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Ci informiamo sui social media, ma non ci fidiamo

Ci informiamo sui social media, ma non ci fidiamo

I social media hanno superato la TV come mezzo principale per informarsi, ma la fiducia verso queste piattaforme è molto bassa. Il rapporto AGCOM ci restituisce la fotografia di una informazione debole e la conferma dell’algoritmo del proprietario.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio annuale sul sistema dell’informazione 2025 pubblicato da AGCOM, nel 2023 i social media hanno superato la televisione come principale mezzo di informazione per gli italiani.

Si tratta di un sorpasso che possiamo definire storico. E che segna una svolta nel modo in cui le persone si informano quotidianamente.

Va detto che questo primato non si accompagna a un incremento della fiducia da parte degli utenti. Al contrario, i social si confermano tra le fonti ritenute meno affidabili.

E qui siamo nella dimensione del paradosso, o quasi.

Come si informano gli italiani: il ruolo crescente dei social media

Nel dettaglio, il rapporto evidenzia che:

  • il 19,8% degli italiani utilizza i social media come primo strumento per accedere all’informazione online;
  • seguiti da motori di ricerca (17,9%) e siti di quotidiani/periodici (11,8%);
  • il 50,5% degli utenti iscritti a social media dichiara di venire a conoscenza delle notizie sui social prima che da qualsiasi altro mezzo.

Con questi numeri, i social media superano la televisione, che si attesta al 46,5% come uso informativo nel giorno medio, in calo costante rispetto al 67,4% del 2019.

Interazioni superficiali e partecipazione limitata

Il rapporto AGCOM evidenzia anche come gli utenti tendono ad avere un comportamento prevalentemente passivo rispetto all’informazione ricevuta sui social media:

  • il 43,4% si limita a cliccare sui link;
  • il 40,7% mette un like;
  • solo il 16,9% commenta, il 12,6% condivide e appena il 6,1% avvia una discussione;
  • il 25,1% non compie alcuna azione rispetto alle notizie visualizzate.

Curiosamente, gli utenti over 65 si dimostrano spesso più attivi dei giovani nei commenti e nelle interazioni, a smentire il luogo comune di una fruizione più passiva da parte delle generazioni meno digitalizzate.

Fiducia ai minimi storici per i social media

Nonostante la centralità sempre maggiore nel consumo informativo, la fiducia nei social media resta bassa:

  • solo il 15,7% degli italiani esprime alta fiducia nei social come fonte d’informazione;
  • il 30,2% manifesta bassa fiducia;
  • i social si posizionano penultimi nella classifica delle fonti più affidabili, seguiti solo dalle piattaforme video;
  • anche tra i giovani (14-24 anni), che usano i social in modo intensivo, cresce il numero di chi non nutre fiducia in alcuna fonte informativa.

La relazione tra uso e fiducia non è lineare: chi usa intensamente un mezzo tende ad averne più fiducia, ma nel caso dei social media questa correlazione è debole. Il dato appare ancora più significativo se confrontato con la fiducia nella televisione, che rimane alta soprattutto tra gli over 65 (44,5%).

Un ecosistema informativo fragile e sbilanciato

L’analisi di AGCOM conferma che l’informazione è sempre più mediata da piattaforme digitali. E che questo passaggio ha generato una informazione sempre più debole. Sempre più esposta a manipolazioni e a deformazioni.

La prevalenza dei social nel ruolo di gatekeeper dell’informazione non garantisce qualità, affidabilità o trasparenza.

Questa tendenza si inserisce perfettamente nelle riflessioni che sto affrontando negli ultimi mesi. Dall’erosione della fiducia digitale all’algoritmo del proprietario, fino alla crescente polarizzazione dell’informazione.


Guarda il video:


I social media diventano lo spazio principale dove l’informazione viene vista, ma non dove si costruisce fiducia.

Il contenuto viene costruito solo per essere visto e non, banalmente, per informare e per generare opinioni e conversazioni.

