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Ristoranti 2.0, con restOpolis fidelizzi il tuo pubblico su Facebook

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Anche nel mondo della ristorazione cresce l’uso di Facebook a supporto delle attività di marketing e di relazione con clienti e potenziali clienti. restOpolis mette a disposizione un nuovo strumento per rendere ancora più social l’attività promozionale dei ristoranti su Facebook

Come ormai abbiamo imparato bene, Facebook anche in Italia conta più di 23 milioni di iscritti. E di fronte a questi numeri, è indubbio che Facebook venga sempre più considerato come uno dei principali strumenti a supporto di attività di Web marketing e CRM a cui anche il mondo della ristorazione può ricorrere per comunicare, promuoversi e fidelizzare i clienti, raggiungendo anche quelli potenziali.

Per soddisfare questa nuova esigenza, restOpolis, il servizio per la prenotazione online di ristoranti totalmente gratuito per gli utenti, ha sviluppato un nuovo strumento per i ristoranti che vogliono sfruttare le opportunità offerte da attività di web e mobile marketing per aumentare la base di potenziali clienti. Si tratta della nuova applicazione per Facebook sviluppata ad hoc per ogni ristorante affiliato a restOpolis, che permetterà di arricchire la pagina Facebook del ristorante con un servizio social dedicato ai propri Fan.

Il tab “PRENOTA ONLINE Powered by restOpolis” è disponibile su richiesta per tutti i ristoranti che vogliono offrire ai loro utenti la possibilità di prenotare un tavolo senza doversi spostare dalla pagina Facebook del ristorante che stanno visitando.

Il tutto avviene in maniera automatica, senza necessità di aggiornamenti o manutenzione da parte del ristorante. L’utente può prenotare un tavolo in tre semplici passaggi:

  • Step 1: accedere alla pagina Facebook del ristorante
  • Step 2: cliccare sul tab “PRENOTA ONLINE Powered by restOpolis”
  • Step 3: accedere alla pagina Facebook dedicata (gestita da restOpolis) ed effettuare la prenotazione

Per i ristoranti affiliati, questa novità rappresenta la piena integrazione con il social network più diffuso al mondo: al momento, infatti, gli utenti possono accedere ai servizi restOpolis tramite il proprio account Facebook.

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Tra i ristoranti affiliati a restOpolis che hanno già scelto di provare questo nuovo strumento, ci sono Hostaria Borromei, Eda Milano e Il Giorno Bistrot (tutti di Milano). restOpolis sta già lavorando con altri ristoranti per integrare l’app nella loro pagina Facebook, a conferma dell’interesse da parte del mondo della ristorazione verso gli strumenti Web a supporto della propria attività.

RestOpolis è l’innovativo servizio per la prenotazione online di ristoranti che consente, scegliendo liberamente qualsiasi giorno della settimana e anche all’ultimo minuto, di riservare il proprio tavolo.  Per chi è indeciso sul ristorante dove andare a mangiare, basta andare all’indirizzo www.restopolis.com oppure scaricare l’app per iPhone e Android (accedendo anche direttamente con il proprio account Facebook) e scegliere in base a cibo e cucina preferita, zona, fascia di prezzo e promozioni scontate.

Maggiori informazioni sugli strumenti per la ristorazione offerti da restOpolis sono disponibili all’indirizzo: http://www.restopolis.com/premium

Come si parla delle Banche sui Social Media

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Nuovo paper della ricerca che Social Mind, progetto di DML, ha condotto su come le Banche italiane usano i Social Media. Dopo aver visto nel primo paper i canali utilizzati, in questa nuova tranche della ricerca osserviamo le Conversazioni  che riguardano gli istituti bancari esaminati sui vari canali di comunicazione digitale. E scopriamo che di banche si parla a proposito di conti correnti per lo più e che, su 1,392 conversazioni, il 24% è di carattere negativo

Come già abbiamo visto con la pubblicazione del primo paper, Social Minds, progetto ideato da DML, nasce con lo scopo di vedere, ma soprattutto analizzare, come le aziende italiane utilizzano i Social Media. La ricerca che verrà presentata a Milano il prossimo 11 luglio, presso il Centro Congressi Palazzo Stelline, è incentrata nell’analizzare come le Banche italiane utilizzano i Social Media. La ricerca è strutturata in più fasi ed è quindi ricca di dati e spunti che ci fotografano la situazione reale di come gli istituti bancari utilizzano i nuovi canali di comunicazione digitale. Davvero una bella ricerca, approfondita ed esaustiva, che avrà poi modo di analizzare nel prossimo futuro altri settori, alla fine del quale si riuscirà ad avere un quadro completo di come le Aziende italiane usano realmente i Social Media in Italia.

Se nel primo paper avevamo visto quali siano i canali che le Banche usano per comunicare coi propri clienti, e avevamo visto come l’utilizzo sia ancora non proprio sufficiente e che il 30% delle banche prese ad esame afferma che dal punto di vista organizzativo la gestione dei canali di comunicazione digitale sia da sviluppare oppure data in gestione a terzi. Con questo secondo paper diamo un’occhiata alle conversazioni che riguardano le Banche.

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E quindi, nel semestre che va dal dicembre 2012 al maggio 2013, periodo durante il quale sono state prese in esame le varie conversazioni, le banche più citate,e lo vedete nel grafico, sono Unicredit (12,2%), Intesa-San Paolo (10,4%), Fineco Bank (9,7%9, ING DIRECT Italia (7,6%), IW Bank (7,5%), Webank (6,8%), Banca IFIS (5,9%) e via via tutte le altre.

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Le Conversazioni esaminate sono state 1,392 e oltre la metà di questi, (818 conversazioni, il 59%), ha carattere neutro, mentre, e questa è una notizia non da poco, il 24% di queste, ossia 337 conversazioni, sono di carattere negativo. Il 17%, infine, e di carattere positivo.

Ora, sappiamo bene che quando si parla di Banche, soprattutto in questo periodo, è un argomento molto difficile da affrontare, ma qui stiamo parlando di conversazioni, cioè di persone che si relazionano sulla base di esperienze dirette e che trovano sui Social Media, appunto, momento di confronto e di approfondimento. Il 24%, quindi più o meno un quarto delle conversazioni esaminate, è di segno negativo e certamente non è un bel segnale per le Banche.

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Guardando il dettaglio delle conversazioni, si nota, e potete constatarlo anche voi sul grafico, che riguardano, senza grandi sorprese, i prodotti, quindi si tratta di conti correnti, carte, mutui e altri.

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Interessante e molto è l’analisi Sentiment che viene fatta delle conversazioni esaminate. In pratica, nel grafico che vedete sono rappresentate i parametri che abbiamo visto finora, quindi numero di citazioni (dimensione delle sfere) e valutazione delle conversazioni (lungo gli assi del grafico). Dal grafico di evince quindi che nessuna delle Banche esaminate, e lo abbiamo visto, vanta valutazioni molto positive. Notiamo che la grande maggioranza, indipendentemente dal numero di citazione, si concentra nella parte di centro e di destra del grafico, con eccezioni come BP Vicenza che ha un sentiment positivo, così come anche UBI. Credem è quella che più di ogni altra fa registrare un sentiment delle conversazioni con il segno negativo. Sentiment neutro Banca Etica.

Analizzando il rapporto tra i “Fan attivi” (coloro che pubblicano post sulla pagina) e la fan base di riferimento, si evince come su alcune pagine che mostrano numerosità di Likers relativamente non elevate, come BCCforWeb e le pagine su contomax e rendimax di Banca IFIS, si abbiano invece indici di interazione con i propri fan decisamente elevate. Anche la pagina aperta da Intesa Sanpaolo dedicata al servizio clienti mostra, in base ai dati raccolti, non solo una fan base elevata, ma anche una vivace attività di pubblicazione di post da parte dei fan.

Questo è il resoconto del secondo paper, ma ricordiamo che l’intera ricerca, composta da 6 parti (panel, sondaggio, analisi, interviste, conversazioni, analytics), sarà presentata il prossimo 11 Luglio 2013 a Milano nella Sala Leonardo presso il Centro Congressi Palazzo Stelline.

I Viaggi del Barbaro e i Contenuti Strategici

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E siamo così arrivati alla fine de “I Viaggi del Barbaro”, la rubrica che Directo e InTime vi hanno proposto, in queste settimane, per orientarsi e comprendere meglio i fattori che sono alla base nella revisione del proprio sito web. Al termine del viaggio quindi il nostro “barbaro” è più consapevole dei propri limiti e ha imparato ad usare gli strumenti che ha conosciuto nelle varie tappe

Nei precedenti episodi abbiamo visto come il Barbaro si sia trasformato professionalmente, grazie alla sua curiosità scaturita da un’esigenza: vendere i propri prodotti. E’ stato un percorso sicuramente difficile, dalle domande iniziali sul redesign del proprio sito si è passati attraverso l’analisi dei colori, della struttura, della capacità di adeguamento del sito attraverso i vari dispositivi fino al posizionamento sui motori di ricerca. Tutto questo percorso non avrebbe senso se non esistessero dei contenuti da proporre e promuovere, da ideare in base a ciascuna delle fasi che abbiamo visto. Ecco approdare il nostro Barbaro all’ultima, solo in ordine temporale, delle tappe di questo viaggio, non ha più bisogno di troppi muscoli per portarsi dietro pesi inutili, ha imparato a sfruttare la tecnologia e porta sempre con sè tutti gli oggetti che lo hanno accompagnato in questo percorso. Un benvenuto nella dimensione dei contenuti e della promozione, benvenuto in Directo-InTime!

