spese cresceranno a un tasso “significativamente più veloce”, guidato da costi di infrastruttura e compensazione per la IA.

Meta sta anche assumendo in maniera aggressiva. L’organico è cresciuto dell’8% anno su anno a 78.450 dipendenti. Questo dopo i licenziamenti che hanno fatto molto discutere. Meta sta riassumendo specificamente talenti per l’intelligenza artificiale.

Meta e la superintelligenza

Perché Meta sta spendendo quasi 100 miliardi di dollari in CapEx in un anno? La risposta è in una sola parola, ed è: superintelligenza.

Mark Zuckerberg ha riposizionato l’intera strategia di Meta attorno a questo concetto.

Non è più “il metaverso” (il framing precedente). Ma si va nella direzione della “personal superintelligence”. Vale a dire, l’idea che l’IA dovrebbe aiutare ogni persona individuale a vivere la propria vita al meglio, principalmente attraverso occhiali intelligenti e visori di realtà virtuale.

Meta ha creato “Meta Superintelligence Labs” (MSL), un team dedicato a costruire i prossimi modelli di frontiera. Zuckerberg ha detto che MSL è “un grande inizio” e che Meta “continua a guidare l’industria negli AI glasses.”

Secondo Zuckerberg, Meta ha bisogno di “anticipare in modo aggressivo la capacità di costruzione” di una superintelligenza. Se la superintelligenza arriva prima, Meta sarà pronto per un “cambio di paradigma generazionale”.

Se arriva dopo, Meta avrà comunque capacità computazionale che può usare per accelerare il suo core business (ads, video, ecc.). Nel peggiore dei casi, Meta rallenta la costruzione di infrastruttura e cresce lentamente all’interno di ciò che ha già costruito.

È un po’ il pensiero che Jeff Bezos ha usato per Amazon Web Services: costruire capacità computazionale in eccesso anticipando la domanda futura. Un sistema che funziona se si riesce a indovinare la direzione. In caso contrario, si dilegua un capitale cospicuo.

Meta sta chiaramente scommettendo di avere ragione.

Meta e la direzione verso il futuro 

I risultati di Meta Q3 2025 tracciamo una linea chiara verso il futuro.

Meta in passato era principalmente un’azienda pubblicitaria che occasionalmente faceva sperimentava hardware e IA. Da oggi in poi, Meta vuole diventare l’infrastruttura sulla quale viene costruita l’IA del prossimo decennio.

Il fatto che Meta sia contemporaneamente:

  • la piattaforma di comunicazione più grande del mondo (3.54 miliardi di utenti attivi al giorno)
  • la piattaforma video più grande della terra (3.5 miliardi Reels al giorno)
  • uno dei tre maggiori produttori di assistenti IA (600 milioni di utenti mensili di Meta AI)
  • lo standard open-source per i modelli IA (650 milioni download per Llama)
  • un produttore di hardware intelligente con crescita continua (vedi Ray-Ban)

sottolinea che l’azienda di Zuckerberg sta costruendo un’infrastruttura più ampia sul come gli utenti comunicano, si connettono e accedono all’informazione e all’intelligenza artificiale.

Meta è l’azienda che sta posizionando le proprie fondamenta sulla quale costruire modelli di comunicazione avanzati su larga scala.

Nota finale: i numeri presentati qui provengono direttamente dai risultati ufficiali di Meta Q3 2025, rilasciati il 29 ottobre 2025. Meta continua a essere una delle aziende più importanti per capire dove sta andando la tecnologia nei prossimi cinque anni. Ignorare questi dati significa non comprende bene la direzione del futuro.

Il down di AWS e l’importanza del Cloud nell’era della IA

Il down di AWS e l'importanza del Cloud nell'era della IA

Il 20 ottobre 2025 un grave disservizio AWS ha paralizzato centinaia di servizi globali. Un blackout DNS che rivela la dipendenza digitale da pochi player e l’impatto dell’IA sul cloud.

Il 20 ottobre 2025 verrà ricordato come uno dei più grandi down della storia recente. E c’entra l’intelligenza artificiale.

Prima di comprendere meglio, vediamo la cronaca di questa mattinata italiana, per coloro che non hanno compreso fino in fondo il significato o non se ne sono accorti.

Dalle 9:10 circa italiane di lunedì 20 ottobre 2025, un disservizio su Amazon Web Services ha interrotto o degradato centinaia di servizi nel mondo. La matrice è la regione US-EAST-1 (Virginia), dove AWS ha rilevato “tassi di errore” e “tempi di attesa” anomali su più servizi, con effetto domino su app consumer, piattaforme, siti istituzionali e servizi bancari.

Tra i più citati: Perplexity, Canva, quasi tutti i servizi Amazon, Snapchat, Roblox, Fortnite, Signal, Coinbase, Venmo, oltre a portali di PA in tutta Europa e vari operatori telco.

Le segnalazioni sono calate tra la fine della mattinata e il primo pomeriggio in Europa, con un rientro graduale e code di rallentamenti su alcuni componenti.

Il down di AWS e l'importanza del Cloud nell'era della IA
Il down di AWS e l’importanza del Cloud nell’era della IA

In sostanza, è successo che chiunque, o quasi, abbia provato stamattina ad accender un pc o qualsiasi altro dispositivo per iniziare la giornata lavorativa si sia accorto che forse sarebbe stato meglio restare a casa e fare vacanza.

Ecco una lista parziale dei servizi che hanno sofferto di più, categorizzata per rendere più chiara l’ampiezza del disastro.

  • social media e comunicazione: Snapchat, Signal, Zoom, Discord, Ring (i campanelli smart di Amazon). Immaginate di non poter mandare un messaggio o fare una videochiamata per ore.
  • gaming e intrattenimento: Fortnite, Roblox, Pokémon GO, Prime Video, Disney+, Hulu. Milioni di gamer e streamer bloccati, con partite interrotte a metà.
  • finanza e e-commerce: Venmo, Coinbase, Robinhood, Chime, McDonald’s app. Transazioni ferme, cripto inaccessibili e persino ordinare un Big Mac online era diventato complicato.
  • produttività e altro: Canva, Duolingo, Perplexity AI, Slack. Aziende paralizzate, lezioni online saltate e tool creativi offline.

Nel primo pomeriggio di oggi, 20 ottobre 2025, AWS ha dichiarato di aver “mitigato completamente” la causa sottostante, indicando un problema di DNS come radice dell’incidente.

La comunicazione ha chiarito che “la maggior parte delle operazioni dei servizi sta tornando alla normalità”, con possibili “throttling” residui durante il pieno ripristino. In parallelo, varie testate hanno riferito un legame operativo con componenti come DynamoDB e con gateway regionali in US-EAST-1.

Un blackout DNS in un’area nevralgica di AWS non è solo un incidente tecnico. Si tratta di uno stress test della nostra dipendenza infrastrutturale.

Nel 2025 l’onda lunga della IA Generativa ha spostato carichi enormi su cloud e edge, con flusso di dati, microservizi, code di eventi e inferenza in tempo reale affidate a pochi hyperscaler. Come vedremo più avanti.

Se in un nodo centrale della rete si interrompe la risoluzione dei nomi, quel processo che permette ai servizi di riconoscersi tra loro, l’intera catena di connessioni si spezza. E quindi discovery dei servizi, chiamate API, autenticazioni, orchestrazioni.

Secondo le ricostruzioni non si tratta di un attacco, ma l’effetto sistemico è assimilabile a una “sosta forzata” della supply chain digitale. L’effetto è simile, dunque, a una sosta forzata dell’intera filiera digitale: quando si ferma un nodo centrale, si blocca tutto ciò che dipende da esso.

Gli impatti più visibili sono sui servizi consumer; quelli meno visibili colpiscono business operation, processi di pagamento, logistica applicativa. E, sempre più spesso, flussi di dati di IA che si appoggiano a storage, database gestiti e code di messaggistica nella stessa regione.

Le conseguenze? Soprattutto economiche. Un down di dimensioni come queste costa milioni di euro alle aziende. Basti pensare a e-commerce come Amazon che perde vendite, o banche come Lloyds che bloccano transazioni.

Poi, perdita di fiducia. Gli utenti che soffrono in particolare disservizi come queste finiscono per migrare altrove e le aziende pensano a strategie multi-cloud per diversificare.

Sul mercato cloud, questo potrebbe accelerare la crescita di concorrenti. Se AWS inciampa, Azure o Google Cloud guadagnano terreno, specialmente con l’IA dove Microsoft (con OpenAI) e Google stanno spingendo molto.

Per capirci meglio, in un’era AI-driven come quella che viviamo oggi, disservizi come questi evidenziano la centralizzazione del potere digitale.

E a noi utenti ricorda di non dare nulla per scontato. Un guasto in Virginia può fermare il mondo.

Secondo Gartner, nel 2024 l’IaaS mondiale è cresciuto del 22,5% a 171,8 miliardi di dollari, con AWS al primo posto, seguita da Microsoft e Google.

Nel Q2 2025, le rilevazioni di Synergy indicano AWS attorno al 30% della spesa infrastrutturale, Microsoft intorno al 20% e Google intorno al 13%. I tre messi insieme superano il 60% del mercato.

Canalys conferma un trimestre in forte espansione (spesa 95–99 miliardi) con Azure e Google in crescita oltre il 30% annuo e AWS in aumento. In Europa, i tre player USA arrivano attorno al 70% del mercato.

Come abbiamo visto, il 63% del mercato cloud mondiale è concentrato nelle mani di tre soli operatori: AWS, Microsoft e Google.

È un dato che racconta meglio di ogni altro commento il perché di un blackout come quello del 20 ottobre 2025. E in questo si trova la risposta a questo cortocircuito globale.

Oggi non parliamo più di “servizi in cloud”, ma del Cloud come la spina dorsale stessa di Internet.

Se cade il principale nodo di quella rete, non si ferma un sito o un’app, ma un intero ecosistema di connessioni, automazioni, intelligenze artificiali e transazioni digitali.

La concentrazione di potere infrastrutturale, inevitabile fino a un certo punto, mostra così il suo aspetto più debole. Infatti, bastano poche ore di blocco per ricordarci quanto la nostra vita digitale dipenda da pochi player, da un numero sempre più ridotto di provider e da un equilibrio che, per quanto invisibile, regge tutto ciò che chiamiamo Rete.