Un divario che continuerà ad allargarsi finché non verrà affrontato con responsabilità, tanto da parte delle piattaforme quanto da chi crea contenuti.

Il quadro che emerge è chiaro. I social media sono oggi la porta d’accesso privilegiata all’informazione per milioni di italiani. Ma a questa centralità non corrisponde un riconoscimento in termini di autorevolezza.

É necessario concentrarsi sulla costruzione di contenuti che siano effettivamente informativi e che puntino alla qualità. Resto sempre convinto, infatti, che il contenuto equivalga ancora alla Relazione. Ma serve recuperare qualità e abbandonare il concetto di quantità che tanto piace all’algoritmo del proprietario.

[Immagine ci copertina realizzata da Franz Russo attraverso il modello di intelligenza artificiale generativa ChatGPT-4o]

 

Fiducia digitale degli utenti in calo, fanno peggio i social media

Fiducia digitale degli utenti in calo, fanno peggio i social media

Il Consumer Digital Trust Index 2025 di Thales mostra un calo nella fiducia digitale: se le banche sono al 44%, i social sono solo al 4%. L’82% abbandona i brand per i dati a rischio. Passkey e biometria possono invertire la rotta?

Ma voi vi fidate dei servizi digitali che usate? Dei siti web, delle app? E di come sono gestiti i vostri dati personali?

Cominciamo col dire che la fiducia degli utenti nei servizi digitali sta calando. E questo non è un buon segnale.

E ce lo conferma il Thales Consumer Digital Trust Index 2025, che fotografa un quadro preoccupante. I consumatori sono sempre più scettici nei confronti delle aziende e dei servizi digitali; mentre le imprese non riescono a colmare il divario di fiducia.

Ma vediamo i dati più rilevanti del report e un breve focus sull’Italia.

La fiducia digitale in declino a livello globale

Secondo il report, la fiducia nei servizi digitali è in declino o rimane stagnante in tutti i settori. Anche quelli più regolamentati.

Il dato più critico? L’82% dei consumatori ha abbandonato almeno un brand negli ultimi 12 mesi. Principalmente a causa di richieste eccessive di dati personali; processi di autenticazione non all’altezza; e scarsa trasparenza.

Il calo della fiducia è legato anche al fatto che quasi uno su cinque (il 19%) è stato informato che i propri dati personali sono stati compromessi nell’ultimo anno. Si tratta di un campanello d’allarme per le aziende, che dovrebbero adottare misure più efficaci per garantire la sicurezza e la privacy degli utenti.

Fiducia digitale degli utenti in calo, fanno peggio i social media
Fiducia digitale degli utenti in calo, fanno peggio i social media – foto: Greta Hoffman su pexels.com

Fiducia digitale, i dati più rilevati del 2025

Password e autenticazione sotto accusa

Il 75% dei consumatori vorrebbe eliminare le password in favore di metodi più sicuri come dati biometrici o PIN.

L’onere della sicurezza è tutto sui consumatori

Il 63% degli utenti ritiene che le aziende stiano delegando a loro la protezione dei dati. Invece di adottare misure più efficaci.

I bot malevoli compromettono l’esperienza utente

Il 33% degli utenti ha avuto problemi con acquisti digitali a causa di bot che alterano il processo d’acquisto, causando frustrazione e insoddisfazione.

I media e social media sono i meno affidabili

Solo il 3% dei consumatori si fida delle testate giornalistiche per la gestione dei propri dati.

Solo il 4% si fida dei social media, un dato che riflette una crisi di fiducia strutturale verso le piattaforme social, sempre più percepite come poco trasparenti.

La fiducia nei social media è al minimo storico

Uno degli aspetti più significativi del Consumer Digital Trust Index 2025 è proprio la sfiducia diffusa nei confronti dei social media.

Con solo il 4% dei consumatori che li considera affidabili nella gestione dei propri dati, il dato si allinea perfettamente a quanto già osservato e rilevato in precedenti articoli e video.