Entriamo nel vivo della questione, proponiamo dei Semplici passaggi base per impostare una strategia di contenuti per la comunicazione aziendale (argomenti tratti dal sondaggio sui trend del content marketing the Survey Findings realizzato da BusinessBolts, post liberamente ispirato a “12 Brutally Honest Answers to Your Content Marketing Questions” di Berry Feldman)

Abbiamo visto nel precedente post quali siano i contenuti di marketing più rilevanti dal punto di vista SEO: i testi e quindi le parole chiave “pertinenti”. Come si fa ad utilizzare al meglio le parole chiave nel contenuto? Premesso che le parole chiave debbano essere sempre il fulcro del nostro discorso e non qualcosa di avulso:

Prima risposta: inserirle nella headline.

La headline o il titolo è quello che Google cerca per primo. E ‘quello che ti verrà mostrato per primo. Poi occorre inserirle anche nei metadati. E ‘quello che vedrete sotto il titolo e in grado di diventare il fattore che determina se il contenuto diventa il click.

Seconda risposta: utilizzarle in modo autentico.

Quindi, scrivere un pezzo su quelle parole chiave, non troppo eccessivo e non ingannevole. Se si usa una parola chiave tanto per inserirla nel testo ma senza cognizione di causa, si potrebbe guadagnare un click, ma non un cliente. Molto importante a tal proposito è il metodo dello Storytelling che consiste nel “raccontare storie” ai propri target con lo scopo di coinvolgere gli utenti e stimolarne l’identificazione attraverso il testo ma anche le immagini, i video ed i contenuti multimediali. Queste storie raccontate da brand e aziende non avranno il solo compito di contenere parole chiave, altrimenti la loro efficacia sarebbe pari a zero, ma anche di portare al pubblico la mission, i valori, la creatività e le idee che formano il brand o l’azienda per creare immedesimazione in modo semplice ed intuitivo.

In particolare questo metodo diventa ancora più efficace ed ampio se tutti gli elementi del racconto confluiscono nello stesso creando qualcosa che va oltre la somma degli elementi stessi, qualcosa che soddisfa il bisogno di immedesimazione della nostra mente, qualcosa che crea nel nostro pubblico “soddisfazione” e che premia pertanto in termini di visibilità, diffusione e ritorno, l’azienda che ha creato quella soddisfazione. Questa operazione di storytelling estesa viene definita “Transmedia Storytelling”. Per chiarire ulteriormente questo concetto faccio riferimento ad una bel periodo di MacsBene.

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Pensate dunque a cosa può essere un racconto sviluppato su diversi media, quanto possa essere coinvolgente “unire i puntini” del disegno narrativo utilizzando una matita, un sito web, uno smartphone e via dicendo. Anzi no, via raccontando.

Dove posso trovare copywriter di alta qualità?

Online.

Cerca il tipo di copywriter che vorresti. Probabilmente i copywriter che troverai nelle prime due pagine hanno un concetto ben preciso dell’indicizzazione e del SEO. Una buona indicazione ma non è sufficiente. È possibile infatti ottenere un buon posizionamento e non essere un copywriter altamente qualificato. Occorre leggere il loro sito, il blog, la bio, il portfolio, le referenze ed i loro tweet. La headline di tutto quello che scrivono, i titoli che avranno usati, saranno l’oggetto che colpirà la vostra attenzione. Se arriverete a leggere anche l’ultima riga vorrà dire che l’autore avrà un punteggio in più, avrà strutturato una comunicazione di maggiore impatto.

Come posso creare contenuti di alta qualità in modo semplice e veloce?

Non è possible.

Presto e bene non vanno nella stessa frase se si parla di contenuti strategici. Pensa al tuo libro preferito o album musicale o film. E’ stato creato facilmente e in poco tempo? Non credo… Roma non è stata creata in un giorno, no?

La creazione di contenuti di alta qualità richiede dedizione e tempo.

Ma qualcosa si può comunque fare. Piano. Pianifica una strategia di contenuto prima di iniziare. Dedicati all’ascolto della rete, cerca di capire il tuo pubblico di come parla dei tuoi argomenti, in che misura, con quali toni e dove ne parla. Assembla una squadra. Crea un piano editoriale. Con ogni “pezzo” al suo posto sarà davvero possibile accelerare il processo, sfruttare le opportunità di conversione, e migliorare la qualità e la continuità del lavoro. Se proprio non puoi occuparti di mettere in piedi una strategia, sappi che c’è chi può farlo per te, istruirti e lasciare a te il “solo” compito di proseguire il cammino iniziato. Chi sono queste persone? Persone come quelle che hai davanti un questo momento, che lavorano quotidianamente con queste tematiche e che hanno un team di lavoro che possa supportare le tue necessità anche in termini di diffusione dei contenuti attraverso i social network. (Directo e InTime sono a tua disposizione! ;) )

Dove sta andando il contenuto? Video, audio o immagini?

Due risposte anche qui. Prima risposta: sta andando in tutto il mondo, ovunque i clienti passino, il contenuto va con loro. Seconda risposta: sì video, audio sì, sì le immagini. Dare importanza ad un solo elemento, come visto prima, sarebbe come dire che uno solo degli alimenti è fondamentale per il sostentamento di un essere umano. Diversi mercati, clienti, comportamenti e gusti informeranno le scelte dei media, quindi è necessario ricercare, sperimentare, misurare e rispondere.

Se si sta incentrando la strategia su un unico focus, un blog dovrebbe essere la vostra piattaforma di partenza dei contenuti. Poi, se si ha idea che è giunto il momento di diversificare gli argomenti ma non si sa cosa desiderano i propri clienti (cosa da non fare!!), quindi non ci si è dedicati alla fase principale, l’ascolto, il consiglio che possiamo dare è quello di seguire il mezzo di comunicazione con che si percepisce come più naturale, più vicino alla propria azienda. Sperimentare a volte può essere utile per poi approdare a soluzioni più professionali nel momento in cui si ha la necessità di ottenere risultati misurabili.

Da dove partire per provare a scrivere contenuti propri?

Esprimere un’opinione, un punto di vista, scrivere o produrre qualcosa che colpisca, che provochi una reazione, preferibilmente positiva :) Questo è il modo per essere notati, ricordati e per sviluppare un dialogo intorno ai propri argomenti.

Come posso mantenere l’attenzione dell’utente?

Mettendo la propria realtà in relazione con l’utente, ovviamente la capacità di essere altamente relazionabili non è facilmente raggiungibile. È necessario capire il pubblico o i pubblici “intimamente”. Occorre “mettersi in ascolto”, anche attraverso i servizi gratuiti di monitoraggio delle conversazioni, come ad esempio Mention o Socialmention. In questo modo si potranno interpretare i trend e cercare di collegare i propri argomenti, il proprio storytelling a quelle necessità, a quei dialoghi, a quei bisogni.

Quali sono i metodi più efficaci di content marketing?

Non esistono metodologie “standard”, come abbiamo detto è fondamentale realizzare una strategia su misura sui “propri” contenuti e sul “proprio” pubblico. Ciascuno dovrebbe poter rispondere a questa domanda in base alle proprie personalizzate considerazioni:

  • Definire il proprio obiettivo globale e gli obiettivi specifici per ciascun canale di marketing. Ciascuno di noi sa che effetto desideri ottenere. In questo modo sarà possibile capire agevolmente ciò che è e non è “efficace”.
  • Determinare quali metriche serviranno come indicatori significativi. “Click” è una metrica ragionevole, ma “conversioni” potrebbe essere più significativa. Anche in questo caso, sta a voi definire “efficace” o meno un contenuto e di conseguenza definire se un dato indichi o meno una conversione. Quante volte avete cercato di capire le vostre comunicazioni che tipo di conversione avessero? La conversione è quel momento in cui l’utente destinatario della nostra comunicazione compie l’azione richiesta all’interno del nostro messaggio, banalmente “clicca sul link” inviatogli con la nostra newsletter oppure acquista sul tuo sito il prodotto veicolato in offerta.
  • Mettere in atto e quindi “utilizzare”, strumenti di analisi per misurare l’efficacia del content marketing. Riassumere i risultati e condividerli con i membri del team in grado di migliorarli.

Pubblicare qualcosa una volta la settimana è sufficiente?

Sì, se si sta centrando l’obbiettivo. No, se non è così.

Secondo lo studio annuale del Content Marketing Institute and Marketing Profs, Annual Study by Content Marketing Institute and Marketing Profs, i marketers dichiarano che la loro sfida più grande è la produzione “sufficiente” di contenuti. Ma che si intende per sufficiente?

Se non si stanno ottenendo i risultati sperati, è possibile che non stai creando abbastanza contenuti, ma il problema potrebbe essere diverso…

Non si stanno creando “grandi” contenuti.

Come faccio a trovare argomenti di cui scrivere?

Sintonizzati. Chi dovrebbe usufruire dei tuoi contenuti? Quali sfide deve affrontare attualmente, quali difficoltà?

Se non si sa rispondere non c’è problema, occorre trovare questi dati. Tre suggerimenti veloci: 1. chiedere direttamente al pubblico; 2. ascoltare le domande che il proprio target pone attraverso i social media; 3 rimanere al passo con gli “influencers” (utenti ritenuti affidabili su certi argomenti, solitamente identificabili con blogger di settore), degli argomenti nel vostro campo di pertinenza.