E questo è un grande problema da risolvere.

Come l’algoritmo di X sarà gestito dalla IA Grok entro poche settimane

Come l'algoritmo di X sarà gestito dalla IA Grok entro poche settimane

Elon Musk ha fatto sapere che l’algoritmo di X si poggerà interamente sulla IA Grok. I contenuti verranno quindi gestiti dall’intelligenza artificiale, così come accade su altre piattaforme. Vediamo in che modo tutto questo avverrà e cosa comporterà.

Due anni fa, con questo articolo “Come funziona il nuovo algoritmo di Twitter/X“, raccontavo come l’arrivo di Elon Musk alla guida della piattaforma avesse portato a una revisione dell’algoritmo, con l’obiettivo di premiare contenuti autentici, ridurre lo spam e favorire l’engagement attraverso regole trasparenti.

E oggi X si prepara a un cambiamento forse più radicale. Infatti, l’algoritmo sarà gestito interamente da un’intelligenza artificiale, nello specifico Grok, creato da xAI.

Nel suo post, Elon Musk ha annunciato che entro 4-6 settimane tutte le euristiche manuali, ossia quell’insieme di le regole fisse definite dagli sviluppatori, saranno eliminate, lasciando all’IA il compito di analizzare e raccomandare contenuti.

Ma cosa significa esattamente? E come si colloca questo approccio rispetto ad altre piattaforme social? Lo vediamo insieme qui, cercando di capire il funzionamento del nuovo sistema, lo confrontiamo con il passato e vediamo se ci sono precedenti di algoritmi completamente IA driven.

Come funzionava l’algoritmo di X nel 2023

Nel 2023, l’algoritmo di X (allora ancora in transizione da Twitter) si basava su un mix di regole manuali e machine learning di base. Come avevamo visto, l’obiettivo era promuovere contenuti che generassero interazioni autentiche, penalizzando pratiche come il posting di link nudi (quei tweet con link senza testo) o contenuti spam. Tra i punti principali:

  • Reply boosting: le risposte dirette avevano un peso maggiore rispetto a like o retweet, per incentivare conversazioni reali.
  • Penalizzazioni per link senza testo: post con solo un URL e senza contesto ricevevano meno visibilità, perché considerati meno informativi.
  • Euristiche manuali: l’algoritmo usava elementi predefiniti (es. per like, retweet, impressions) per valutare la rilevanza di un contenuto.
  • Trasparenza: Musk aveva aperto il codice sorgente, permettendo agli utenti di capire come venivano prese le decisioni di raccomandazione.

Ma, come abbiamo avuto modo di vedere in questi anni, questo sistema aveva limiti. La dipendenza da euristiche manuali significava che l’algoritmo non sempre riusciva a cogliere la qualità intrinseca di un contenuto.

Inoltre, il mix di regole fisse e machine learning non era abbastanza flessibile per gestire il volume e la complessità dei contenuti su X. In aggiunta a questo, le regole fisse erano state implementate con regole che rispecchiavano in maniera precisa la visione di Musk, al punto da fare in modo che i contenuti visionati dagli utenti fossero sempre più vicini ai suoi principi e teorie. Pratica questa che va catalogata nella definizione di “algoritmo del proprietario”, come abbiamo visto.

E ora la decisione di passare a un modello interamente basato sull’IA.

Come l'algoritmo di X sarà gestito dalla IA Grok entro poche settimane
Come l’algoritmo di X sarà gestito dalla IA Grok entro poche settimane

Il nuovo algoritmo di X basato sulla IA Grok

Elon Musk ha condiviso un post su X, citando un altro account. Secondo le informazioni condivise dal proprietario di X, l’algoritmo della piattaforma si evolverà verso un sistema “completamente basato su IA”, eliminando del tutto le euristiche manuali entro fine novembre o inizio dicembre 2025.

Al centro di questa transizione c’è Grok, l’intelligenza artificiale sviluppata da xAI, progettata per analizzare contenuti e prevedere preferenze degli utenti su scala massiva. Cerchiamo di vedere insieme come funzionerà:

  1. Analisi totale dei contenuti: Grok esaminerà ogni post, immagine e video pubblicati su X, oltre 100 milioni di contenuti al giorno, per valutarne la qualità e abbinarli agli interessi degli utenti. Questo approccio si basa su modelli di deep learning che processano testo, immagini e contesto in tempo reale, senza affidarsi a regole fisse.
  2. Visibilità estesa (?): a differenza del passato, sostengono gli account più vicini alla visione di Musk, dove gli account piccoli faticavano a emergere a causa di metriche legate alla popolarità, il nuovo sistema permetterà di valutare i contenuti in modo oggettivo. Un post, anche da un account con pochi follower, avrà più possibilità di raggiungere un pubblico ampio.
  3. Personalizzazione del feed: gli utenti potranno interagire con Grok per regolare il proprio feed. Ad esempio, sarà possibile chiedere “mostrami meno politica” o “più contenuti su tecnologia”, con modifiche applicabili temporaneamente o in modo permanente.

Secondo questo processo di modifica dell’algoritmo in chiave IA, entro fine ottobre 2025, X pubblicherà i “pesi” del modello IA, vale a dire i parametri che determinano come Grok valuta i contenuti.

Questo permetterà di avere più chiaro come vengono prese le decisioni di raccomandazione.

In buona sostanza, entro un mese e mezzo da oggi, X sarà interamente affidata all’IA.


Cosa si intende per euristiche manuali

Le euristiche manuali sono regole fisse, definite dagli sviluppatori, che guidano l’algoritmo nel decidere quali contenuti mostrare e in che ordine.

Ad esempio, nel 2023, l’algoritmo di X assegnava un peso maggiore alle risposte rispetto ai like o penalizzava i tweet con solo un link, seguendo criteri prestabiliti. Queste regole utilizzavano le interazioni degli utenti (come like, repost o visualizzazioni) come input, ma il modo in cui venivano combinate era deciso a priori, senza adattarsi automaticamente ai cambiamenti nel comportamento degli utenti.


A differenza del 2023, dove le euristiche manuali (leggi anche algoritmo del proprietario) giocavano un ruolo centrale, qui Grok opererà senza vincoli umani predefiniti, imparando e adattandosi autonomamente per gestire il volume e la varietà dei contenuti su X.

Va detto, perché è più di un sospetto, che non ci sono ancora prove concrete che questo approccio risolverà problemi come bias algoritmici (se così vogliamo definirli) o la sovrabbondanza di contenuti irrilevanti. L’efficacia di questo modello dipenderà dal tipo di interpretazione secondo cui sarà impostata la IA e dalla sua implementazione.

Quindi, ci ritroveremo di fronte ad un nuovo esempio di algoritmo del proprietario, forse l’esempio più calzante da questo punto di vista, interamente a traino dell’intelligenza artificiale.

Piattaforme social media con algoritmi IA-driven

L’idea di un algoritmo interamente gestito da IA non è di Elon Musk, anzi. Sono già diverse le piattaforme social media che hanno già adottato sistemi di raccomandazione fortemente basati sull’intelligenza artificiale, riducendo o eliminando le euristiche manuali. Alcuni esempi rilevanti:

L’algoritmo di raccomandazione di TikTok

La sezione “For You” di TikTok è uno degli esempi più noti di algoritmo IA-driven.

Fin dal lancio di Douyin (la versione cinese) nel 2016, il sistema si basa su deep neural networks che analizzano interazioni come tempo di visualizzazione, like e condivisioni per predire i contenuti più rilevanti.

Secondo studi del Belfer Center, circa il 70-80% del tempo trascorso dagli utenti deriva da raccomandazioni automatizzate, con pochissime regole manuali. TikTok si concentra su video brevi e punta a suggerire contenuti esplorativi, anche fuori dalla rete sociale dell’utente, a differenza di X che include conversazioni testuali e reti di follower.

L’algortimo AI-driven di YouTube

Il sistema di raccomandazione di YouTube, che genera oltre il 70% delle visualizzazioni (dati Google), utilizza modelli avanzati di machine learning, come deep neural networks, per la selezione dei contenuti e il ranking dei video.

Le euristiche manuali ci sono ma restano minime, anche se esistono interventi umani per moderare contenuti problematici. La sfida di YouTube, simile a quella di X, è gestire un volume enorme di contenuti (miliardi di video), ma il focus è su formati long-form rispetto ai micro-post di X.

La versione AI-driven di Meta per Instagram e Facebook

Dal 2016, Meta ha spostato i feed di Instagram e Facebook verso algoritmi basati su IA, come graph neural networks, per raccomandare contenuti anche non collegati direttamente alla rete sociale dell’utente.

Da specificare, questi sistemi non sono “100% IA”. Le regole umane per moderazione e policy (es. rimozione di contenuti dannosi) restano ancora (per poco) elevate, a differenza dell’approccio radicale di X.

Ora, questi esempi mostrano che l’IA è già matura per gestire raccomandazioni su scala, ma X si distingue per l’obiettivo dichiarato di eliminare completamente le euristiche manuali in tempi brevi, affidandosi esclusivamente a Grok, la IA di casa.

Resta da vedere se questa transizione sarà più efficace rispetto ai modelli ibridi di Meta o al sistema di raccomandazione di TikTok.

La scommessa di X interamente sulla IA di Grok

Il passaggio di X a un algoritmo interamente gestito da IA (primo caso di piattaforma social media fino ad oggi) è da considerarsi come una scommessa. Anche se inevitabile, visto il contesto e vista la visione di Musk.

Allineandosi a piattaforme come TikTok e YouTube, che già sfruttano l’IA per raccomandazioni su scala, X punta a un modello che vede Grok al centro.

Bisognerà attendere per verificare l’efficacia di questo approccio, anche se la possibilità che la piattaforma possa peggiorare, rispetto allo stato attuale, è molto alta.

Vedremo cosa succederà nelle prossime settimane e, come sempre, lo valuteremo insieme qui.

LinkedIn, la piattaforma preferita dai Social Media Manager nel 2025

LinkedIn, la piattaforma preferita dai Social Media Manager nel 2025

Per la prima volta LinkedIn diventa la piattaforma preferita dai Social Media Manager, superando Instagram. L’indagine francese 2025 riporta anche Facebook a chiudere il podio. In crescita TikTok. Ecco tutti i dati.