In particolare, il concetto di “algoritmo del proprietario” – di cui ho parlato spesso nel mio video podcast – trova anche in questa occasione una conferma concreta.

I social media hanno smesso di essere semplici spazi di connessione, luoghi dove ci si ritrovava condividendo interessi. Oggi il controllo sui contenuti è determinato dalle logiche e dagli interessi di chi possiede la piattaforma.

E quando la percezione è che l’utente abbia perso il controllo su cosa vede e su come vengono trattati i suoi dati, la fiducia mano a mano si sgretola.

Fiducia digitale degli utenti in calo, fanno peggio i social media
Thales Consumer Digital Trust Index 2025

Fiducia digitale, gli utenti si fidano di banche e pubblica amministrazione

Nonostante il quadro complessivo negativo, il report di Thales evidenzia anche i settori che riescono ancora a mantenere la fiducia degli utenti, pur senza superare mai la soglia del 50%.

In cima al Digital Trust Index 2025 troviamo, per il secondo anno consecutivo, il settore bancario, che ottiene un livello di fiducia globale del 44%.

Questo dato nasconde forti differenze generazionali: il 51% degli over 55 si fida dei servizi bancari, ma solo il 32% dei Gen Z esprime lo stesso livello di fiducia.

Le organizzazioni governative si posizionano al secondo posto con il 41%, registrando anche l’unico incremento rispetto all’anno precedente (dal 37%).

Al terzo posto troviamo il settore sanitario (40%), seguito da assicurazioni (24%) ed istruzione (17%).

Tutti gli altri settori si fermano sotto il 10%. Questi numeri indicano che una quota significativa di fiducia resiste, ma è concentrata in pochi ambiti percepiti come più regolamentati o sensibili.

Italia e la fiducia nei servizi digitali

Il report non presenta dati specifici sull’Italia, ma i trend europei evidenziano alcune dinamiche significative anche per il nostro Paese.

GDPR e nuove regolamentazioni

Il GDPR resta il pilastro normativo della protezione dati in Europa. Per i servizi finanziari digitali, dal gennaio 2025 (periodo vincolante), è affiancato dal Digital Operational Resilience Act (DORA), che punta a rafforzare la sicurezza informatica del settore finanziario.

Trasparenza richiesta dagli utenti

I consumatori italiani, come quelli degli altri Paesi europei, chiedono con forza maggiore chiarezza sull’utilizzo dei dati personali.

Crescita dell’autenticazione biometrica

Anche in Italia si registra un crescente interesse verso soluzioni di autenticazione più sicure e meno dipendenti dalle password.


Guarda qui il video sul Consumer Digital Trust Index 2025 di Thales


Cosa devono fare le aziende per recuperare fiducia

Per riconquistare la fiducia dei consumatori, le imprese devono agire con urgenza e visione. Ecco alcune direzioni possibili:

  • Adottare sistemi di autenticazione avanzati: meno password, più biometria e autenticazione a più fattori.
  • Ridurre la raccolta di dati superflui: chiedere solo ciò che è strettamente necessario e spiegare chiaramente l’uso che verrà fatto dei dati.
  • Comunicare la sicurezza: raccontare in modo semplice e trasparente le misure di protezione adottate.
  • Contrastare i bot malevoli: investire in tecnologie che migliorano l’esperienza online e proteggono gli utenti.
  • Implementare tecnologie affidabili: secondo il report, il 64% degli utenti si fiderebbe di più di un brand che adotta tecnologie come passkeys, biometria e intelligenza artificiale responsabile.

Come afferma anche John Tolbert, Director of Cybersecurity Research di KuppingerCole Analysts, il calo della fiducia è un fenomeno prevedibile, ma non inevitabile: con le giuste tecnologie e un’attenzione reale all’esperienza utente, è possibile invertire la rotta.