Quali sono i posti migliori dove pubblicare i contenuti aldilà del proprio blog?

Dove c’è il tuo pubblico.

Per i video, nel regno di YouTube, per i podcast su ITunes, Per le presentazioni (slide) su SlideShare, per le immagini Flickr…c’è una lunga lista di supporti, ma non è utile fare una “lista della spesa” quanto riflettere sul tipo di contenuto da pubblicare e fare la relativa giusta scelta.

Questi “supporti” sono a disposizione di tutti gratuitamente, pertanto hanno un pubblico esteso ecco perché occorre cogliere questo vantaggio e quindi condividere i propri contenuti su questi siti.

Ora, per le opere scritte, c’è una lunga serie di posti su cui pubblicare che non hanno alcuna qualità o hanno standard qualitativi molto bassi, sono quindi utili per la diffusione dei propri contenuti quanto lo sono invece quelli con standard qualitativi elevati. Il luogo migliore su cui pubblicare i contenuti del proprio sito o blog è…sui migliori blog.

E quali sono? I migliori blog sono quelli che non soltanto raccolgono il tuo pubblico ma hanno con esso un dialogo frequente, chiaro, intenso e finalizzato.

Effettuare una panoramica sufficientemente descrittiva dell’argomento del Content Marketing non è cosa semplice e credo sia impensabile essere esaustivi con un solo articolo.

Con l’augurio di aver suscitato un po’ di curiosità intorno all’argomento e di aver iniziato un dialogo, con il nostro Barbaro che oramai è diventato un figurino a metà tra webstar e VIP di altri tempi, vi salutiamo restando in attesa dei vostri commenti su questa esperienza di viaggio trascorsa insieme.

Grazie per essere stati con noi, ci vediamo sulla nostra fanpage di Facebook per proseguire il dialogo!

(tutte le vignette de “I Viaggi del Barbaro” sono realizzate dall’illustratore Riccardo Pieruccini)

 

Feedly, 12 milioni di utenti e nuova piattaforma Cloud

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Mancano pochi giorni al pensionamento definitivo di Google Reader, avverrà dal prossimo 1 Luglio, e oggi Feedly annuncia una grande novità. In pratica la piattaforma si trasforma in Feedly Cloud già da oggi con più di 25 milioni di feed ogni giorno e 12 milioni di utenti, 4 dei quali dal marzo scorso, proprio quando Google annunciò la chiusura del celebre reader

L’annuncio della chiusura di Google Reader, se vi ricordate, arrivò di sorpresa. Google la inserì in quella che definì “pulizie di primavera” (un po’ anticipate visto come sono andate le vicende climatiche), decretando la chiusura del popolare lettore di feed, forse il più popolare e usato, dal prossimo 1° Luglio, cioè fra esattamente 12 giorni. Da quel giorno, gli utenti di Google Reader si misero alla ricerca di un possibile valido sostituto. Tra quelli che avevamo consigliato “a caldo” c’era anche Feedly.

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E oggi Feedly fa un grosso annuncio, vista anche l’imminenza del pensionamento di Google Reader, che consiste nel lancio di una nuova piattaforma, disponibile da oggi stesso, Feedly Cloud. In pratica la piattaforma si trasforma e si riorganizza in Cloud con l’intento di offrire un servizio migliore. Pensate che ogni giorno sono più di 25 milioni i feed elaborati dalla piattaforma e con la nuova piattaforma in Cloud le API sono aperte disponibili per sviluppatori di terze-parti, già oltre 200. E sempre oggi Feedly annuncia le prime 9 cloud app disponibili e sono:

  • IFTT, con la possibilità di poter collegare il proprio account Feedly ad altri 63 servizi;
  • Sprout social, piattaforma di gestione per i social media; con l’account Feedluy è possibile leggere e pubblicare direttamente dalla piattaforma;
  • NextGen Reader per Windows 8 e Windows Phone, davvero una bella app che si sispira all’interfaccia Metro. Anche in questo caso si può usare l’account Feedly per leggere i propri feed su questi dispositivi;
  • gNewsReader per BlackBerry 10 e per Symbian / MeeGo, due lettori eleganti e versatili, ottimi per usare Feedly sui dispositivi BlackBerry e Symbian;
  • Press, un bel lettore per Android e include il supporto completo non in linea;
  • gReader, un semplice, veloce ed intuitivo lettore per Android, con bellissimi temi e anche in questo caso supporto completo non in linea;
  • Newsify: un lettore per iPhone o iPad, con un layout simile ad un giornale. Supporta la lettura offline, tra cui la memorizzazione nella cache dell’immagine e permette anche l’utilizzo di più account feedly;
  • Pure News Widget, un widget reader scorrevole e fruibile per Android, con tante skins;
  • Menerè, un client desktop di Windows utile per Feedly per visualizzare tutti gli elementi, filtrarli per stato di lettura.

Ma le novità di Feedly non si fermano a queste. Infatti oggi viene rilasciata la versione “standalone” della app, ciò significa che da oggi Feedly è disponibile per qualsiasi browser, inclusi Opera e Internet Explorer.

Dicevamo in apertura del post che Feedly ad oggi conta ben 12 milioni di utenti, 4 dei quali acquisiti proprio con l’annuncio della chiusura di Google Reader  e non vi è dubbio che aumenteranno nelle settimane successive.

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Allora, raccolte tutte queste informazioni, non vi resta che dire definitivamente addio a Google Reader, perchè sappiamo che tra voi ci sonno tanti, se non tutti, che lo hanno utilizzato in questi anni, e apprestarvi al definitivo passaggio.

Ovviamente raccontateci le vostre impressioni su Feedly e sulla ormai imminente chiusura di Google Reader.

L’Innovazione delle aziende italiane è nel segno della Mobility

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Nonostante il periodo di crisi economica in corso, le principali aziende italiane sempre di più investono e si innovano nel segno della Mobility. Le imprese che li ritengono fondamentali passano dal 37% del 2012 al 50% del 2013; diventeranno 2 su 3 nel 2014.E’ quanto emerge dalla ricerca presentata oggi dell’Osservatorio Mobile Device & Business App della School of Management del Politecnico di Milano

Nonostante lo scenario di contrazione economica in corso, il ruolo della Mobility a supporto dei processi di Business conserva – e addirittura rafforza – la propria rilevanza nelle “agende dell’innovazione” delle principali imprese italiane: “Nel 2013 un’impresa su due del nostro campione la ritiene una priorità alta o medio alta; diventeranno due su tre nel 2014”, afferma Andrea Rangone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Mobile Device & Business App.

Il 57% delle imprese ha già introdotto New Tablet per una o più famiglie professionali e il 35% utilizza già anche Business App, cioè applicazioni sviluppate specificatamente per i device mobili (tablet e smartphone in primis): nel breve-medio termine diventeranno, rispettivamente, il 90% e il 96%. Inoltre, il 58% delle imprese che hanno già introdotto delle Mobile Business App ha adottato anche una piattaforma di Enterprise Application Store, cioè un Application Store interno, aziendale, finalizzato alla gestione delle applicazioni e dei device mobili usati dal personale”.

Le PMI sono restie a investire nell’IT ma 1 su 3 ha adottato i New Tablet, destinandoli nel 63% dei casi di adozione alla forza vendita. La penetrazione delle Mobile Business App si ferma però al 25% delle PMI e di queste solo un 46% ha adottato un Enterprise Application Store.

È quanto emerge dalla fotografia scattata dall’Osservatorio Mobile Device & Business App della School of Management del Politecnico di Milano. I dati della Ricerca, presentata a Milano presso il Campus Bovisa in occasione del Convegno “Mobile Enterprise: tap your Business!”, illustrano il grado di adozione nelle grandi aziende e nelle PMI del trinomio composto dai nuovi Mobile Device, le Mobile Business App e gli Enterprise Application Store.

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Le risposte fornite da 200 capi dei sistemi informativi (Chief Information Officer o CIO) di grandi aziende sopra i 250 dipendenti mostrano come già il 57% di loro abbia introdotto New Tablet e il 62% si dichiari soddisfatto della scelta effettuata.

Nelle grandi aziende, l’utilizzo dei New Tablet si è diffuso tra il top management: nel 2012, il 64% dei CIO li ha forniti a Executive & C-level (CCO, CEO, CFO, CSO) e un altro 12% li introdurrà nel breve periodo. Anche il Personale di Vendita in parte li sta già utilizzando (41% delle aziende, in crescita rispetto al 29% dello scorso anno) o li utilizzerà in futuro (16% a breve e 25% a medio/lungo), e la velocità di adozione per questa figura professionale risulta, negli ultimi tre anni, molto elevata.

Le Mobile Business App più adottate in azienda vanno infatti a supportare questa categoria.

Le App di Sales Force Automation, sviluppate (o personalizzate) ad hoc per supportare specifici processi di vendita e merchandising, sono utilizzate dal 59% delle aziende; mentre le App di Field Force Automation, sviluppate per supportare specifici processi operativi sul campo (manutenzione, trasporto, ecc.), si attestano al secondo posto con il 41% di diffusione. Le App di Personal Productivity, che permettono di visualizzare informazioni e report aziendali e produrre documenti, sono tra le App che verranno maggiormente adottate in futuro.

I CIO sono consapevoli dell’importanza di queste soluzioni: nel medio periodo il 96% avrà introdotto Mobile Business App in azienda: il 35% lo ha già fatto, ancorché siano destinate a una “piccola” parte dei dipendenti, e il 61% conta invece di introdurle in futuro (25% a breve e 36% a medio termine).