Per la prima volta LinkedIn diventa la piattaforma più importante per i Social Media Manager. Non è un titolo a effetto, è il dato che apre l’indagine 2025 del Blog du Modérateur, realizzata insieme a Iconosquare e all’IIM Digital School, su un campione di 844 professionisti attivi in Francia tra il 24 giugno e l’11 agosto 2025.

Un sorpasso che racconta un cambio di paradigma, se vogliamo. LinkedIn non è più soltanto un luogo di networking, ma diventa sempre più luogo di strategie editoriali, investimenti e conversazioni non solo professionali.

E questa direzione ha riflessi anche per quanto riguarda il nostro paese.

I social che contano nel 2025

Gli intervistati hanno valutato l’importanza delle principali piattaforme nel proprio lavoro. La classifica completa è questa:

  • LinkedIn 74%
  • Instagram 71%
  • Facebook 56%
  • TikTok 29%
  • YouTube 20%
  • Pinterest 12%
  • X 10%
  • Threads 6%
  • Snapchat 5%
  • Twitch 5%
  • Bluesky 4%.

Da questa classifica si evince che quasi tre su quattro considerano LinkedIn importante per il proprio lavoro. Instagram si piazza al secondo posto ma resta vicinissimo e continua a essere forte sul pubblico giovane e sui formati.

Facebook, dato per superato tante volte, si conferma terzo. E questo perché ha base utenti ancora molto grande e variegata. Diciamo che è ormai una piattaforma generalista. Ricopre un ruolo importante, quindi, per le campagne pubblicitarie.

TikTok cresce ma rimane, per ora, un gradino sotto quando la domanda è “quale piattaforma è davvero importante per il tuo lavoro?”.

YouTube arretra leggermente, mentre per X continua la discesa. La ricerca ricorda che nel 2022 Twitter era “importante” per il 40% dei SMM, mentre nel 2025 scende al 15% e, nella classifica di importanza, è indicato al 10%.

Una situazione che finisce per spingere ad emergere piattaforme come Bluesky, anche se ancora poco diffuse.

LinkedIn, la piattaforma digitale preferita dai Social Media Manager nel 2025
LinkedIn, la piattaforma digitale preferita dai Social Media Manager nel 2025

Social media, chi avanza e chi arretra

Sulle dinamiche di crescita percepite le risposte convergono: TikTok è citato dal 56% come piattaforma “in progressione”, LinkedIn dal 50%, Instagram dal 45%.

Sul fronte opposto, le piattaforme digitali in calo sono le stesse dell’anno precedente. Infatti, Facebook in calo del 56%, X 50%, Snapchat 22%.

Nel caso di Facebook pesano soprattutto la moderazione più debole e l’aumento di contenuti generati da IA che riducono qualità e impatto nel feed.

Su X ha inciso la gestione post acquisizione e la perdita di credibilità che molti professionisti segnalano come freno alla pianificazione.

Contenuti organici: LinkedIn avanti, Instagram perde reach

Dando un’occhiata ai risultati organici, il podio è stabile. E infatti notiamo LinkedIn 36%, Instagram 32%, Facebook 20%.

Quasi la metà del campione preso in esame, però, dichiara di aver osservato una riduzione della reach su Instagram (49%).

È una tendenza già emersa in altre rilevazioni e che obbliga a ripensare format, cadenza editoriale e commistione tra contenuti e sponsorizzazioni.

Dietro il terzetto di testa si collocano TikTok al 7% e YouTube al 3% per performance organica.

La ricerca francese riporta un dettaglio utile sulle Stories, che restano un formato chiave per stimolare interazioni. L’81% dei SMM le utilizza e, dentro questo universo, il 92% delle Stories viene pubblicato su Instagram. Facebook segue al 70% anche per effetto del cross-posting, mentre TikTok è citato all’11%.

LinkedIn, la piattaforma preferita dai Social Media Manager nel 2025
LinkedIn, la piattaforma preferita dai Social Media Manager nel 2025

Pubblicità, Meta resta la casa delle sponsorizzazioni

Dal punto di vista della pubblicità, Instagram è usato per campagne dal 81% e Facebook dal 80% del campione. Poi arrivano LinkedIn 31%, TikTok 20%, YouTube 14%. In termini di resa, Facebook continua a essere indicato come il canale più efficace per i risultati a pagamento dal 45% degli intervistati, in calo di 5 punti, seguito da Instagram al 31%, in crescita di 3 punti.

Interessante la dinamica dei budget. Il 42% dichiara una spesa annua almeno pari a 1.000 euro in social ads. Per il 36% il budget è cresciuto rispetto al 2024, per il 16% è diminuito (era il 13% l’anno precedente).

Aumenta anche l’autonomia nella gestione: il 49% afferma di gestire interamente i budget pubblicitari, era il 47% un anno fa. Due segnali che raccontano maturità operativa e un maggiore controllo interno sulle performance.

Il Video si conferma il formato del 2025

Oltre il 90% dei professionisti pubblica video.

Nella distribuzione per piattaforma guida Instagram all’81%, seguita da Facebook al 73% (in crescita rispetto al 71% del 2024), da LinkedIn al 60% con un +7 punti, e da TikTok al 42% con un +4.

YouTube è l’unica piattaforma in lieve calo rispetto al 2024 (–2 punti), ma resta comunque utilizzata dal 50% dei CM. Il video, dunque, si consolida come linguaggio mainstream in ogni ecosistema, con LinkedIn che accelera e riconfigura feed e abitudini di fruizione anche in chiave B2B.

Influencer marketing: potenziale ancora inespresso

Solo il 32% dei community manager dichiara di lavorare con creator e influencer. Eppure il 76% ha un budget dedicato. La ripartizione è utile per comprendere la scala degli investimenti: 21% tra 100 e 1.000 euro annui, 34% tra 1.000 e 10.000, 12% tra 10.000 e 50.000, 4% tra 50.000 e 100.000, 5% oltre 100.000.

Le piattaforme più usate per le campagne di influenza confermano la supremazia di Instagram all’87% (in calo di 4 punti), con TikTok al 45% in crescita di 3 punti.

Seguono Facebook 22% (–2), YouTube 16% (–4), blog o sito del creator 12% (–3), LinkedIn 8% (+1), Twitch 4% come new entry, X 1% (–4).

È un quadro che evidenzia come l’influencer marketing stia cambiando e, allo stesso tempo, come LinkedIn inizi a ritagliarsi uno spazio anche in questo ambito, coerente con la sua evoluzione verso un social media a tutto tondo.

La logica dell’algoritmo del proprietario

Il punto non è soltanto chi sta davanti in classifica.

È la logica che guida le scelte dei professionisti. LinkedIn oggi consente di lavorare su contenuti che generano valore professionale misurabile: posizionamento, reputazione, relazione con stakeholder, opportunità commerciali.

In un ecosistema dove l’algoritmo del proprietario orienta la distribuzione del contenuto verso priorità e narrative decise dal gestore della piattaforma, LinkedIn viene percepito come un ambiente relativamente più coerente con gli obiettivi dei CM. Non immune, ma più allineato a ciò che un professionista cerca quando investe tempo e budget. E quindi, esposizione qualificata, interazioni pertinenti, continuità.

C’è un impatto anche sull’Italia.

Il nostro mercato condivide la necessità di presidiare percorsi informativi più solidi e meno dipendenti dall’intrattenimento puro.

Per aziende B2B, professionisti, PMI che devono costruire fiducia e autorevolezza, la centralità di LinkedIn non sorprende.

Il dato francese, quindi, non va generalizzato in modo automatico e schematico, ma intercetta una tendenza che vediamo già da mesi. E quindi, più spazio a contenuti di utilità, più attenzione a formati informativi, maggiore disponibilità a sostenere la reach con investimenti mirati dove serve e quando serve.

Una breve sintesi 

LinkedIn sale al primo posto per importanza (74%) e guida l’organico, Instagram resta fortissimo ma perde reach per quasi metà del campione, Facebook continua a reggere grazie alle adv e alla scala dell’audience, TikTok è la piattaforma in maggiore progressione ma ancora meno centrale quando si parla di “importanza per il lavoro”, X arretra.

Il video è ormai linguaggio trasversale, l’influencer marketing ha margine di crescita fuori dall’asse Instagram–TikTok, i budget pubblicitari sono più diffusi e più spesso gestiti in autonomia.

Il sorpasso di LinkedIn non è un incidente di percorso e nemmeno di numeri. È il segnale di un cambiamento che si evidenza nel bisogno dei professionisti di andare alla ricerca di luoghi dove poter condividere contenuti utili, conversazioni rilevanti e risultati misurabili.

Al via TikTok US, Trump firma l’ordine esecutivo

Al via Tiktok US, Trump firma l'ordine esecutivo

Trump ha firmato l’ordine esecutivo da il via a TikTok US. Viene creata una joint venture americana con ByteDance al 19,9%. Il consorzio di aziende è a guida Oracle e l’algoritmo in licenza. Un precedente per la nuova geopolitica digitale.

Donald Trump ha firmato, giovedì 25 settembre 2025, l’ordine esecutivo che dà ufficialmente vita a TikTok US. Dopo mesi di tensioni e trattative, l’app più discussa degli ultimi anni entra in una nuova fase.

Da questo momento in poi le attività americane della piattaforma saranno gestite da una nuova società a maggioranza statunitense, con ByteDance in posizione di minoranza.

Dopo la telefonata del 19 settembre tra Donald Trump e Xi Jinping, che aveva aperto la strada a un’intesa politica di principio, adesso si parla di un accordo pronto per essere firmato.

L’annuncio di Trump dopo la chiamata con Xi aveva suscitato più di un dubbio. Pechino non aveva mai parlato di un via libera pieno, ma di un confronto “positivo” in cui veniva ribadita la richiesta di non discriminazione per le imprese cinesi.

La struttura di TikTok US è definita e Trump ha firmato l’ordine esecutivo.

Il quadro che emerge ricalca le anticipazioni di settembre, ma questa volta con tempistiche chiare e un riferimento preciso alla legge bipartisan del 2024 che obbliga TikTok a passare sotto controllo americano.