In conclusione, il Thales Consumer Digital Trust Index 2025 conferma in modo netto che il divario in termini di fiducia tra consumatori e servizi digitali si sta ampliando.

In un contesto in cui la fiducia diventa sempre più fragile, le aziende devono dimostrare di meritarla.

Perché la fiducia, così come la reputazione e altri valori fondamentali, una volta persa, non si recupera facilmente.

Potete scaricare gratuitamente il report da questo link.

[La foto di copertina è di Greta Hoffman su pexels.com]

 

Meta AI arriva anche in Italia, la IA cambia i social media

Meta AI arriva anche in Italia, la IA cambia i social media

Meta AI debutta in Europa e Italia, precisamente in 41 paesi. Integra le piattaforme Meta senza usare dati utenti, rispettando GDPR. Segna l’evoluzione dei social media verso ecosistemi più intelligenti. Le piattaforme digitali si evolvono.

Meta AI arriva in Unione Europea, e quindi anche in Italia. L’annuncio, del 19 marzo 2025, segna l’ingresso ufficiale dell’intelligenza artificiale di Meta in UE, dopo oltre un anno di disponibilità negli Stati Uniti.

Al momento, sarà attivo in 41 paesi, risponderà in italiano e si integrerà nelle piattaforme di Meta: Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger.

Un lancio atteso, ma non privo di limitazioni, che riflette il rispetto delle norme europee sulla privacy e offre uno spunto per riflettere sulla trasformazione dei social media.

Il modello di Meta AI distribuito in Europa non utilizza i dati degli utenti di Facebook e Instagram, una scelta obbligata per conformarsi al GDPR e all’AI Act, entrato di recente in vigore. Non permetterà la generazione di immagini né sfrutterà le conversazioni degli utenti per generare contenuti in risposta alle loro richieste.

Meta AI arriva anche in Italia, la IA cambia i social media
Meta AI arriva anche in Italia, la IA cambia i social media

Si tratta di restrizioni che spiegano il ritardo nell’espansione europea. A giugno 2024, Meta aveva già pianificato il debutto di Meta AI in Unione Europea, ma le istituzioni, in particolare l’Autorità irlandese per la protezione dei dati, avevano imposto un fermo, richiedendo il rispetto di una serie di regole. Ora, dopo mesi di adeguamenti, l’assistente è pronto a operare.


Come si usa Meta AI?

Meta AI sarà accessibile in diversi modi all’interno delle piattaforme Meta:

  • Su Instagram e Messenger, l’AI potrà essere attivata nei messaggi diretti.
  • Nei gruppi WhatsApp, gli utenti potranno menzionare @MetaAI per porre domande e ricevere risposte contestualizzate.
  • Nei commenti su Facebook, Meta AI potrà essere interpellata per fornire approfondimenti.
  • Sul sito meta.ai, l’assistente sarà disponibile come chatbot.

L’icona blu di Meta AI segnalerà chiaramente la sua presenza, e per attivarlo basterà digitare @MetaAI seguito da una richiesta.

Gli esempi di utilizzo più comuni? Si potrà chiedere all’AI di fornire informazioni in tempo reale all’interno di conversazioni su WhatsApp o di intervenire in discussioni su Instagram e Facebook.


Per attivarlo, comparirà un’icona blu nei messaggi di Instagram e nei gruppi WhatsApp, oppure basterà scrivere “@MetaAI” seguito da un prompt, una richiesta esplicita. L’intelligenza artificiale risponderà a domande o interverrà nelle conversazioni, come chiedere suggerimenti in un gruppo WhatsApp o fornire informazioni rapide su Instagram. Ogni contenuto generato da Meta AI sarà chiaramente identificato, in linea con le disposizioni dell’AI Act.

Le piattaforme digitali cambiano con la IA

Questa novità non è solo un aggiornamento tecnologico, ma la dimostrazione di un cambiamento profondo nelle piattaforme digitali. L’intelligenza artificiale non è più confinata a un algoritmo che decide cosa mostrare, il cosiddetto “algoritmo del proprietario”, che sempre più spesso privilegia i contenuti graditi alla piattaforma stessa, trascurando gli interessi reali degli utenti.