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Per la pubblicazione, installazione e aggiornamento delle applicazioni, il 58% delle aziende che ha già introdotto Mobile Business App ha adottato anche una piattaforma di Enterprise Application Store, che consente di controllare gli accessi, gestire il licensing e profilare gli utenti per garantire la sicurezza dei dati delle App e tutelare il rispetto delle policy aziendali.

Anche l’attenzione verso il paradigma del «Bring Your Own Device» cresce sensibilmente in tutti gli attori coinvolti nella Ricerca: è, infatti, raddoppiato il numero di Grandi Imprese che permettono l’utilizzo di dispositivi personali per attività lavorative, passando dal 20% del 2012 al 45% del 2013, nonostante nel 63% dei casi i CIO non abbiano definito puntualmente una policy che regoli l’uso dei dispositivi personali. Approfondendo ulteriormente il tema, emerge come al momento solo il 6% dei dipendenti (esclusivamente Executive & C-Level) può scegliere e acquistare in autonomia il dispositivo mobile; un ulteriore 34% (anche un questo caso si tratta di Executive & C-Level) può scegliere il dispositivo, che verrà in seguito acquistato dall’azienda (modello «Choose Your Own Device»).

Mobility e PMI

Nel 2013 solo il 30% delle PMI Italiane attribuisce una priorità Alta o Medio Alta ai progetti di Mobility; nel 2014 questa percentuale aumenta solo marginalmente (37%).

Tuttavia è elevata la diffusione di New Tablet: 1 PMI italiana su 3 ha adottato i modelli da 7” e 1 su 4 quelli con display da 9-10”. Nel 63% delle PMI che li ha introdotti, i destinatari sono il Personale di Vendita, mentre Executive e C-level non passano il 30%.

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Il fenomeno del “Bring Your Own Device” è accolto favorevolmente dalle PMI italiane come un metodo flessibile di gestione dei device nella relazione con dipendenti e collaboratori: il 56% delle PMI italiane consente infatti ai suoi dipendenti l’utilizzo dei propri dispositivi personali e, al contrario di quanto avviene nella Grandi Imprese, in molti casi (circa il 70%) sono state introdotte policy per regolare questo fenomeno.

Risulta, invece, limitata l’adozione di Mobile Business App: solo il 25% delle PMI italiane le ha introdotte e il 6% lo farà a breve. Rispetto alle Grandi Imprese, la percentuale di “non interesse” aumenta, arrivando al 47% delle PMI.

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Di conseguenza anche gli Enterprise Application Store riscontrano un tasso d’adozione inferiore rispetto a quello delle Grandi Imprese: tra le PMI che hanno già introdotto Mobile Business App, il 46% (pari al 14% delle PMI italiane) ha già adottato una piattaforma per la loro gestione.

Mobility e Start-Up

Tuttavia c’è un altro ambito in cui delle piccole imprese stanno mostrando elevata dinamicità”, afferma Andrea Rangone, Responsabile Scientifico Osservatorio Mobile Device & Business App. “Sono le 878 startup che, a livello internazionale, operano nel Mobile e che, negli ultimi due anni, hanno ricevuto finanziamenti da investitori istituzionali; di queste, circa il 10% opera nel mercato delle soluzioni a supporto della Mobility aziendale”.

La maggior parte delle Startup si occupa, da un lato, dello sviluppo di piattaforme di Mobile Security, App Management e Mobile Device Management (MDM), che consentono alle imprese di gestire da remoto il parco di dispositivi mobili e la sicurezza dei dati utilizzati; dall’altro sviluppa le App più apprezzate dai CIO, come quelle di Sales Force Automation e di Work Force Automation, oppure di Pesonal Productivity.

Vueling approda a Firenze con una campagna di guerrilla marketing

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Vueling, la compagnia area low cost spagnola presente in Italia dal 2004, arriva a Firenze e per l’occasione organizza una campagna di guerrilla marketing con i personaggi che parlano attraverso fumetti in dialetto toscano. Una campagna simpatica e ben strutturata che si propone lo scopo anche di rafforzare ancora di più il brand nel nostro paese

Grandi fumetti con i colori aziendali, dialetto fiorentino e flash mob. Questi i tre ingredienti principali della campagna di guerrilla marketing ideata e realizzata martedì 11 giugno alla stazione Santa Maria Novella dalla compagnia aerea Vueling per lanciare le nuove tratte da e per l’aeroporto di Firenze-Peretola. 

Cronaca di una “bischerata”

Una manager, un giovane turista backpaker, alcuni uomini d’affari, una coppia e delle ragazze pronte per partire con i loro trolley sono arrivati alla spicciolata al terminal ferroviario e si sono diretti al punto di raccolta dei bus in partenza per gli aeroporti di altre città. Hanno subito catturato l’attenzione degli altri passeggeri in attesa di prendere gli shuttle, perché indossavano dei vistosi fumetti colorati sulla testa. “Se la mi’ nonna aveva le rote era un caretto… e ci metteva meno di me per arrivà a Barcellona! Ma un potevo partì da Firenze?”, “Amore, che noia, son du ore che aspettiamo la navetta”, “E tu c’hai ragione! Un potevamo partì da Firenze”, “Ore di bus buttate a il vento! Son di Firenze… un potevo partì da Peretola?” “Eh certo! Aggiornati, grulla!”. Queste e tante altre le frasi scritte in fiorentino sui fumetti che richiamavano i colori di bandiera di Vueling. 

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Case history

La formula di guerrilla marketing scelta da Vueling è stata divisa in due parti: una fase teaser e una fase di consolidamento. La prima si è svolta alla stazione di Santa Maria Novella con la complicità di alcuni attori/passeggeri, di un fotografo e di un video maker. Il target di questa prima fase erano gli abituali viaggiatori che ogni mattina prendono gli shuttle in partenza dal terminal ferroviario per gli aeroporti di altre città.

Ad un target più giovane era invece rivolta la seconda parte brandizzata del guerrilla marketing, che ha visto coinvolte delle hostess per la distribuzione di coupon sconto nei locali più frequentati del centro di Firenze. 

Vueling in Italia

Da Firenze partono e arrivano ogni giorno voli Vueling per Londra, Parigi, Madrid, Barcellona, Copenaghen, Amburgo, Catania e Berlino. Firenze rappresenta uno scalo di primaria importanza per Vueling, la compagnia aerea infatti nel marzo 2013 ha inaugurato la propria base operativa presso l’aeroporto toscano, la seconda dopo quella introdotta presso l’aeroporto di Roma Fiumicino. La compagnia ha iniziato le proprie operazioni in Italia nel dicembre 2004 collegando Fiumicino e Malpensa con Barcellona e Valencia con Milano. La rilevanza del mercato italiano è via via cresciuta a partire dall’inaugurazione del volo Barcellona-Venezia nell’aprile 2006. Nel corso degli anni Vueling ha trasportato oltre 12 milioni di passeggeri in Italia, durante l’estate 2013 la compagnia sarà presente in 14 città italiane (Roma, Milano, Venezia, Firenze, Napoli, Palermo, Pisa, Genova, Bari, Catania, Torino, Bologna, Olbia e Cagliari) con due basi operative a Roma Fiumicino e Firenze.

In crescita nel 2013 l’advertising sui media digitali e social media

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Cresce l’advertising sui media digitali e cresce anche sui social media. Gli investimenti pubblicitari nel 2013 crescono del 3% e cresceranno del 6% nel 2014. E’ quanto risulta da un’analisi di Magna Global per gli investimenti pubblicitari a livello globale. In questo contesto la novità è l’aumento di investimenti in Sud America che supera anche l’Europa

L’industria pubblicitaria sta per diventare ancora più importante con l’aumento della spesa complessiva. Secondo Magna Global, unità di supporto globale dei media strategici di Interpublic Group, durante l’anno 2013 si prevede una crescita degli investimenti del settore pubblicitario del 3%, mentre nel 2014 questa percentuale potrà raggiungere il 6%.

La pubblicità è essenziale per far conoscere un’azienda e dotarla di una serie di strumenti per migliorare la notorietà di marca o, per esempio, il posizionamento online nella nuova era di Internet. Per questo motivo, la spesa pubblicitaria globale di quest’anno raggiungerà 486.000 milioni di euro e nel 2014 raggiungerà 515.000 milioni di euro.
Gli Stati Uniti continuano a stare al di sopra di altri paesi mantenendo quasi un terzo della spesa. Mentre per l’America Latina è prevista una crescita del 12,5% nel 2013 e del 12,9% nel 2014 superando quindi l’Europa che ha raggiunto il 7,6% in Europa Centrale e Orientale.

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Come si suddividono questi investimenti?

Nel 2013 aumenteranno di circa il 13,4%, fino a raggiungere i 113.600 milioni di dollari, gli investimenti nei nuovi media digitali, in particolare nella pubblicità online e su mobile.

A seguire troviamo gli investimenti nei social media, con un aumento fino al 39,6%, fino a raggiungere gli 8.200 milioni di dollari, e nei video digitali con un incremento fino al 21% raggiungendo quasi i 6.600 milioni di dollari.

Sicuramente la televisione continuerà a monopolizzare la maggior parte degli investimenti pubblicitari con un 40,4% complessivo.
Infine spiccano giornali e riviste, per i quali si avrà invece una riduzione rispettivamente del 3,3% e 5,1%, e che insieme genereranno un fatturato di 110.000 milioni di dollari nel 2013.