Al via Tiktok US, Trump firma l'ordine esecutivo
Al via Tiktok US, Trump firma l’ordine esecutivo

TikTok US e la nuova joint-venture

Secondo diverse fonti, e alcune conferme della Casa Bianca, TikTok US sarà gestita da una nuova joint-venture con sede negli Stati Uniti.

ByteDance deterrà meno del 20 per cento delle quote, restando formalmente socio ma senza controllo. Gli investitori americani controlleranno la larga maggioranza, in linea con la legge approvata dal Congresso.

La scelta della joint venture non è solo tecnica. Serve a rassicurare Washington sul fronte della sicurezza nazionale, garantendo che le decisioni strategiche, la gestione dei dati e l’operatività non possano più essere condizionate da Pechino.

Il percorso legislativo e le successive proroghe

Il percorso è stato scandito da tappe precise. La legge bipartisan del 2024 stabiliva che TikTok dovesse essere venduta a proprietari statunitensi entro il 2025, pena un divieto totale.

Lo scorso gennaio, a poche ore dall’insediamento di Trump per il suo secondo mandato, l’app era stata effettivamente bloccata. Un blocco durato appena un giorno, perché lo stesso Trump aveva promesso di sospendere le sanzioni e avviare un negoziato con la Cina.

Da allora la Casa Bianca ha concesso proroghe successive, mentre si cercava la formula giusta.

Adesso la struttura trovata sembra soddisfare entrambe le parti e rispettare la legge. Per consentire la piena attuazione, Trump estende la sospensione di altri 120 giorni.

Il post su X della Casa Bianca che conferma la nascita di TikTok US
Il post su X della Casa Bianca che conferma la nascita di TikTok US

TikTok e la sicurezza dei dati

Alla base di tutta la vicenda resta la questione della sicurezza. Negli anni, esperti e funzionari statunitensi hanno sostenuto che ByteDance potesse offrire al governo cinese accesso a dati sensibili e all’algoritmo dell’app. Con oltre 170 milioni di utenti americani, TikTok rappresenta un caso senza precedenti per dimensione e impatto.

La nuova joint venture è pensata proprio per rispondere a questi timori. ByteDance mantiene una presenza marginale, ma la governance e la gestione dei dati vengono spostate stabilmente sotto controllo americano.

TikTok US e il nodo dell’algoritmo

La questione più delicata riguarda l’algoritmo. Le leggi cinesi ne vietano la cessione all’estero, e quindi TikTok US continuerà a utilizzarlo tramite una licenza concessa da ByteDance.

In questa fase, un ruolo di prim’ordine lo giocherà proprio Oracle, la società di Latty Ellison, grande finanziatore delle campagne elettorali di Trump.

Insieme a Elon Musk, Ellison è stato un grande sostenitore per il ritorno di Trump alla Casa Bianca.

Oracle avrà quindi, in virtù di società che gestirà i dati degli utenti americani, la possibilità di accedere al codice sorgente di TikTok.

Siamo di fronte, evidentemente, ad un nuovo caso di quello che ormai definisco da tempo come “algoritmo del proprietario”. Ossia di algoritmi che vengono modellati agli interessi del proprietario della piattaforma.

X è un esempio su tutti.

Adesso con TikTok US non sarà la stessa cosa, ma di sicuro l’accesso all’algoritmo aiuterà a capire come meglio veicolare l’algoritmo di raccomandazione di TikTok.

È un compromesso che consente all’app di restare operativa, ma che lascia aperto il tema del reale grado di autonomia della nuova entità americana.

Usa e Cina, ecco cosa prevede l’accordo su TikTok US

Lo scontro politico nato con TikTok 

La storia di TikTok negli Stati Uniti è anche politica. Durante il suo primo mandato, Trump aveva tentato di vietare l’app già nel 2020 con un ordine esecutivo, annullato poi dal presidente Biden nel 2021. Successivamente lo stesso Biden ha firmato la legge bipartisan che ha reso obbligatoria la cessione.

Ora, nel secondo mandato di Trump, quella legge trova applicazione concreta. Non si tratta più di minacce o di ordini annullati, ma di un processo negoziato con la Cina e vicino a concludersi.

La nascita di TikTok US segna una svolta.

La firma di Trump rappresenta il tentativo di trasformare una crisi in una soluzione stabile. Con l’obiettivo principale, mai nascosto, di mantenere la piattaforma attiva negli Stati Uniti garantendo al tempo stesso sicurezza e controllo.

Ma la domanda resta la stessa: quanto durerà l’equilibrio trovato? La storia recente insegna che, quando si tratta di Trump e di rapporti con la Cina, nulla è mai davvero definitivo.

Vedremo come si svilupperà la situazione nei prossimi 120 giorni.

Instagram ha raggiunto i 3 miliardi di utenti attivi

Instagram ha raggiunto i 3 miliardi di utenti attivi

Instagram ha raggiunto i 3 miliardi di utenti attivi mensili. Un traguardo che conferma la centralità della piattaforma all’interno delle app di Meta.

Instagram ha raggiunto un nuovo traguardo storico: 3 miliardi di utenti attivi mensili. Lo ha annunciato Mark Zuckerberg, CEO di Meta, sottolineando come la piattaforma, acquisita nel 2012 per un miliardo di dollari, sia oggi uno dei pilastri centrali dell’ecosistema Meta.

Con questo traguardo, Instagram si affianca a Facebook e WhatsApp, le altre due app di punta di Meta, che già da mesi avevano superato la stessa soglia.

Per Zuckerberg si tratta di una conferma importante: “Che comunità incredibile abbiamo costruito qui”, ha scritto in un post sul suo canale Instagram.

Instagram, dai 2 ai 3 miliardi di utenti

L’ultimo aggiornamento ufficiale sugli utenti di Instagram risaliva all’ottobre 2022, quando l’app aveva appena superato i 2 miliardi di attivi mensili.

Da allora Meta aveva deciso di non comunicare più regolarmente i numeri delle singole piattaforme, preferendo riportare solo il totale giornaliero delle persone che utilizzano la “famiglia di app”, cifra che a luglio 2024 aveva toccato i 3,48 miliardi.

Oggi, con i 3 miliardi di utenti dichiarati, Instagram conferma una traiettoria di crescita che lo colloca al centro della strategia Meta. Non è più soltanto la piattaforma di condivisione di foto e video, ma un vero ambiente dove convergono creator, brand, aziende e community.

Instagram ha raggiunto i 3 miliardi di utenti attivi
Instagram ha raggiunto i 3 miliardi di utenti attivi

Il sorpasso su Facebook anche in Italia

Solo qualche giorno fa, nei dati pubblicati nell’ambito del Digital Services Act, si è visto chiaramente come Instagram abbia superato Facebook in diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, sia in termini di utenti mensili sia per capacità di attrazione delle fasce più giovani.

Un segnale che conferma un cambio generazionale già in corso. Facebook resta un colosso, ma Instagram si impone sempre di più come la piattaforma di riferimento.

La crescita globale annunciata da Zuckerberg si inserisce quindi in una tendenza più ampia, che vede Instagram non solo consolidarsi nel mercato internazionale ma anche assumere una posizione di leadership anche nel contesto europeo.

Instagram, una piattaforma che guarda avanti

Il futuro di Instagram sarà determinato dalla capacità di mantenere vivo questo equilibrio tra innovazione e centralità per gli utenti. Con i Reels e l’intelligenza artificiale, la piattaforma continua a ridisegnare la propria identità.

E con 3 miliardi di persone collegate ogni mese, ha davanti a sé una responsabilità sempre maggiore nel definire il modo in cui ci informiamo, ci intratteniamo e costruiamo relazioni online.

Un elemento, visto il panorama attuale, non da poco da gestire con molta responsabilità anche da parte nostra.

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[Immagine realizzata da Franz Russo attraverso la IA generativa, utilizzando il modello ChatGPT-5]

Oracle, cambio al vertice in vista di TikTok US e sfida sulla IA

Oracle, cambio al vertice in vista di TikTok US e sfida sulla IA

Oracle e i movimenti ai vertici in vista di TikTok US e la sfida alla IA. L’azienda di Austin ha nominato due nuovi co-CEO: Clay Magouyrk e Mike Sicilia.

Oracle ha annunciato un cambio al vertice, nominando Clay Magouyrk e Mike Sicilia co-CEO. La mossa, che vede l’attuale CEO, Safra Catz assumere il ruolo di vice presidente esecutivo, non è un semplice cambio di manager. Si tratta di un traguardo dopo i successi che ha visto l’azienda emergere come uno dei principali beneficiari del boom dell’intelligenza artificiale.

La crescita di Oracle trainata dai dati e le nuove nomine

Il cambio di leadership avviene in un contesto di notevole espansione, supportato da dati finanziari concreti. Iil titolo Oracle che ha registrato un aumento del 30% nell’ultimo mese e di circa l’85% nel corso dell’anno.

Oracle, cambio al vertice in vista di TikTok US e sfida sulla IA
Oracle, cambio al vertice in vista di TikTok US e sfida sulla IA

Indicatore importante è la crescita, come riportato da CNBC, dei “ricavi contrattualizzati non ancora contabilizzati”, che è salita a 455 miliardi di dollari, con un balzo del 359% rispetto all’anno precedente. Questi numeri dimostrano la solidità della strategia aziendale.

Il vantaggio competitivo di Oracle nel Cloud e nella IA

La nomina di Magouyrk e Sicilia, che hanno guidato rispettivamente l’infrastruttura cloud e i settori verticali, riflette una visione che si è dimostrata vincente.

L’azienda ha saputo capitalizzare la forte domanda di soluzioni AI, in particolare grazie alla sua infrastruttura cloud e all’accesso strategico alle unità di elaborazione grafica (GPU) di Nvidia.

Questo posizionamento non solo ha permesso a Oracle di competere efficacemente con giganti come Microsoft e Amazon, ma ha anche trasformato l’investimento nell’AI in un concreto vantaggio competitivo, che ha generato una crescita massiccia del business.

Oracle, cambio al vertice in vista di TikTok US e sfida sulla IA
Clay Magouyrk e Mike Sicilia

La visione strategica di Oracle in vista di TikTok US

La leadership di Oracle nel settore tech va oltre l’AI e il cloud.