Ora, l’AI diventa un elemento attivo nella generazione di contenuti all’interno delle conversazioni tra utenti. Meta AI alimenterà un’ulteriore chiusura degli spazi digitali, trattenendo gli utenti all’interno delle piattaforme con risposte immediate e personalizzate, rafforzando il fenomeno delle bolle informative.

MetaAI e l’addio al fact-checking

Il lancio di Meta AI coincide con un altro sviluppo significativo: Meta ha abbandonato il fact-checking tradizionale e sta testando, negli Stati Uniti, le Community Notes, un sistema che affida agli utenti la validazione delle informazioni nei post. Questo approccio arriverà anche in Italia e vedrà probabilmente un ruolo per l’intelligenza artificiale.

In Europa, va precisato, le regole sulla privacy limiteranno l’impatto di queste innovazioni, mantenendo un equilibrio tra tecnologia e protezione dei dati.

Le piattaforme digitali, con Meta AI, si trasformano in assistenti in tempo reale e motori di ricerca integrati. Gli utenti potranno interrogare l’AI senza uscire dalle app, un modello che espanderà il loro ruolo oltre la semplice comunicazione.


Guarda il video


In futuro, Meta AI potrebbe generare contenuti automatici, incluse immagini, come già accade fuori dall’Unione Europea.

L’esempio di Grok su X

Un esempio parallelo è X, dove Grok, l’AI di Elon Musk, interviene direttamente nelle conversazioni quando richiamato con “@Grok”, rispondendo su argomenti specifici. A differenza di Grok, che opera come un bot con una sezione dedicata e un’app stand-alone negli Stati Uniti, Meta AI si integra nativamente nelle conversazioni, un aspetto che sottolinea la direzione verso una presenza sempre più pervasiva dell’AI.

Le piattaforme social media, con la IA da strumenti ad assistenti

Questo cambiamento ridefinisce le piattaforme digitali, nate come strumenti per connettere gli utenti, ma ora sempre più orientate a diventare ecosistemi autonomi.

Lo sviluppo di Meta AI in Italia dipenderà da come gli utenti lo accoglieranno: sarà un intervento minimo, senza impatto sulle conversazioni, o un elemento centrale nella loro evoluzione?

Nei prossimi mesi, osserveremo come tutto questo si inserirà nel nostro contesto e quale percorso prenderà.

 

Community Notes di Meta, al via il test negli Usa

Community Notes di Meta, al via il test negli Usa

Community Notes fa il suo debutto sulle piattaforme Meta, per ora solo in fase di test negli Usa. Il modello è analogo a quello adottato sulla piattaforma X. Esempio di partecipazione collettiva che potrebbe comportare molti rischi.

Community Notes ha fatto il suo debutto negli Usa proprio ieri, 18 marzo 2025.

Come ricorderete, circa un mese fa Meta aveva annunciato il lancio di questo nuovo programma che sostituisce il fact-checking tradizionale, tramite un post su Threads.

Ora ci siamo. La fase di test è iniziata, per ora solo negli Stati Uniti. Segna un cambio di rotta nella gestione dei contenuti sulle piattaforme di Mark Zuckerberg. Ispirandosi esplicitamente a quanto già vediamo su X.

Meta lo ha comunicato in modo chiaro: da ieri, un gruppo selezionato di utenti americani può usare le Community Notes su Facebook, Instagram e Threads.

L’idea alla base delle Community Notes

L’idea è semplice: consentire agli utenti di aggiungere note a post con informazioni fuorvianti o incomplete, sul modello di X. Queste note diventano visibili a tutti solo se ricevono abbastanza valutazioni positive dalla comunità.

Si tratta, insomma, di una sorta di sistema di crowdsourcing che prende il posto del fact-checking di terze parti. Un passaggio che Zuckerberg aveva anticipato all’inizio dell’anno.