In questa panoramica globale dove si attesta fortemente la necessità farsi conoscere e quindi investire nel settore, nonostante la crisi, che posizione occuperà chi sta ancora pensando sul dafarsi?

#LeMieParole, su Penelope le parole al tempo dei Social Media

#penelope

Come cambia e come è cambiato il linguaggio con la rete e i Social Media. E’ questo l’argomento che stasera Penelope Live, in live streaming alle 22 su Rai.tv, tratterà con ospiti come Alessandra Casella, Luisa Carrada, Carlo Cresto-Dina. Maker della puntata Giuseppina Ibba. Da domani invece Penelope Storie fino a venerdì

Nuovo appuntamento stasera con Penelope Live, il nuovo programma di Giampaolo Colletti in live streaming su Rai.tv alle 22 e poi, con Penelope Storie, dal martedì al venerdì sempre sulla stessa piattaforma e alla stessa ora.

Argomento di stasera è #LeMieParole, ossia come è cambiato e come cambia il linguaggio nell’era del Web e dei Social Media.

Sincopato, spezzato, liquido. Eccolo il linguaggio che dalla rete sta permeando la nostra vita quotidiana. I nuovi mezzi di comunicazione reinventano parole, dando vita ad abbreviazioni ed espedienti per renderlo più incisivo. E allora se le parole hanno un peso, quali sono le tue parole ricorrenti in rete? Penelope segue il filo della comunicazione tra post e hashtag. E propone il suo, tutto da riempire: #LeMieParole. Così, tra apocalittici e integrati, tra detrattori e fautori dei nuovi mezzi di comunicazione, tu dove ti collochi? Di fronte a questo scenario, voi dove vi collocate?

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E’ ovvio che le parole servono per comunicare e infatti non abbiamo mai smesso di farlo. Facebook e Twitter contribuiscono molto in questo senso, ci offrono nuove possibilità e lanciano sempre delle sfide nuove. Appunto gli hashtag, l’esigenza di tempi, spazi e modi diversi ci invitano ogni giorno a confrontarci con nuovi modi di comunicazione. Ma non alterano mai la nostra esigenza di comunicare.

Tra gli ospiti di stasera Alessandra Casella, Luisa Carrada, Carlo Cresto-Dina. Maker della puntata Giuseppina Ibba (AliaVerba). Tutta la puntata verrà commentata sulla social tv dai migliori blogger e influencer della rete. Unitevi e commentate live  insieme a noi raccontando #LeMieParole.

Sono 300 mila gli aspiranti imprenditori in Italia

In quanti si lancerebbero in un’impresa imprenditoriale? Secondo un’indagine promossa da Italia Startup, in collaborazione con Human Highway, sono 300 mila gli italiani pronti a mettersi in gioco con una propria idea come imprenditori. Il 13,7% aprirebbe un’attività nel settore servizi web, app e software, mentre il 21,9% preferisce la ristorazione e l’11% il settore manifatturiero.

La crisi del lavoro, la necessità di reinventarsi e il fermento che si sta registrando nel mondo delle startup stanno generando un potenziale latente di imprenditoria che ancora non riesce a svilupparsi.

E le sue dimensioni sono notevoli: sono 300.000 gli italiani che non solo intendono creare una propria impresa o supportarne una, ma che hanno già un progetto in mente in un settore definito” afferma Federico Barilli, Segretario Generale di Italia Startup.“Il 21,9% intende avviare la propria attività nel settore ristorazione, mentre le tecnologie digitali catturano l’interesse del 13,7% degli intervistati: in particolare il 7,4% intende investire in servizi web come e-commerce, comunicazione digitale e piattaforme di co-working, mentre il 6,3% punta alla progettazione software e allo sviluppo di app: è un segno evidente delle potenzialità offerte dalle tecnologie digitali nella creazione di opportunità lavorative”.

Questi sono i dati che emergono dalla prima ricerca condotta da Italia Startup, l’Associazione no profit che rappresenta l’ecosistema delle startup italiane, in collaborazione con Human Highway. 

Per individuare gli aspiranti imprenditori nel Belpaese, Italia Startup ha chiesto a un campione di 947 persone, rappresentativo della popolazione italiana, come intenderebbero investire un’inaspettata eredità di 200.000€ da un fantomatico zio d’America. Le tre risposte che hanno ottenuto più consensi sono figlie della crisi economica:

  • il 30,9% desidera avere la certezza della casa comprandone una;
  • il 23,2% intende pagare i debiti oppure il mutuo, mentre
  • il 20,9% sceglie la temporanea fuga di un viaggio o di una vacanza da sogno.

Ma al quarto posto, con

  • il 18,8%, degli intervistati si posizionano coloro che desiderano supportare un’iniziativa imprenditoriale: il 16,5% degli intervistati vorrebbero utilizzare i soldi per un proprio progetto imprenditoriale, mentre il 2,3% li impiegherebbe in un’impresa di amici e conoscenti.

All’interno di questo 18,8%, però, il 32,4% sarebbe disposto a investire meno della metà o una parte limitata dei 200.000€, mentre il 67,6% è disposto a rischiare una parte consistente del patrimonio: sono quei 3,5 milioni di italiani (12,2% degli intervistati) che rivelano una maggiore propensione all’imprenditorialità.

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Per verificare la maturità di questa propensione, l’indagine ha poi analizzato la presenza di un’idea imprenditoriale negli intervistati e solo il 40,9% ha rivelato di avere un progetto abbastanza preciso (30,2%), ben definito (9,2%) o già avviato (1,5%).
Infine come ulteriore controprova dell’aspirazione all’imprenditorialità,  è stata riscontrata la propensione a investire il proprio finanziamento in un settore specifico. L’82,6% ha rivelato di avere già identificato il settore: corrisponde all’1,1% degli intervistati, pari a circa 300.000 italiani.

Il principale modello di riferimento per il 31% di questi aspiranti imprenditori è il self-made-man all’italiana (da Ferrari a Briatore, da Berlusconi a Delvecchio), che attrae preferenze soprattutto nel Nord Italia (55%) e tra coloro che investono nel settore commerciale (27%).

Per il 29% il modello è invece costituito dalle grandi famiglie imprenditoriali italiane (Agnelli, Barilla, Ferrero) che raccolgono preferenze soprattutto al Sud e nelle Isole e tra coloro più propensi a investire nella ristorazione (21,3%) o nel turismo (21,4%).

Un giovane imprenditore su quattro è attratto invece dall’imprenditore dell’informatica e della new economy: tra i nomi più citati ci sono ovviamente Bill Gates, Steve Jobs o Mark Zuckerberg. Il 70,9% di questi aspiranti imprenditori sono uomini e il 49,4% ha un’età  tra i 24 e i 35 anni, risiedono in gran parte nel Nord (52,6%) e se avessero a disposizione 200mila euro li investirebbero nel 29% dei casi nel settore dei Software/Servizi Web (tre volte il dato complessivo).

Infine il 18% ammira i manager-imprenditori alla Marchionne o De Benedetti. Sono in genere aspiranti imprenditori tra i 35 e i 44 anni (33,7%) che intendono puntare ai settori Manifatturiero (34,1%) o Commerciale (29%).

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Non è un caso che proprio l’ipotesi di ricevere una donazione di 200.000€ abbia scatenato il desiderio imprenditoriale degli italiani: tra i principali inibitori della libera iniziativa c’è proprio la scarsità di risorse finanziarie per dare corpo al proprio progetto. Per 8 aspiranti imprenditori su 10 questo è il principale ostacolo. Al secondo posto tra i fattori inibitori, nettamente distaccato dal primo, si classifica la difficile congiuntura economica, che blocca il 20,6% degli intervistati. Il mancato reperimento di amici o colleghi disposti a rischiare nel progetto ferma invece l’11,1% degli aspiranti imprenditori.
È interessante notare come tra coloro che mostrano propensione all’imprenditorialità ma non intendono rischiare la maggior parte dei 200.000, è meno diffusa la percezione della mancanza di soldi, che si attesta al 67,2% e trova più spazio la sfiducia generata dalla difficile congiuntura economica (30,4%).

Sembra un paradosso, ma la crisi genera una delle risorse più importanti per l’economia italiana: il desiderio di imprenditorialità, di esprimere i propri talenti per creare nuove opportunità lavorative” ha commentato Federico Barilli, Segretario Generale di Italia Startup. “Solo per 2 aspiranti imprenditori su 10 il momento economico sfavorevole è un limite; per la maggior parte di loro, basterebbe trovare un adeguato finanziamento per creare una nuova realtà produttiva. Questa indagine diventa dunque un forte richiamo per le aziende consolidate, i settori maturi, soprattutto del Made in Italy, a investire nelle startup: è invito a contaminarsi con i nuovi modelli di business offerti dalle tecnologie digitali, un vero e proprio asset competitivo per il nostro Paese, capace di attrarre l’iniziativa imprenditoriale dei più giovani”.

Effetto Vine, Facebook lancia i video su Instagram?