La società è stata al centro notizie riguardanti la piattaforma TikTok negli Stati Uniti.

Il consorzio che gestirà le attività di TikTok US vedrà Oracle responsabile della manutenzione dei dati e della privacy, un ruolo che sottolinea la fiducia riposta nelle sue soluzioni cloud.

A riprova di questa fase di grande successo, la capitalizzazione di mercato di Oracle ha contribuito a spingere il patrimonio netto del suo fondatore, Larry Ellison, facendolo diventare l’uomo più ricco del mondo.

Questi eventi, combinati con i risultati finanziari e la nuova struttura di leadership, dipingono il quadro di un’azienda che non si limita a reagire ai cambiamenti del mercato, ma che li guida con grande determinazione.

Usa e Cina, ecco cosa prevede l’accordo su TikTok US

Usa e Cina, ecco cosa prevede l'accordo su TikTok US

Con una telefonata tra Trump e Xi Jinping è stata raggiunta l’intesa su TikTok US. L’accordo prevede l’80% a investitori USA, ByteDance al 19,9%; board a maggioranza USA, dati ospitati su Oracle, algoritmo in licenza. Le prossime tappe verso metà dicembre.

Così come era stato anticipato qualche giorno fa, il presidente Trump e il presidente Xi Jinping si sono sentiti al telefono, ieri 19 settembre 2025.

Dopo mesi di tensioni e ipotesi concrete di un ban totale, la telefonata tra il Presidente americano Donald Trump e il Presidente cinese Xi Jinping ha ufficialmente sancito un accordo su TikTok negli Usa. Un accordo che apre la strada a un nuovo modello di governance per la popolare piattaforma video.

L’intesa, come emerge dalle notizie a disposizione, non si limita a evitare il blocco TikTok negli Usa, ma tende a determinare nuovamente il controllo e la sicurezza dei dati.

Trump e l’accordo con la Cina

Come abbiamo detto qui dall’inizio di questa vicenda, quindi dall’inizio del nuovo mandato del presidente Trump, la vicenda TikTok andava considerata all’interno di una visione geopolitica. Il contesto internazionale è cambiato in maniera repentina.

La politica dei dazi dell’amministrazione americana ha contribuito a rendere il clima internazionale sempre molto teso, specialmente con la Cina.

Ecco che l’accordo in questo senso segna un segnale diplomatico importante tra i due paesi. Un segnale che si estende ai dazi, alla politica finanziaria e commerciale tra le due potenze e anche sul fronte politico.

Usa e Cina, ecco cosa prevede l'accordo su TikTok US
Trump e Xi Jinping – Immagine realizzata con ChatGPT-5

La telefonata tra i due capi di stato

La telefonata tra i due capi di stato è stata descritta da entrambe le parti come “molto produttiva”.

Il Presidente Trump ha confermato l’approvazione dell’accordo da parte di Xi Jinping tramite un annuncio su Truth Social, evidenziando il successo delle negoziazioni.

Dal canto suo, la stampa cinese, attraverso l’agenzia Xinhua, ha sottolineato la richiesta di Pechino per un “ambiente equo” per le aziende cinesi, ribadendo un principio di non-discriminazione.

Questa dinamica evidenzia la natura di compromesso dell’accordo: un riconoscimento della sovranità cinese sull’azienda proprietaria (ByteDance) a fronte di una concessione sostanziale sul controllo delle operazioni americane.

Cosa prevede l’intesa su TikTok US

Il quadro negoziale ricomposto in queste ore riprende i termini già circolati in primavera. In sintesi:

  • Nuova entità “TikTok U.S.” con sede negli Stati Uniti.

  • Capitale: 80% a investitori USA, ByteDance al 19,9% come singolo socio più grande ma minoranza sotto la soglia legale.

  • Consiglio di amministrazione a maggioranza statunitense con un membro designato dal governo USA come presidio di sicurezza nazionale.

  • Scadenze: estensione del termine di enforcement al 16 dicembre e finestra di chiusura 30-45 giorni secondo stime riportate da CNBC.

Usa e Cina, ecco cosa prevede l'accordo su TikTok US
Usa e Cina, ecco cosa prevede l’accordo su TikTok US

Chi sono gli investitori

Nel consorzio che rileverà il controllo compaiono Oracle e fondi come Silver Lake e Andreessen Horowitz; sul fronte degli azionisti già presenti nel capitale ByteDance che confluirebbero nella nuova struttura risultano SIG, General Atlantic, KKR.

La combinazione esatta delle quote potrà variare all’atto finale, ma l’architettura “80/20” è oggi la più accreditata.


Il consorzio americano per TikTok US

La gestione della nuova entità TikTok US sarà affidata a un consorzio di aziende statunitensi, a riprova del forte controllo che il governo USA intende esercitare. I principali attori in gioco sono:

  • Oracle Corp.: non si limita a fornire i server, ma sarà il principale partner tecnologico, assumendo un ruolo di garante della sicurezza dei dati.
  • Andreessen Horowitz: importante società di venture capital che porterà la sua esperienza nel settore tecnologico e della governance aziendale.
  • Silver Lake Management: società di private equity con una solida esperienza nella gestione di investimenti strategici e nella ristrutturazione di grandi aziende.

L’operatività di TikTok US in mano a Oracle

Tutti i dati degli utenti statunitensi saranno trasferiti e ospitati esclusivamente su server situati negli Stati Uniti. L’infrastruttura di cloud computing sarà gestita da Oracle, un partner tecnologico cruciale che ha già lavorato al “Project Texas” per la sicurezza dei dati. Questo passaggio è centrale per eliminare ogni rischio di accesso esterno ai dati sensibili degli utenti americani.

Come sarà gestito l’algoritmo di TikTok US

È il punto più delicato. La Cina limita l’export di algoritmi e l’intesa, per come filtrata, non trasferirebbe l’algoritmo a TikTok US, ma prevederebbe una licenza d’uso dell’IP da parte di ByteDance.

Questo schema soddisfa la normativa cinese ed evita uno scontro frontale, ma riapre il tema americano: basta una licenza per considerare interrotto il legame operativo con la Cina come voleva il legislatore USA, o resta un canale di influenza? È la domanda su cui, verosimilmente, si misurerà la tenuta politica e legale dell’accordo.

La posizione ufficiale di ByteDance

La società ringrazia i due presidenti e promette collaborazione “per garantire che TikTok rimanga disponibile per gli utenti americani tramite TikTok U.S.”. Un linguaggio che rafforza l’idea di uno spin-off locale e di una transizione tecnicamente guidata, senza blackout del servizio.

Cosa resta da chiarire

  1. Licenza e controllo effettivo: chi decide tempi, criteri di aggiornamento e audit dell’algoritmo licenziato.

  2. Composizione finale del board e poteri speciali del rappresentante governativo.

  3. Iter normativo e eventuale passaggio parlamentare.

  4. Tempistiche reali di migrazione verso una eventuale app “US-only”, come ipotizzato in alcune ricostruzioni giornalistiche.

Le prossime tappe verso l’accordo definitivo

Trump e Xi dovrebbero vedersi all’APEC in Corea a fine ottobre.

Se la finestra 30-45 giorni dovesse reggere (secondo anche WSJ), l’intesa potrebbe essere formalizzata prima della nuova scadenza di metà dicembre, chiudendo un dossier che impatta direttamente su 170 milioni di utenti americani e sull’ecosistema dei creator negli Usa.

In conclusione, l’accordo su TikTok potrebbe rappresentare per Trump l’esempio di una potenziale crisi che si trasforma in un’opportunità strategica.

Invece di un blocco totale, si è optato per una soluzione che mira a proteggere gli interessi americani pur mantenendo la piattaforma accessibile. Questo modello, che mette insieme la continuità del servizio con un controllo sulla gestione dei dati e sulla governance, potrebbe costituire un esempio per il futuro. Un modello che alla fine non compromette l’innovazione e garantisce l’uso della piattaforma a milioni di utenti.

Il problema è adesso vedere quanto tutto questo reggerà. Perché quando c’è di mezzo Trump il condizionale è d’obbligo.

LinkedIn cresce in Italia ma solo 1 utente su 3 è attivo

LinkedIn cresce in Italia ma solo 1 utente su 3 è attivo

LinkedIn cresce in UE e in Italia, ma resta forte il divario tra iscritti e utenti attivi. Solo un terzo usa poi davvero la piattaforma: in Italia 6,4 mln su 23 mln registrati.

LinkedIn, negli ultimi giorni, ha reso noti i dati aggiornati richiesti dal Digital Services Act per il primo semestre 2025, offrendoci così una fotografia più nitida della sua presenza in UE.

Sono numeri che mostrano una crescita costante, ma che al tempo stesso mettono in evidenza un divario sempre più marcato tra utenti registrati e utenti realmente attivi.

Più di 54 milioni di utenti attivi in UE

Secondo il report, tra gennaio e giugno 2025 LinkedIn ha registrato 54,7 milioni di utenti attivi loggati al mese nell’Unione Europea. Un dato in crescita del 14% rispetto al semestre precedente, che conferma l’andamento positivo della piattaforma.

Accanto agli utenti attivi, i dati DSA riportano anche un volume significativo di traffico “non loggato”. Ossia, 213 milioni di visite mensili da parte di chi non accede con il proprio account. Un numero enorme, che però non si traduce automaticamente in un utilizzo effettivo della piattaforma.

Dove LinkedIn cresce di più

La crescita non è distribuita in modo uniforme. Alcuni Paesi mostrano un incremento molto marcato degli utenti attivi:

  • Slovenia +100%;

  • Lituania +50%;

  • Repubblica Ceca +33%.

Nei mercati principali dell’UE la crescita è stata invece più contenuta, attorno al 10%. Un dato che conferma come LinkedIn tende a consolidare la sua presenza nelle economie più grandi, mentre è capace di crescere più rapidamente nei mercati più piccoli.

LinkedIn cresce in Italia ma solo 1 utente su 3 è attivo
LinkedIn cresce in Italia ma solo 1 utente su 3 è attivo

La crescita di LinkedIn in Italia

E veniamo all’Italia.

Nel nostro paese, il numero degli utenti loggati attivi è passato da 6,0 milioni nel secondo semestre 2024 a 6,4 milioni nel primo semestre 2025. Con un incremento di circa il 6,7% che, pur non avendo i numeri di altri Paesi più piccoli, indica un andamento positivo e costante.