Le Community Notes di Meta, come quelle di X, sono uno strumento collaborativo. Gli utenti possono segnalare un post e aggiungere una nota con correzioni o informazioni aggiuntive, supportate da fonti verificabili.

Community Notes di Meta, al via il test negli Usa
Community Notes di Meta, al via il test negli Usa

La fase di test per ora negli Usa

Durante la fase di test, Meta monitorerà la creazione e la valutazione di queste note per capire se riescono a contrastare la disinformazione. Il sistema parte in modo graduale ma coinvolge tutte e tre le piattaforme principali: Facebook, Instagram e Threads.

Negli Usa, il programma di fact-checking tradizionale sarà abbandonato del tutto, una scelta non priva di rischi.

Community Notes di Meta, non ancora in Italia

Per ora, in Italia, le Community Notes non arriveranno. L’avvio dei test negli Usa lascia pensare che i tempi per un’estensione in Europa potrebbero non essere troppo lontani.

Questo approccio ha un lato positivo che mira ad affidare il controllo agli utenti, rendendo le piattaforme più aperta e partecipativa. Ma c’è un rovescio della medaglia, legato alle competenze e alla preparazione di chi valuta.

Non serve una conoscenza specifica per intervenire; basta partecipare a un sistema di valutazione collettiva per verificare i contenuti segnalati. E qui si apre un tema cruciale.

Il confronto con Community Notes di X

Rispetto a X, che conta circa 580 milioni di utenti registrati su un’unica piattaforma, Meta gestisce tre realtà ben più grandi: Facebook con oltre 3 miliardi di utenti e Instagram con oltre 2 miliardi, per non parlare di Threads.

Piattaforme di questa scala, se controllate dagli utenti, rischiano di ritrovarsi con valutazioni imprecise sui contenuti. E le conseguenze sono evidenti a tutti.

Su X, le Community Notes in alcuni casi riescono a trovare un punto di equilibrio – persino Elon Musk ha dovuto cancellare contenuti oggettivamente falsi dopo le segnalazioni. Ma molti sono i casi di valutazioni molto discutibili.

Rischio di diffondere informazioni poco affidabili

In molti casi, dimostrato da alcune ricerche recenti, le Community Notes su X hanno avuto un approccio limitato verso la disinformazione, concentrandosi solo sulla falsità oggettiva e trascurando il contesto storico, sociale, culturale, economico e politico che spesso accompagna le narrazioni malevoli.

Su Meta, con numeri così alti, questo fenomeno potrebbe amplificarsi. Il rischio è che informazioni vere vengano messe in discussione da gruppi di utenti con opinioni diverse o che si affidino a fonti errate, deviando il giudizio finale su un contenuto.

Uno degli aspetti critici, che vengono mossi anche nei confronti delle Community Notes di X, è che spesso queste valutazioni arrivano quando già il post ha raggiunto l’apice della sua visibilità. Di conseguenza, le valutazioni degli utenti potrebbero risultare davvero poco efficaci.

Community Notes di X e le sue contraddizioni

Inoltre, va aggiunto che spesso le note che vengono apposte su X fanno riferimento, come base di informazione oggettiva, ai siti di informazione costantemente attaccati da Musk. Questo è vero a tal punto che lo stesso Musk nei giorni scorsi si è lanciato a dire che presto “tutto questo verrà sistemato”. Ennesimo esempio di “algoritmo del proprietario”.

Per tutto questo che abbiamo visto finora, il sistema va monitorato con attenzione.

Non sappiamo ancora quanto durerà il test negli Usa né quando arriverà in Europa o in altri paesi. Quel che è certo è che si tratta di un momento importante, soprattutto nel contesto attuale.

Serve osservare come evolverà, perché se da un lato punta a ridurre la disinformazione, dall’altro potrebbe generare nuove sfide.