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Facebook si sta apprestando ad un nuovo lancio, questa è l’unica notizia certa riguardo al prossimo evento del 20 Giugno, di cui si sa veramente poco. Poco fa TechCrunch, sulla base di alcune fonti, svela che il lancio riguarderebbe una nuova feature di Instagram, ossia la possibilità di poter condividere non solo le immagini ma anche i video. E intanto Vine su Android in Italia non spopola

Lo chiamiamo effetto Vine? A quanto pare si. In un momento in cui si assiste a continui colpi che altro non sono che la risposta al diretto concorrente, e lo abbiamo visto con la recente introduzione dell’hashtag anche da parte di Facebook, pare da fonti riportate da TechCrunch pochi minuti fa che il prossimo evento, conferenza stampa, Facebook del 20 Giugno riguarderebbe il rilascio di una nuova funzionalità di Instagram. Il servizio di condivisione di immagini acquisito da Facebook nell’aprile 2012 per 1 miliardo di dollari, sembrerebbe, condizionale d’obbligo, prepararsi alla possibilità di poter condividere sulla piattaforma anche i video. La notizia, vista in un altro contesto, potrebbe sembrare la diretta conseguenza del servizio, una evoluzione naturale, ma così non è. Dopo il lancio di Vine da parte di Twitter, prima su iOS e poi, molto di recente, su Android, se fosse vera questa notizia, allora non è altro che la diretta risposta di Zuckerberg a Vine di Costolo & Co.

Da Gennaio a Giugno Vine ha conosciuto una grande popolarità su iOS. La possibilità di poter caricare un video, sebbene di soli sei secondi, in un tweet, è piaciuta a tal punto che nei mesi citati ha superato, in fatto di sharing, anche Instagram, nonostante Twitter non permetta più di vedere le foto condivise proprio da questa piattaforma.

Perchè Facebook /Instagram avrebbe vantaggio a introdurre i video?

Certamente per arricchire le possibilità di condivisione e far crescere ancora di più Instagram. Ma anche perchè questa potrebbe essere una nuova possibilità per i marketer e quindi aprirebbe la strada all’advertising su Instagram. Se è vero, come ha sostenuto Mark Zuckerberg in occasione del Q1 2013 che molti investitori hanno manifestato molto interesse per Instagram, nonostante l’assenza di formule per fare pubblicità, allora questa potrebbe essere la giusta occasione. Staremo a vedere.

Intanto occhi puntati al 20 di Giugno per verificare se questa notizia avrà, come crediamo, conferma.

Due parole su Vine in Italia.

Come detto, Vine all’inizio di giugno è stato rilasciato anche su Android. Allora ci siam permessi, grazie a Distimo, di vedere, a distanza di qualche giorno, che accoglienza avesse avuto nel nostro paese. Ebbene, come detto all’inizio, in Italia Vine non spopola.

vine ranking daily android - distimo vine ranking weekly android - distimo

Infatti nella classifica generale settimanale, Vine si piazza come new entry in 335esima posizione. Mentre nella classifica “Social” settimanale si piazza in 11° posizione. Nella classifica, sempre “Social”, ma quotidiana le cose non vanno meglio, infatti Vine si piazza in 14° posizione. L’app è stata scaricata, in generale, 27.745 volte e ha una valutazione media su Google Play di 2,8.

Social Business, ecco i 4 miti da sfatare

Vi proponiamo oggi una bella riflessione di Richard Hughes, Director Social Strategist di Broadvision, sul Social Business e quelli che sono secondo lui i “miti” da sfatare. Hughes analizza tutti i punti essenziali su cui si fonda il fare business con i social media, evidenziando quella che di fatto è la realtà. Per questo vi invitiamo a leggerlo

Se siete interessati a quali potrebbero essere i vantaggi di utilizzare un social network all’interno dell’azienda, avrete probabilmente letto vari articoli durante tutto il 2012 che affermavano che il social business  può rendere più felici, collaborativi  e produttivi i dipendenti. Probabilmente uno degli articoli che avete letto faceva riferimento all’indagine pubblicata a Luglio 2012 da McKinsey Global Institute. Dallo studio risultava che le tecnologie sociali utilizzate all’interno dell’azienda sono potenzialmente due volte più efficaci rispetto alle attività sui social media rivolte verso l’esterno, e che inoltre possono migliorare del 20-25% la produttività dei cosiddetti Knowledge Workers.

Al contrario, nella prima metà del 2013, sono stati pubblicati diversi articoli che “dichiaravano morto” il social business o che quanto meno consideravano esagerati i suoi benefici. I sostenitori del social business potrebbero essere un po’ preoccupati da queste notizie, ma non è il caso di esserlo: nel ciclo di vita delle nuove tecnologie punti di vista contrastanti sono all’ordine del giorno.

Gartner descrive accuratamente questo fenomeno nel suo modello chiamato hype cycle“. Il modello spiega che nel ciclo di vita delle tecnologie emergenti esiste

  • una prima fase in cui l’elemento di innovazione tecnologica spinge all’adozione (technology trigger), in seguito si verifica
  • un rapido picco generato da forti aspettative spesso esagerate (peak of inflated expectations), per poi
  • ridiscendere altrettanto bruscamente quando si realizza che i benefici promessi erano “gonfiati” o quanto meno difficili da raggiungere (trough of disillusionment).

Questa è la situazione attuale del social networking per le aziende, infatti tutte le tecnologie emergenti passano attraverso questa fase negativa. Nell’hype cycle, dopo questo periodo di disincanto vengono  le fasi più significative (slope of enlightenment e plateau of productivity) quando finalmente l’uso abituale della tecnologia inizia a dare veri risultati di business. Per raggiungere questa terra promessa di produttività bisogna superare la fase iniziale di eccessivo entusiasmo e l’inevitabile effetto negativo che ne consegue. Il modo migliore per arrivare rapidamente ad ottenere risultati di business è di imparare a riconoscere il picco iniziale e il conseguente contraccolpo.

Ecco dunque quattro miti del social business spesso sfatati dalla realtà.

I social network aziendali riscuotono più successo dove si lavora grazie alla condivisione di informazioni e dove i collaboratori, geograficamente dislocati, desiderano più apertura e trasparenza nel modo di lavorare. Certamente è possibile che il social networking possa decollare in aziende che hanno solo una o due di queste caratteristiche, ma è molto più difficile. Se tutti i collaboratori si trovano nello stesso ambito geografico, è molto probabile che le informazioni vengano scambiate verbalmente piuttosto che online. Per avere successo nell’uso del social networking, non è necessario che un’azienda abbia già impostato una cultura lavorativa più aperta e trasparente, ma se la stessa non è disposta a condividere le conoscenze tra i collaboratori, fallirà nel suo obiettivo.

Mito: I social network per le aziende sostituiranno le email.

Realtà: Questa affermazione è parzialmente vera, ma in modo diverso da quanto ci si aspetterebbe.

Per molti sostenitori del social business, le email rappresentano “il male che deve essere sconfitto“, quindi c’è poco da meravigliarsi se gli scettici fanno notare che i social network generano un numero non indifferente di notifiche email. Tuttavia non è questo il punto. L’obiettivo è di spostare le discussioni tra collaboratori (per le quali le email sono poco adatte), e tutto ciò che riguarda la conoscenza aziendale, fuori dalle inbox verso i social network, garantendo una maggiore accessibilità. Di conseguenza, le email diventano un meccanismo di notifica e non più un archivio di conoscenze; per questo diventa irrilevante il numero di email inviate e ricevute.  

Mito: Facebook (o Twitter) serve al business.

Realtà: Non è così, ed è giusto che non lo sia.

L’etichetta “Facebook per l’azienda” è inappropriata e pericolosa. Richiama immediatamente alla mente la condivisione di foto divertenti del proprio gatto e di scambi di battute spiritose tra collaboratori – è ovvio che, con queste premesse, i dirigenti di un’azienda difficilmente promuoveranno progetti “Social” sul luogo di lavoro. Le interazioni in Facebook e in Twitter sono, in genere, più estemporanee rispetto a quelle che avvengono tra collaboratori. Se vi perdete l’ultima foto di rito o la battuta di turno potete anche sopravvivere, se invece perdete istruzioni importanti su una scadenza da parte del vostro capo potreste subirne le conseguenze. Quindi il modo in cui sono costruite le relazioni tra utenti di un social network aziendale e il modo in cui i contenuti sono trasmessi e ricercati, deve essere molto diverso che su Facebook e Twitter.

Mito: L’adozione del social business è virale.

Realtà: Forse sì, ma non per molto tempo.

Diversi anni fa, molti sostenitori del social business pensavano che i collaboratori di un’azienda avrebbero adottato gli strumenti di social business in modo virale: pochi individui avrebbero incominciato, gli altri avrebbero seguito il loro esempio e, come per magia, tutti sarebbero diventati utenti collaborativi e produttivi. E’ vero che in alcuni casi di successo è andata proprio così, ma per la maggior parte delle aziende è andata diversamente. In genere, quando una rete collaborativa parte dal modello “bottom up”, dopo un iniziale periodo di entusiasmo il suo utilizzo diminuisce o si trasforma  in un “Facebook aziendale” (irrilevante per il business). Perchè la piattaforma sociale possa dare i risultati sperati e possa realmente essere utilizzata per lavorare, la direzione aziendale deve inizialmente implementare una strategia ben precisa  che permetta di sfruttare al meglio la piattaforma tecnologica con dei chiari obiettivi aziendali.

Allora, quali sono le vostre considerazioni? Quali altri miti a proposito di Social Business secondo voi andrebbero sfatati?