Interessante anche osservare i dati relativi al traffico “non loggato”. In Italia le visite mensili da utenti non loggati sono passate da 13,7 milioni a 19,9 milioni, con un aumento del 45%.

LinkedIn: iscritti contro utenti attivi, il vero divario

Se ci fermassimo ai numeri complessivi, potremmo dire che LinkedIn in UE continua a crescere e a rafforzare la sua base di utenti. Ma i dati DSA ci permettono di fare un passo ulteriore e di mettere a fuoco la particolarità della piattaforma. E parliamo della differenza tra iscritti e utenti attivi.

LinkedIn, a fini di marketing (secondo varie fonti), conterebbe di avere oltre 160 milioni di membri registrati in UE. Confrontando questo dato con i 54,7 milioni di attivi mensili, notiamo che la percentuale di chi utilizza realmente la piattaforma almeno una volta al mese si ferma attorno al 34%.

Stesso discorso per l’Italia. Secondo il report Digital 2025 di DataReportal, nel nostro Paese LinkedIn conta 23 milioni di utenti registrati. Mettendo a confronto questo dato con i 6,4 milioni di utenti attivi mensili indicati dal DSA, emerge che meno di 3 iscritti su 10, più o meno il 28%, usa davvero LinkedIn ogni mese.

In altre parole, milioni di utenti italiani hanno un account LinkedIn, solo che la maggior parte non lo utilizza con costanza o lo ha abbandonato nel tempo.

Traffico “non loggato” e account dormienti

Un’altra distinzione importante riguarda le visite da utenti non loggati. Spesso si tende a confondere questi numeri con la quota di iscritti inattivi.

In realtà, i dati “logged-out” includono sia persone che hanno un account ma non fanno login, sia visitatori occasionali che non sono registrati e che accedono magari a un profilo o a una pagina pubblica.

Importante fare un po’ di chiarezza. La massa di traffico non loggato, pur essendo alta, non rappresenta automaticamente utenti che hanno abbandonato la piattaforma. Per misurare l’inattività bisogna sempre confrontare gli iscritti totali con gli utenti loggati attivi.

LinkedIn, il quadro complessivo

I dati ci consegnano un’immagine con una doppia faccia. Da una parte LinkedIn continua ad ampliare la sua base di utenti attivi in UE, con un trend positivo anche in Italia.

Dall’altra, resta evidente il divario tra iscritti e utilizzatori reali: milioni di persone hanno un account, ma non accedono con regolarità o hanno smesso di usare la piattaforma.

In Italia, questo significa – ripetiamo – che su 23 milioni di iscritti, solo 6,4 milioni la usano effettivamente ogni mese.

Una differenza, già nota per la verità. Va comunque sottolineata l’importanza di guardare non soltanto ai numeri “di vetrina”. Importanti, ma non dicono tutto.

Perché il caso LinkedIn colpisce di più

Se questa dinamica può sembrare comune ad altre piattaforme digitali, e lo è, il caso LinkedIn assume un significato diverso.

A differenza di piattaforme social media generaliste, come Facebook o TikTok, LinkedIn nasce per una finalità precisa. E cioè, quella di connettere professionisti, aziende e anche studenti.

Per chi lavora, per chi è alla ricerca di un nuovo lavoro, per chi vuole costruire un nuovo network di contatti, LinkedIn è quasi “obbligato”. Magari aggiungiamo qualche altra virgoletta, ma è chiaro il senso.

Proprio per questo motivo, il divario tra iscritti e attivi colpisce ancora di più.

Significa che milioni di persone si registrano a LinkedIn per esserci, per frequentare un ambiente considerato rilevante, ma poi non lo usano, per motivi diversi, in modo costante.

In molti casi si tratta di iscrizioni “di facciata”, che confermano l’importanza simbolica della piattaforma più che il suo utilizzo reale.

In chiusura, LinkedIn cresce, ma la sua forza resta ancora limitata a chi davvero la frequenta con regolarità. E in Italia, oggi, sono meno di tre su dieci.

Per ora ci fermiamo qua, anche perché il tema è molto vasto.

E voi che ne pensate? Qual è la vostra esperienza con LinkedIn?

Usa e Cina raggiungono un accordo per TikTok

Usa e Cina raggiungono un accordo per TikTok

Usa e Cina hanno raggiunto un accordo quadro per risolvere la vicenda di TikTok negli Stati Uniti. Tutto questo a pochi giorni dalla scadenza della ennesima proroga fissata da Trump lo scorso giugno.

A pochi giorni di distanza dalla nuova scadenza della proroga di 90 giorni fissata nel giugno scorso, Usa e Cina hanno raggiunto un accordo “quadro” per quanto riguarda le attività di TikTok negli Stati Uniti d’America.

Mentre si aspettava la decisione da parte di Trump in vista della scadenza del 17 settembre, da Madrid, dove il segretario del Tesoro Usa, Scott Bessent, e il vicepremier cinese, He Lifeng, discutono di dazi e altri temi importanti, arriva la notizia di un accordo tra i due paesi.

L’accordo tra Usa e Cina a Madrid

Secondo quanto riportato da CNBC, Bessent sostiene che l’accordo tra i due paesi ha fissato anche i termini commerciali dell’operazione.

E sempre secondo il segretario del Tesoro Usa, l’accordo prevede che la piattaforma diventi di “proprietà Usa”.

Il post del presidente degli Stati Uniti Donald Trump su Truth Social
Il post del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, su Truth Social

Un’ora prima delle dichiarazioni di Bessent da Madrid, il presidente Trump aveva dichiarato su Truth che è stato raggiunto un accordo “su una ‘certa’ azienda che i giovani del nostro Paese desideravano fortemente salvare”. Ovviamente si riferiva a TikTok.

In seguito a queste dichiarazioni, Trump parlerà direttamente della questione con il presidente cinese Xi Jinping il prossimo venerdì.

Al momento non ci sono dichiarazioni ufficiali, sull’incontro, da parte di Pechino. E non ci sono nemmeno dichiarazioni ufficiali da parte di TikTok.

Usa e Cina raggiungono un accordo per TikTok
Usa e Cina raggiungono un accordo per TikTok

TikTok al centro delle relazioni tra Usa e Cina

Non sorprende che la vicenda TikTok sia stata oggetto di discussione tra i due paesi proprio quando ci si accinge a risolvere il nodo dei dazi e di tutto ciò che ne consegue.

Sapevamo che la questione di TikTok sarebbe diventata cruciale per la tenuta dei rapporti tra i due paesi. E questo accordo “quadro” ne è la conferma.

Non resta quindi che aspettare venerdì per conoscere meglio i termini dell’accordo e conoscere anche quale azienda acquisirà le attività Usa di TikTok, permettendo all’app di continuare ad essere attiva sul territorio Usa.

Sempre mantenendo salvo il tema legale che questa situazione si porta dietro. E cioè che il ban di TikTok era previsto per legge, votata a fine 2024 da entrambi gli schieramenti del Congresso Usa.

Di conseguenza, il presidente Trump avrebbe dovuto, vista la sua posizione, tenere fede all’impegno e portarlo avanti. Invece, il presidente Usa decide di procedere per proroghe. Fino ad arrivare a questo punto.

Vedremo come anche questa vicenda si svilupperà.

Instagram cresce più di Facebook anche in Italia

Instagram cresce più di Facebook anche in Italia

Instagram supera Facebook in Italia e in UE: cresce dieci volte più velocemente. I dati del Digital Services Act mostrano un cambiamento profondo nel panorama dei social media.

Per anni Facebook è stato considerato il centro della vita digitale, la piattaforma madre dei social media. Oggi però i dati, pubblicati di recente, ci raccontano un’altra storia.

Instagram cresce molto più di Facebook, addirittura dieci volte di più nei Paesi UE. Un dato rilevante, che segna una svolta nel panorama dei social media in UE.

I dati sulla Trasparenza delle piattaforme Meta

Le informazioni arrivano dai report semestrali che le piattaforme sono obbligate a pubblicare in base al Digital Services Act (DSA), il regolamento europeo che impone trasparenza su utenti attivi e moderazione.

Tra gennaio e giugno 2025, Facebook ha totalizzato 263,6 milioni di utenti attivi mensili nell’UE, mentre Instagram ha raggiunto 281,8 milioni.

Ma il dato più rilevante riguarda il ritmo di crescita: Facebook è cresciuto appena dello 0,65%, mentre Instagram ha registrato un +6,17%, dieci volte tanto.

Instagram cresce più di Facebook anche in Italia
Instagram cresce più di Facebook anche in Italia

L’Italia al terzo posto in UE per crescita

In Italia il sorpasso è evidente. Facebook conta 36,5 milioni di utenti attivi mensili, mentre Instagram raggiunge 41,7 milioni. La differenza è di oltre 5 milioni di persone, pari a un +14,2% rispetto a Facebook.

Un dato che conferma come Instagram sia diventato oggi il punto di riferimento per milioni di utenti italiani, non più solo la piattaforma dei giovanissimi. Nel tempo, Instagram è diventato per molti uno spazio dove ci si informa, si interagisce con brand, creator e aziende.

Germania e Spagna: il divario più ampio

La crescita di Instagram è ancora più impressionante in Germania e Spagna:

  • in Germania, Instagram conta 47,2 milioni di utenti, contro i 32,9 milioni di Facebook; una differenza di 14,3 milioni, pari a un +43,4%.

  • in Spagna, Facebook registra 27,1 milioni di utenti, mentre Instagram arriva a 37,5 milioni; un sorpasso di 10,4 milioni, pari al +38,3%.

  • in Francia, invece, i numeri sono più vicini; Facebook 42,9 milioni, Instagram 43,7 milioni.

Instagram cresce più di Facebook anche in Italia
Instagram cresce più di Facebook anche in Italia – La tabella

Perché Instagram suoera Facebook

Instagram è riuscito a evolvere.

Negli anni ha assorbito formati da altre piattaforme, dalle Stories “copiate” da Snapchat ai Reels “presi in prestito” da TikTok. Fino a diventare un ecosistema capace di adattarsi a diverse modalità di consumo dei contenuti.