Qui in basso trovate il mio video podcast – lo trovate su YouTube – dove approfondisco questi aspetti.

 

Perché Zuckerberg e Musk si comportano come Cesari del Digitale

perché zuckerberg musk cesari del digitale

Al SXSW 2025 Jay Graber, CEO di Bluesky, si è presentata con una maglietta “Mundus sine caesaribus”. Chiaro riferimento a Zuckerberg e alle sue magliette “Aut Zuck aut nihil”. Il fatto è che Zuckerberg e Musk si rifanno al mito dell’Antica Roma e si immaginano nuovi Cesari.

Al SXSW 2025, Jay Graber, CEO di Bluesky, ha indossato una maglietta con la scritta “Mundus sine caesaribus”, un mondo senza Cesari.

Una risposta diretta a Mark Zuckerberg, che è solito mostrare la sua t-shirt con la frase “Aut Zuck aut nihil”, ovvero “O Zuck o niente”.

Questo botta-e-risposta in latino rivela qualcosa di più, in realtà. E cioè, l’interesse di Zuckerberg (e non solo lui) per l’antica Roma, come modello per il mondo digitale.

Zuckerberg e la passione per Roma

Mark Zuckerberg non hai fatto mistero della sua passione per l’antica Roma.

Come forse molti di voi già sapranno, ha studiato latino al liceo; ha scelto Roma per la sua luna di miele e ha dato alle sue figlie nomi come Maxima, August e Aurelia, ispirati chiaramente alla tradizione di Roma.

Attraverso Meta, che comprende piattaforme come Facebook, Instagram e WhatsApp, gestisce un ecosistema digitale che raggiunge miliardi di utenti. La frase “Aut Zuck aut nihil” non è solo un dettaglio. Riflette il suo desiderio di lasciare un segno duraturo, simile a quello degli imperatori romani.

Jay Graber, CEO Bluesky
Jay Graber, CEO Bluesky

E soprattutto di immaginarsi moderno Cesare alla guida di un impero digitale.

Da questo punto di vista, si può spiegare il perché di tante sue azioni che sono in netto contrasto con il Zuckerberg che tutti hanno imparato a conoscere.

Mark Zuckerberg, "Aut Zuck, aut nihil"
Mark Zuckerberg, “Aut Zuck, aut nihil”

Di recente ha abbracciato le politiche di Trump; ha deciso di abbandonare il fact-checking su Facebook e Instagram introducendo le Community Notes; la sua visione è sempre più simile ad un altro personaggio che agisce come moderno Cesare.

Mark Zuckerberg, Cesare
Mark Zuckerberg, Cesare – creata con Grok 3

Elon Musk e la visione di un nuovo impero

E il riferimento è proprio a lui: a Elon Musk.

Anche Musk guarda a Roma come fonte di ispirazione e come modello per gestire il suo impero.

Nel 2023, lo ricorderete certamente, aveva proposto a Zuckerberg un duello al Colosseo, un’idea che richiama l’immaginario romano. E si era andati vicinissimi a questa follia.

Elon Musk, condottiero romano
Elon Musk, condottiero romano – creata con Grok 3

Musk vede nei suoi progetti – come la colonizzazione di Marte o la stessa gestione di X – un’espansione simile a quella di un impero.

X, in particolare, è diventato uno spazio in cui influenza il discorso pubblico globale, un ruolo che richiama il controllo esercitato dagli imperatori sulle piazze romane.

Musk si immagina come un Cesare da cui dipende la stessa libertà di parola, il free speech, che non deve mai contraddirlo.


Guarda il video


Meta e X come strumenti di influenza

Meta e X non sono più semplici piattaforme social. Sono infrastrutture fondamentali per il flusso di informazioni. Lo vediamo tutti i giorni.

Attraverso le loro piattaforme, Zuckerberg e Musk esercitano un’influenza evidente su notizie, opinioni e dinamiche culturali.