#TwitterAcademy, ecco come Twitter gestisce l’Advertising

TwitterAcademy-crescita-globale

Il #TwitterAcademy di qualche giorno fa è stata l’occasione per comprendere meglio la gestione degli Ads su Twitter. Un’occasione dunque aperta agli addetti ai lavori ma contenente anche qualche informazione di carattere generale. Ad oggi, sono 200 milioni gli utenti attivi su Twitter con 400 milioni di tweets al giorno

Qualche giorno fa c’è stato il #TwitterAcademy un webcast su come migliorare la visibilità del proprio brand su Twitter. Innanzitutto una considerazione sul titolo: il fatto di doverla migliorare implica che si abbia già un account attivo e funzionante, considerazione che può sembrare scontata ma di cui si comprenderà maggiormente il senso una volta approdati alle conclusioni infondo a questo articolo.

Il webcast parte con la definizione di Twitter come piattaforma aperta, real-time e conversazionale che mette in stretto contatto le persone con i propri interessi per poi passare a snocciolare i tanto attesi dati ufficiali sull’uso della piattaforma: gli argomenti più trattati nelle conversazioni sono Telco, Finance e Travel che vanno da 20 a 30 milioni di tweet per settimana con un picco per Telco che arriva a 40 milioni nel settembre 2012, i dati si riferiscono al periodo Gennaio 2012- Gennaio 2013 ed all’intero patrimonio di utenti Twitter.
Si registrano inoltre 200 milioni di utenti attivi al mese di cui circa 909.000 europei che per l’80% accede anche da dispositivi mobile. Gli utenti mensili determinano una crescita del 100% su base annua e un flusso di 400 milioni di tweet al giorno.

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Una volta delineato il quadro operativo in cui ci troviamo in termini numerici, si è passati ad esaminare le possibilità di business che questo strumento offre e che avranno quindi a disposizione il potenziale delineato dai suddetti dati.

Modelli di Twitter ADS

Account sponsorizzato: da utilizzare prevalentemente per aumentare la massa critica e la brand awareness utilizzando un targeting per utenti simili (verranno inseriti nella campagna i follower degli account segnalati e account simili a quelli segnalati), area geografica (solo a livello di Nazione per ora in Italia), interessi e genere; modello di pricing è “costo per follower” CPF;

Tweet sponsorizzato in timeline: promuove verso i follower e i non follower e permette di incrementare la reach dei tweet, generare più conversazioni e promuovere un’offerta o un prodotto verso una determinata audience. Due tipologie di targeting, una basata su utenti simili ed una su parole chiave che permette di catturare in tempo reale gli utenti che scrivono tweet con determinate parole o che interagiscono con tweet contenenti determinate parole. Al targeting qui si aggiungono i followers, il dispositivo e le parole chiave. In questo caso il costo è generato dal momento in cui un utente compie un’azione qualsiasi sul tweet in questione, “costo per engagement” CPE. I tweet di questo tipo ottengono un indice di engagement del’1-3% rispetto allo 0,07% dei tweet non sponsorizzati.

Tweet sponsorizzati in-search: differiscono dai precedenti perché visualizzati nei risultati di ricerca, hanno pertanto un targeting leggermente diverso e sono interessanti perché si inseriscono in una ricerca intenzionale sull’argomento. Anche questi tweet hanno un costo per engagement e hanno lo stesso tasso di interazione superiore agli altri, ed anche questa tipologia di sponsorizzazione è da utilizzarsi per estendere il proprio pubblico aumentando le conversazioni su un dato argomento oppure per proteggere il brand su parole chiave relative al brand stesso o all’industria di appartenenza.

Trend sponsorizzato: ha la potenzialità di generare conversazioni su un determinato hashtag, di generare quindi il trend nelle 24 ore in cui è possibile usufruire di questo tipo di sponsorizzazioni. Viene visualizzato in prima posizione nella pagina di ricerca di quel trend durante le 24 ore. Il targeting in questo caso è relativo solo al Paese di pertinenza e il costo è fissato a quota 5000 euro in Italia. Le impressions stimate per questa operazione in Italia ammontano a 3,5 milioni in un giorno. Da notare anche l’effetto di coda nei giorni successivi al trend.

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E’ importante a mio avviso notare che il tweet può essere generato ad-hoc per la campagna di riferimento e nascere e morire con essa. Questo consente anche di tracciare più facilmente l’operazione per il calcolo del ROI. Inoltre il tweet può contenere più di 140 caratteri grazie alla possibilità di inserirvi foto o video e, per gli advertiser, di metterlo in evidenza agganciandolo alla prima posizione (pinned tweet) oppure di utilizzare le card per la generazione di lead che permettono anche la raccolta dati dell’utente senza form da compilare o siti da navigare, semplicemente inserendoli nella card allegata al tweet!

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E’ altrettanto fondamentale comprendere bene l’esigenza del brand per poter scegliere l’adv migliore in termini di performance ed il targeting più adeguato. Altra nota a favore di questo tipo di adv è l’assenza di tempi di approvazione, a differenza di Facebook gli annunci così creati andranno online immediatamente, fatta eccezione per lo “sponsored trend” che necessita di approvazione.

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Ciascuna di queste tipologie di advertising si fonda su una base che è il profilo del brand, pertanto questa base darà importanza a tutte le operazioni che saranno realizzate attraverso questo account ed è quindi fondamentale che sia curato ogni suo aspetto, grafico e testuale e che vi siano i link corretti.

Per comprendere come utilizzare queste opportunità di advertising si sono affrontate tre principali strategie utilizzate di frequente da grandi brand aventi la caratteristica comune di aver integrato il canale Twitter all’ecosistema di comunicazioni aziendali comunicando in maniera perfettamente integrata con le altre componenti del marketing mix aziendale:

Contenuti esclusivi: anteprime, dietro le quinte, trailer, caratteristiche nascoste…il 52% degli utenti segue un brand su twitter per sentirsi parte di un elite ricevendo contenuti esclusivi.

Contest e concorsi: da promuovere con tweet sponsorizzati, il concorso a premi rende felici il 62% degli utenti che seguono un brand per accedere ad offerte gratuite, per ricevere il famigerato “gift” di cui si è parlato anni fa in termini di social media marketing.

Flock to unlock: da promuovere con tweet sponsorizzati, questa strategia propone ai follower di compiere un’azione per sbloccare un obbiettivo e ottenere un risultato, il gift ci di cui sopra viene qui legato non solo alla soddisfazione dell’utente ma anche a quella determinata azione,a d esempio il retweet, strettamente legata invece all’obbiettivo dell’azienda in questione.

Infine si sono visti brevemente alcuni case studies di successo come Audi #WantAnR8, P&G #thakyoumom, MCDonald’s #sharmrockshake che potete trovare qui insieme ad altri.

In conclusione abbiamo visto quanto sia importante il contenuto anche in termini di impostazione della pagina del brand, abbiamo compreso come effettuare la scelta della sponsorizzazione più adeguata ai nostri obbiettivi di business, abbiamo visto che se non si attiva una campagna non si è advertiser e pertanto non si può ottenere un account verificato, ma dobbiamo sottolineare che tutto è possibile se si verificano tre fondamentali variabili di base:

  • il profilo è correttamente impostato, contiene tutte le informazioni utili al contatto e un’immagine in linea con il brand;
  • la fase di crescita del proprio account è già stata superata e si dispone quindi di una base follower adeguata a supportare eventuali investimenti sia in termini di engagement, quindi di qualità di follower, che in termini di targeting;
  • budget ammonta ad un minimo di 5000 euro per una durata di minimo 3 mesi

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Come si accede al tool di advertising? Scrivendo un’email a Twitter per sottoporre a verifica la propria campagna ed il proprio budget, una volta approvata si attiverà nel menù lo strumento di advertising per impostare la o le campagne e monitorare i risultati ed i costi in tempo reale.

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In ultima analisi mi chiedo e vi chiedo: l’intenzione di Twitter di posizionare l’offerta minima ad un costo di 15000 euro per un impegno minimo trimestrale, a quale target è riferita nel nostro Paese? Si punta solo ai grandi brand? Se si, il voler tralasciare le imprese di media levatura può essere indicativo del fatto che Twitter non abbia piena fiducia nel proprio programma di adv e lo affidi pertanto solo a grandi audience? (piccola provocazione ;) )

Se siete arrivati fin qui avete letto tutto l’articolo, vi ringrazio quindi e attendo le vostre considerazioni ;)

Twitter apre gli analytics (non) a tutti dal pannello Inserzioni

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Twitter da qualche giorno consente a tutti di vedere gli analytics relativi ai propri tweets direttamente dal pannello Inserzioni. Al momento il pannello funziona solo per inserzionisti Usa e che scrivono in inglese. Ma tutti, e in maniera gratuita, possono vedere quante volte il proprio tweets è stato retwittato o preferito

Twitter da oggi permette a tutti, utenti e brand, di monitorare le performances dei propri tweets consentendo l’accesso agli analytics in maniera gratuita. TNW riporta la notizia sostenendo che ad accorgersi di questa nuova possibilità sono stati Christopher Penn, vice presidente in Marketing Technology di SHIFT Communications, e Danny Olson, digital strategist di Weber Shandwick.  Questo il link per accedervi: https://ads.twitter.com.