Facebook, invece, è rimasto legato a un modello di interazione testuale e a un’immagine percepita come meno attuale. Non ha saputo attrarre le nuove generazioni, e oggi paga una crescita ferma e un pubblico che invecchia.

In pratica, mentre su Instagram il cambio generazionale c’è stato e si vede, su Facebook non è mai avvenuto.

La centralità del video breve su Instagram

Il motore principale della crescita di Instagram è il video breve.

I Reels, oggi estesi fino a tre minuti, rappresentano il cuore dell’esperienza e trattengono l’attenzione degli utenti. È su questo terreno che Instagram sfida direttamente TikTok, che in UE continua a crescere.

Tra l’altro, i dati sulla Trasparenza di TikTok in seno al DSA certificano che la piattaforma ha raggiunto 200 milioni di utenti attivi mensili, in aumento rispetto ai 170 milioni precedenti.

La competizione è aperta, ma Instagram ha consolidato la sua posizione, diventando la piattaforma centrale nell’ecosistema Meta.

Una svolta generazionale

Possiamo quindi dire che va delineandosi un panorama molto chiaro. E Facebook non è più il punto di riferimento in UE.

Instagram ha preso il suo posto, diventando lo spazio privilegiato non solo per intrattenimento e relazioni con creator e brand, ma anche per informarsi e costruire il proprio racconto digitale.

È una svolta generazionale che ridefinisce le dinamiche della comunicazione online. Un sorpasso che non è solo nei numeri, ma nel linguaggio, nei formati e nella cultura digitale quotidiana degli utenti europei.

Ascolta e guarda il video qui:

Su Threads si può scrivere fino a 10 mila caratteri

Su Threads si può scrivere fino a 10 mila caratteri

Threads lancia gli allegati di testo fino a 10.000 caratteri, disponibili su mobile e web. Una funzione che cambia l’uso della piattaforma. Ecco come funziona, vantaggi, svantaggi e utilità per creator e utenti.

C’è una esigenza ricorrente sulle piattaforme digitali, sin dalla loro nascita ormai avvenuta più di 20 anni fa. E riguarda lo spazio da riempire con pensieri e parole, come direbbe qualcuno.

Già, pensieri, considerazioni, frasi che spesso e volentieri hanno preso forma in spazi più o meno ampi. Anzi, sin dai primi tempi in spazi assai ridotti, poi via via con spazi sempre più crescenti.

E nonostante la trasformazione delle piattaforme, il tema dello spazio in cui scrivere è rimasto sempre centrale.

Parliamo di questo tema perché la novità che ha introdotto la società di Zuckerberg sulla piattaforma nata per la forma scritta è degna di nota.

Meta, infatti, ha annunciato una novità importante per Threads: a partire da ieri, 4 settembre 2025, è possibile allegare ai post blocchi di testo fino a 10.000 caratteri.

Una scelta che cambia il modo in cui la piattaforma può essere utilizzata, avvicinandola a uno spazio capace di ospitare non solo conversazioni rapide ma anche contenuti più strutturati. Addirittura c’è chi comincia a parlare di blogging su Threads.

Su Threads si può scrivere fino a 10 mila caratteri
Su Threads si può scrivere fino a 10 mila caratteri

Fino ad oggi Threads permetteva un massimo di 500 caratteri. Uno spazio breve, certo, ma non comparabile al vero sforzo di sintesi a cui ci aveva abituato Twitter, unico fin dai suoi esordi: prima con il limite di 140 caratteri, poi ampliato a 280.

Nel panorama delle piattaforme digitali, anche Bluesky si muove su questa linea, mantenendo il tetto a 300 caratteri.

Da questo punto di vista, i 500 caratteri di Threads apparivano già un terreno più comodo per scrivere post meno compressi.

Ma ora, con gli allegati da 10.000 caratteri, si passa a un livello completamente diverso.

Come funziona l’allegato di testo su Threads

Per usare questa funzione non serve alcuna attivazione particolare.

Quando si scrive un nuovo post, sotto al campo principale compare l’opzione per allegare un testo. Una volta selezionata, si apre un editor dedicato che consente di scrivere fino a 10.000 caratteri.

Il testo allegato viene salvato come un blocco a parte. Quindi, non occupa spazio nel corpo del post, che resta sempre limitato a 500 caratteri, ma viene mostrato subito sotto come un riquadro compatto.

L’utente che legge vede un’anteprima e può toccarla per aprire l’intero contenuto.

All’interno dell’allegato si possono usare formattazioni (grassetto, corsivo, sottolineato, barrato) e i link aggiunti diventano cliccabili. In questo modo si possono costruire testi ben organizzati, leggibili e con riferimenti esterni facilmente accessibili.

Su Threads si può scrivere fino a 10 mila caratteri
Su Threads si può scrivere fino a 10 mila caratteri – esempio

Vantaggi e svantaggi di questa novità su Threads

L’estensione a 10.000 caratteri offre indubbi vantaggi. Prima di tutto permette a creator, giornalisti e professionisti di condividere contenuti completi senza spezzarli in più post o rimandare a piattaforme esterne.

È un passo che semplifica l’esperienza d’uso e che valorizza chi ha la necessità di argomentare.

Ma ci sono anche possibili limiti. Un flusso di testi molto lunghi potrebbe rendere meno immediata la lettura, allontanando chi è abituato a contenuti rapidi e sintetici.

La sfida di Meta sarà quindi bilanciare l’introduzione di questi strumenti con l’identità stessa della piattaforma, nata per favorire la conversazione veloce.

E poi, come visto altrove, c’è la tendenza a far rimanere tutti i contenuti all’interno della piattaforma, rendendo minima la tendenza a cliccare su link esterni.

Quest’ultima considerazione è tuttavia quasi stiracchiata perché resta sempre valida la condivisione con link. Ma ove mai prendesse piede questa modalità per cercare di rendere visibili i propri contenuti, pubblicati su altri siti o blog, per renderli più visibili, ecco che il problema del “de-link” si presenterebbe eccome.

A chi può essere utile

Questa funzione si rivela interessante per i creator che già oggi utilizzano Threads come spazio per divulgare e approfondire.

Newsletter, interviste, riflessioni personali o analisi possono infatti essere pubblicate senza compromessi. Anche le aziende e le organizzazioni possono trovarne beneficio: presentazioni di progetti, annunci articolati o report trovano un formato adatto, evitando di frammentare il contenuto o rimandare a documenti esterni.

Per tutti gli altri utenti, invece, l’utilità dipenderà dall’abitudine personale. C’è chi preferirà ancora post brevi e immediati, e chi invece coglierà l’occasione per raccontare esperienze o opinioni in modo più completo.

Threads e allegato lungo senza costi aggiuntivi

A differenza di quanto avviene su altre piattaforme che riservano le funzionalità avanzate agli abbonati, Meta rende disponibile questa novità a tutti gli utenti senza costi aggiuntivi.

Un segnale chiaro che rafforza la strategia di allargare la base d’uso di Threads, puntando sulla qualità e sulla varietà dei contenuti.

La possibilità di allegare testi fino a 10.000 caratteri rappresenta una svolta che segna la crescita di Threads.

La piattaforma, nata per offrire un’alternativa a X, amplia ora il proprio raggio d’azione, offrendo strumenti che intercettano l’esigenza di comunicare in modo più completo.

Resta da capire se gli utenti accoglieranno questa novità come un’opportunità per arricchire le proprie conversazioni o se continueranno a privilegiare la brevità.

Threads prova a scrollarsi di dosso l’etichetta di social “breve”, proponendosi luogo capace di ospitare anche contenuti che richiedono tempo e attenzione. Vedremo se sarà così.

Nuova BYD SEAL 6 DM-i: l’ibrida che fa 1500 km

Nuova BYD SEAL 6 DM-i: l'ibrida che fa 1500 km

La nuova BYD SEAL 6 DM-i arriva in Europa, rivoluzionando il mercato ibrido con un’autonomia combinata di oltre 1.500 km. Conosciamo meglio il design, la versione station wagon e le caratteristiche di sicurezza che la rendono una vera alternativa alle auto a benzina tradizionali.

Lo sappiamo. Il mercato dell’auto si sta muovendo, sta cambiando, e le case automobilistiche cinesi sono diventate protagoniste indiscusse di questa transizione. Soprattutto per quando riguarda le auto elettrificate.

Una delle più attive è senza dubbio BYD, che dopo aver conquistato fette di mercato con i suoi SUV anche nel nostro paese, punta ora a consolidare la sua presenza nel segmento delle berline e, soprattutto, delle station wagon.

La novità si chiama BYD SEAL 6 DM-i, e a leggere i dati rilasciati dalla casa cinese, si capisce subito perché. Non è solo un nuovo modello, ma una dichiarazione di intenti, la risposta concreta a uno dei problemi principali che frena la transizione verso l’elettrico. Ossia, l’autonomia.

 

Nuova BYD SEAL 6 DM-i: l'ibrida che fa 1500 km
Nuova BYD SEAL 6 DM-i: l’ibrida che fa 1500 km

Tecnologia Super Hybrid: la soluzione per il “range anxiety”

Il cuore pulsante di questa vettura è la tecnologia Super Hybrid con DM (Dual Mode). BYD la definisce “rivoluzionaria” e, a ben vedere, ha i suoi motivi.

La SEAL 6 DM-i funziona prevalentemente come un’auto elettrica, sfruttando un motore elettrico e la famosa Blade Battery. Quando serve più energia, un motore a benzina da 1.5 litri interviene non per muovere direttamente le ruote, ma per ricaricare la batteria, mantenendo così la sensazione di guida di un’auto elettrica pura.

Il dato più interessante, e che fa subito discutere tutti, è l’autonomia combinata: oltre 1.500 km con una ricarica completa e un pieno di carburante. Un numero che, di fatto, elimina l’ansia da autonomia e rende la SEAL 6 DM-i una vera alternativa ai modelli tradizionali a combustione, combinando il meglio dei due mondi.

BYD SEAL 6 DM-i, design e flessibilità

Se il motore è il cervello, il design è l’abito che indossa. E in questo caso, la SEAL 6 DM-i segue lo stile “ocean inspired” di BYD.

Con una lunghezza di 4.840 mm, si posiziona nel segmento delle auto familiari, offrendo spazio generoso per cinque adulti. Ma la vera sorpresa è l’arrivo della versione TOURING, la prima station wagon di BYD per l’Europa.

Con un vano bagagli che arriva fino a 1.535 litri abbattendo i sedili, la TOURING si propone come un’opzione super pratica per le famiglie, i viaggi lunghi o chi ha bisogno di spazio per lavoro o hobby.

Con questo modello, BYD non pensa solo all’efficienza, ma anche alla funzionalità e alle esigenze del mercato europeo, che da sempre apprezza la versatilità delle station wagon.

BYD SEAL 6 DM-i, tecnologia e sicurezza

Come ogni auto di nuova generazione, la BYD SEAL 6 DM-i è ricca di tecnologia.

Non mancano infatti un display infotainment da 12.8 o 15.6 pollici, la ricarica wireless per smartphone e un sistema di sicurezza completo.

Sette airbag di serie, cruise control adattivo, telecamere a 360 gradi e il sistema Vehicle to Load (V2L) che permette di alimentare dispositivi esterni, dal PC portatile al tostapane da campeggio, direttamente dalla batteria dell’auto.

In Italia, la vettura è già ordinabile e le prime consegne sono attese per la fine del 2025.

Resta da capire come un modello così innovativo e ben equipaggiato si posizionerà in un mercato ancora scettico nei confronti dei marchi emergenti. Ma con una garanzia di 8 anni per batteria e trasmissione, BYD sta lanciando una sfida molto seria.

La domanda è: questa combinazione di autonomia record, versatilità e tecnologia sarà sufficiente a convincere gli automobilisti italiani ad abbracciare il futuro ibrido targato BYD?

Staremo a vedere la risposta del mercato italiano nei prossimi mesi.

Creator in Italia nel 2025, consapevolezza ma pochi guadagni

Creator in Italia nel 2025, consapevolezza ma pochi guadagni

Il report Kolsquare 2025 fotografa la professione del Creator in Europa. In Italia pochi guadagni, forte divario di genere, ma attenzione crescente a valori e responsabilità.

Possiamo dire che nel 2025 la professione del Creator non è più una nicchia. Col tempo è diventato un mestiere, resistendo anche alla parabola degli influencer.

Già, è una professione che permette di esprimersi a chi ha qualcosa da dire, con serietà e competenza, senza per forza inseguire e rincorrere l’economia dei like. Ma, allo stesso tempo, è una professione fragile.

Uno degli aspetti che interessa da sempre, quando si parla di Creator, riguarda il loro guadagno. Una voce che è spesso relativa e mai uniforme, in quanto dipende da tanti aspetti.

Ma se ne torna a parlare da qualche settimana per via di un interessante report che fa un quadro abbastanza preciso di quella che è la situazione attuale dei Creator, evidenziando anche altri aspetti.

Il report “Voices of the Creator Economy 2025”, pubblicato da Kolsquare in collaborazione con NewtonX, fotografa con lucidità questo equilibrio instabile. E lo fa con un approccio europeo, raccogliendo i dati di 783 creator professionisti con almeno 5.000 follower in otto Paesi chiave: Francia, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi e Paesi Nordici (Danimarca, Svezia, Finlandia e Norvegia).

Un’indagine che va oltre le vanity metrics e mostra come anche la creator economy ha i suoi squilibri, le sue disuguaglianze.

Dalla disparità di reddito tra uomini e donne, alle nuove forme di pressione online, dalle condizioni lavorative, alla percezione dei valori condivisi.

Vediamo cosa ci racconta questa fotografia. E soprattutto, cosa ci dice dell’Italia.

Creator in Italia nel 2025, consapevolezza ma pochi guadagni
Creator in Italia nel 2025, consapevolezza ma pochi guadagni

I Creatori in Europa: dati generali

Lo studio ha coinvolto 783 creator con oltre 5.000 follower in otto Paesi europei. La distribuzione geografica del campione è la seguente:

Paese Numero di creator coinvolti
Germania 139
Francia 136
Regno Unito 121
Paesi Nordici 94
Italia 89
Spagna 78
Paesi Bassi 68
Belgio 58

 

Quanto guadagnano i creator in Europa

Il primo dato che salta all’occhio riguarda i redditi. In media, il 74% dei creator guadagna meno di 1.000 euro al mese, una cifra che rende difficile parlare di sostenibilità economica per molti di loro.

In Germania si registra la media più alta, ma anche il divario retributivo di genere più marcato: gli uomini guadagnano in media il 25% in più delle donne.
Il Regno Unito, invece, presenta un paradosso: solo il 22% dei creator è attivo a tempo pieno, ma è anche il Paese con il più alto tasso di trolling online: il 30% dei creator britannici ha subito molestie o attacchi verbali sui social.

In Francia, la situazione è altrettanto complessa:

  • il 77% dei creator lavora in autonomia
  • solo il 30% si definisce ben pagato
  • il 69% accetta scambi in prodotti (barter) al posto del pagamento in denaro
  • i creator francesi danno priorità a tre valori: equità, reputazione del marchio e impatto positivo.

Il profilo dei Creator italiani nel 2025

E in Italia? Dei 783 creator coinvolti nello studio, 89 sono italiani. Un campione che consente di delineare un identikit molto preciso, e per certi versi disarmante.

Un lavoro… ma per pochi

  • solo il 35% dei creator italiani lavora a tempo pieno come creator
  • il 56% gestisce la propria attività da solo, senza collaboratori né supporto organizzativo
  • il 38% ha una seconda attività per integrare il reddito.

Guadagni bassi, molto bassi

  • il 74% guadagna meno di 1.000 euro al mese
  • solo il 5% supera i 3.000 euro mensili
  • il 17% guadagna tra 1.000 e 2.000 euro
  • il restante 4% si colloca tra 2.000 e 3.000 euro.

Questi dati confermano che per la maggior parte dei Creator italiani la creazione di contenuti non è una fonte di reddito sufficiente a garantire autonomia economica.

La consapevolezza di essere Creator

Eppure, l’impegno e la consapevolezza sono alti:

  • il 62% si identifica come “content creator” (e non come influencer)
  • il 70% sceglie collaborazioni con brand che ne condividano i valori
  • il 40% dice no a collaborazioni anche ben pagate se non coerenti con i propri principi
  • il 58% si definisce attento all’impatto sociale dei propri contenuti
  • il 32% ha rifiutato almeno una volta un contratto per motivi etici.

Il Creator italiano, secondo questi dati, mostra un forte senso di responsabilità, e cerca, anche se tra mille difficoltà, di costruire una narrazione per quanto possibile coerente, rispettosa e autentica.

Confronto Italia-Europa

Il report di Kolsquare permette anche un confronto diretto tra l’Italia e gli altri Paesi analizzati:

Indicatore
Italia
Francia
Germania
Regno Unito
Media Europa
% di creator a tempo pieno 35% 42% 44% 22% ~40%
% che guadagna meno di 1.000€/mese 74% 70% 65% 76% 74%
% con seconda attività 38% 35% 33% 40% ~36%
% che lavora da solo 56% 77% 60% 65% ~64%
% che accetta collaborazioni non pagate 69% (barter) 69% 58% 63% ~65%
% che rifiuta brand non etici 40% 36% 34% 30% ~35%

 

L’Italia è in linea con la media europea sul piano della precarietà, ma si distingue per una maggiore attenzione etica nelle collaborazioni, un dato che può diventare leva competitiva.

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Gender gap nella creator economy: tra disparità e invisibilità

Uno dei nodi più delicati che il report mette in evidenza è il divario di genere. Una disuguaglianza economica che attraversa l’intera creator economy europea, spesso sottovalutata o ignorata, ma che emerge in maniera netta nei dati del 2025.

In Germania, ad esempio, il gender pay gap è il più evidente: gli uomini guadagnano in media il 25% in più delle donne, a parità di follower e contenuti.

Un dato che, oltre a colpire per l’entità, mostra quanto anche un settore percepito come “nuovo” e “democratico” possa riprodurre schemi strutturali di disuguaglianza.

Ma il problema non è solo economico. È anche di accesso alle opportunità e di tutela.

Secondo il report:

  • il 60% delle creator ha dichiarato di aver subito episodi di trolling, molestie o commenti sessisti sui propri profili
  • le creator segnalano maggiore difficoltà nel farsi pagare il giusto dai brand rispetto ai colleghi uomini
  • le creator sono anche meno presenti nei contratti a lungo termine e nei contenuti sponsorizzati ad alto budget

In Italia, sebbene manchino dati disaggregati per genere nel dettaglio, il quadro tracciato dalle interviste indica che le disparità si riflettono anche sul mercato locale:

  • le creator italiane tendono a lavorare di più in autonomia
  • accettano più spesso collaborazioni in modalità barter (scambio merce),
  • sono meno presenti nei progetti con brand internazionali, dove i budget sono più elevati.

Tutto questo accade mentre il 62% dei creator italiani si identifica come “content creator” e non “influencer”, sottolineando un desiderio di riconoscimento professionale che però si scontra ancora con bias strutturali.

Il gender gap, dunque, non è un effetto collaterale. È parte integrante del sistema. E la sua persistenza rischia di compromettere non solo l’equità, ma la stessa credibilità del settore come nuova forma di lavoro e professione.

Una Creator Economy in bilico

Quello che emerge dal report è una fotografia strutturata, a tratti contraddittoria. Il lavoro del creator è sempre più presente nel tessuto economico e culturale europeo, ma è ancora sottopagato, instabile e spesso invisibile nei diritti.

In Italia, più che altrove, emerge un’idea di professione non ancora pienamente riconosciuta, ma che si fonda su valori forti, visione e dedizione personale.

Un paradosso tutto italiano: si guadagna poco, si lavora tanto, e si tenta di farlo bene.

Ed è proprio da questa contraddizione che, forse, può nascere un’evoluzione più matura dell’ecosistema.

Se alle metriche di engagement cominciassimo ad affiancare standard professionali, attenzione e percorsi di crescita sostenibili, potremmo davvero iniziare a parlare di economia dei creator.

Ma è tutto da vedere.

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[Immagini di copertina, e quelle usate sui canali social di Franz Russo e di InTime Blog, generate usando modelli di IA Generativa come Chatgpt-5 di OpenAI e Gemini 2.5 Flash Image] 

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