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C’è da dire subito che l’accesso a questo nuovo strumento di analisi dei tweets e accessibile dalla piattaforma Twitters Ads aperta solo ad inserzionisti Usa che scrivono tweets in inglese. Per tutti gli altri utenti è comunque possibile accedere alla piattaforma con il proprio user e la propria password di Twitter. Una volta dentro, è possibile dal menù Statistiche accedere all'”Attività sulla cronologia”, dalla quale è possibile vedere in modo analitico i vostri tweets. La schermata vi mostra quante volte i vostri tweets sono stati ritwittati, messi tra i preferiti e quante risposte hanno ricevuto. Vi mostra anche i tweets migliori e quelli che sono andati bene. Sempre dal menù Statistiche vedete un’altra voce, Followers, al momento in cui accediamo ci segnala che non vi sono abbastanza dati per procedere all’analisi. Eventualmente, segnalateci cosa visualizzate voi.

Altro aspetto che ci sembra importante segnalarvi è che tutti i dati sono asportabili in CSV e potete scaricare dati fino a un periodo di 90 giorni o comunque fino ad un massimo di 500 tweets.

Vi sarete sicuramente accorti che i dati che sono forniti non aggiungono nulla di nuovo rispetto a quelli forniti da strumenti di terze parti che abitualmente usiamo. Ma la vera novità sta proprio in questo, ossia nel fatto che ora questi dati sono accessibili proprio all’interno della stessa piattaforma Twitter.

Allora non vi resta che provarlo e poi raccontateci le vostre impressioni!

Update

Solo un piccolo aggiornamento per inserire lo screenshot che vedete in basso (cliccare per ingrandire) per mostrare quello che dovrebbe vedersi una volta effettuato l’accesso sulla piattaforma dal menù Statistiche => Attività sulla cronologia. Dai commenti e dalle considerazioni che stanno arrivando, non tutti riescono a vedere il menù.

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Continuate a raccontarci la vostra esperienza.

Coca-Cola, la nuova campagna per credere in un mondo migliore

coca-cola-spot-pubblicitario

Coca-Cola ha lanciato da qualche giorno, sulle principali tv, nei cinema e online dal 9 giugno al 10 luglio 2013, la nuova campagna video, firmata Mc Cann, uno spot in cui si invita tutti a guardare ad un mondo migliore. Un inno alla felicità e all’ottimismo. Il tutto condito dalla felicità di condividere. Lo spot ha come soundtrack “Whatever”, forse la canzone più conosciuta degli Oasis

Avete mai provato a guardare il mondo con occhi diversi? E’ ciò che Coca-Cola invita tutti a fare, con una nuova campagna pubblicitaria: un inno all’ottimismo e alla positività, capace di farci riflettere sul significato delle nostre azioni quotidiane e di farci guardare al mondo con rinnovata fiducia.

La campagna è on air sulle principali reti televisive, nei cinema italiani e online dal 9 giugno al 10 luglio 2013. Firmato dall’agenzia Mc Cann, lo spot è un emozionante appello a credere in un mondo migliore, in linea con la storica missione di Coca-Cola: creare momenti di gioia, ottimismo e condivisione per i propri consumatori.

Tantissime cose belle accadono ogni giorno e sono molte di più di quelle negative: questa l’idea al centro della campagna, che  invita a cambiare il proprio punto di vista, per vedere ciò che di positivo circonda la nostra vita e rendersi conto che il mondo è un posto migliore di quanto si sia spesso portati a pensare. Ogni giorno migliaia di atti di generosità incondizionata verso il prossimo, gesti di affetto e amore e istanti di allegria colorano il mondo in cui viviamo e controbilanciano i fatti negativi. Una sorta di “indice” della felicità, che ci fa scoprire, ad esempio, come per ogni coro razzista, 80.000 italiani cantano sotto la doccia! Pochi sanno che, per ogni persona corrotta, 8.000 persone donano il sangue, o che, mentre si progetta una nuova arma, ben 1 milione di mamme sta preparando una torta.   

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La campagna pubblicitaria punta su quelli che sono da sempre i valori chiave del brand Coca-Cola, in Italia e nel mondo la positività e l’ottimismo, come spiega Fabrizio Nucifora, Direttore Marketing di Coca-Cola Italia: 

In un momento di difficoltà, specialmente economica, come quello che stiamo vivendo, Coca-Cola vuole dare una forte iniezione di fiducia, raccontando alcune delle tantissime belle storie che accadono ogni giorno intorno a noi. Un marchio iconico come quello di Coca-Cola, che da sempre interpreta i valori di ottimismo, felicità e condivisione, vuole stare vicino in diversi modi a chi la ama: condividere la propria genuina positività e visione del mondo è uno di questi.”

Il segreto sta proprio nel saper vedere e cogliere questi momenti di gioia e semplicità: tra questi, conclude lo spot, la felicità di condividere una Coca-Cola.

CREDITS ADATTAMENTO ITALIANO

Creative agency: McCann

Direttore Creativo Esecutivo: Alex Brunori

Art Director: Andrea Vercellino

Copywriter: Paolo Chiabrando

Account Director: Enrica Ricci

ORIGINAL TVC CREDITS

Creative agency: Santo

Production House: Blue Productora

Music track author: Noel Gallagher, Neil Innes – “Whatever”

Media Agency:  Starcom Italia

Executive Director: Boaz Rosenberg

Media Director: Elena Bianchi

Kitchenaid, il caso di crisi raccontato al Social Business Forum 2013

KitchenAid-Tweet

Il caso Kitchenaid è stato raccontato ieri al Social Business Forum 2013. Quello che è ormai un caso da manuale dell’ottobre 2012, durante il dibattito per le Presidenziali USA, è stata ricordata da Giuseppe Geneletti di Whirlpool. Una situazione di crisi sui social media deve essere sempre affrontato con capacità di ascolto, senso di responsabilità, allineando i messaggi e controllando le reazioni

Al Social Business Forum di ieri è stato trattato forse uno dei casi di crisi che hanno caratterizzato la storia recente sui Social Media. Parliamo spesso di strategie da approntare, di modi di comunicare e fare coinvolgimento, ma poi l’aspetto che è più evidente, comunicando sui Social Media, è il momento in cui si verifica una crisi. Come comportarsi in questi casi? Ecco che il caso che vi riportiamo oggi, torna utile a tutti.

Cosa c’è di più inaspettato ed esplosivo di un dipendente che twitta (il tweet lo vedete in alto in copertina) dal login aziendale un insulto al presidente degli USA nel bel mezzo di un confronto elettorale? La gestione della comunicazione di crisi sui social media che ha coinvolto KitchenAid, marchio di Whirlpool, il 3 ottobre 2012 è il caso portato da Giuseppe Geneletti, director Communications and learning Whirlpool EMEA, nel suo intervento al Social Business Forum ieri a Milano. Trattando il tema “Managing the unexpected: social crisis control”, Geneletti ha mostrato un breve video che sintetizza la successione rapidissima di eventi seguente al tweet di insulti postato da un dipendente del team Twitter di KitchenAid nei confronti di Barack Obama, impegnato in un confronto con il candidato sfidante alle Presidenziali Mitt Romney trasmesso dall’emittente NBC. Il dipendente credeva di trovarsi sul login personale di Twitter; soltanto quando il tweet è stato pubblicato è stato chiaro che il login era quello dell’azienda. Ed era anche impossibile rimediare, infatti, benchè se ne fosse accorto subito provando a eliminarlo, in brevissimo tempo i retweet erano diventati 24mila e aumentavano a ritmo esponenziale mettendo a repentaglio la reputazione dell’azienda.

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È stata una pronta assunzione di responsabilità, quella del capo di KitchenAid Cynthia Soledad, a ribaltare una situazione che stava precipitando –ricorda Geneletti–: in un tweet ha chiesto scusa al presidente Obama e alla sua famiglia, si è assunta, come vertice dell’azienda, tutta la responsabilità dell’accaduto»

Soledad ha poi utilizzato anche Facebook per creare contatti con i giornalisti che seguivano l’evento mettendosi a loro disposizione per chiarire l’accaduto. In poche ore l’emergenza è rientrata con molti tweet che hanno espresso apprezzamento per la presa di posizione di KitchenAid.

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Il caso estremo di questa comunicazione di crisi originata da un evento imprevisto sui social media dimostra tutte le potenzialità e i rischi di questi strumenti, e l’importanza di una strategia ben strutturata per rispondere a ogni evenienza –prosegue Geneletti–. Per questo un’azienda si deve attrezzare innanzitutto con un atteggiamento di “social listening” costante, definendo le responsabilità, allineando i messaggi, monitorando le reazioni e coordinando le risposte; in una parola mettendosi in gioco. Si tratta di una vera e propria strategia aziendale, che si serve di strumenti avanzati di social listening. Si è così creato un modello olistico di social business che, oltre a essere di supporto in caso di comunicazione di crisi, permette una conoscenza più approfondita dei propri consumatori, quindi consente di rispondere al meglio alle loro esigenze»

Whirlpool EMEA ha realizzato un manuale con specifici protocolli da seguire in caso di comunicazione di crisi provocata da messaggi negativi o lamentele dei consumatori sui social media; protocolli graduati sulla base dell’indice di rischio e che arriva a coinvolgere livelli diversi dell’organizzazione con l’attivazione di procedure ad hoc.

Essere presenti sui social media per un’azienda significa formare i dipendenti che ne faranno uso –conclude Geneletti–; per questo Whirlpool EMEA ha dato vita da oltre un anno alla Digital School, un programma che coinvolge diverse funzioni, dal marketing alla finanza alle risorse umane per creare una struttura di competenze che possa sfruttare al meglio le potenzialità offerte dai new media»

Allora che ne pensate? E voi come avete risolto la vostra situazione di crisi, se vi è mai capitata? Raccontateci le vostre esperienze!

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