Negli ultimi anni, entrambi hanno assunto posizioni più nette: Musk ha orientato X verso un approccio che amplifica certe narrazioni, esempio di algoritmo del proprietario; mentre Zuckerberg è passato da una apparente neutralità ad una figura sempre più schierata, mantenendo il controllo sugli algoritmi.

Questo potere, se ci pensiamo, richiama il modo in cui gli imperatori romani governavano le loro province.

zuckerberg musk cesari del digitale
zuckerberg musk cesari del digitale – creata con Grok 3

Il mondo digitale come un nuovo impero

L’interesse per Roma non è casuale.

Zuckerberg e Musk sembrano voler modellare il mondo digitale seguendo un’idea di ordine e dominio. Musk utilizza X per orientare il dibattito pubblico, mentre Zuckerberg, attraverso Meta, influenza ciò che miliardi di utenti vedono ogni giorno.

Entrambi aspirano a creare un sistema in cui le loro piattaforme dettano regole e priorità, un’eco moderna della Pax Romana, l’ordine imposto dall’Impero.

Un fenomeno comune nelle Big Tech

Questo legame con Roma non è esclusivo di Zuckerberg e Musk.

Jeff Bezos, con Amazon, ha costruito un sistema logistico che richiama l’efficienza delle infrastrutture romane.

Peter Thiel, fondatore di Palantir, paragona spesso il declino dell’Occidente a quello dell’Impero Romano, proponendo soluzioni tecnologiche per ristabilire l’ordine.

È del tutto evidente che le Big Tech guardano a Roma come a un modello di potere e innovazione.

Una situazione che è un monito per il futuro

Per concludere, la maglietta di Jay Graber al SXSW 2025 porta con sé una riflessione: un mondo con troppi Cesari rischia di diventare insostenibile.

Zuckerberg e Musk, con le loro piattaforme, non vogliono solo influenzare il presente, ma puntano a ridisegnare il futuro.

Ma chi ne paga il prezzo? La risposta sarebbe “quasi sempre noi”.

 

X e il blackout, tra speculazioni e assenza di informazioni

X e il blackout, tra speculazioni e assenza di informazioni

Ieri, 10 marzo 2025, X ha subito tre down. Elon Musk ha accusato un attacco DDoS dall’Ucraina, ma mancano prove. Ecco cosa è successo in una giornata difficile per la piattaforma.

Ieri, 10 marzo 2025, la piattaforma X ha subito tre interruzioni di servizio nell’arco di poche ore, un evento che ha comportato non pochi disagi per centinaia di migliaia di utenti in tutto il mondo.

Il primo blackout è avvenuto 5:30 ET (11:30 italiane), seguito da altri due: alle 9:30 ET (15:30 italiane) e alle 11:10 ET (17:10 italiane). Elon Musk, proprietario di X, ha attribuito i disservizi a un “massiccio attacco informatico”, dichiarando in un’intervista a Fox News che l’origine sarebbe localizzata in Ucraina.

Ma quali sono i fatti concreti dietro questa affermazione? Analizziamo la vicenda.

X e il blackout, alcuni dati sul disservizio

Le segnalazioni di problemi su X sono esplose nella mattinata del 10 marzo, con picchi registrati da Downdetector soprattutto negli Stati Uniti e in Europa. Gli utenti hanno riscontrato difficoltà nel caricare contenuti, accedere al proprio account o pubblicare post.

Le tre interruzioni, durate complessivamente oltre sei ore, rappresentano uno dei disservizi più gravi che si sono registrati nella storia recente della piattaforma.

X non ha rilasciato comunicati tecnici dettagliati, lasciando spazio alle dichiarazioni di Musk come unica fonte ufficiale.

X e il blackout, tra speculazioni e assenza di informazioni
X e il blackout, tra speculazioni e assenza di informazioni

L’ipotesi di Musk: un attacco DDoS dall’Ucraina

Durante l’intervista a Fox News, trasmessa quando in Italia era tarda serata, Musk ha descritto l’incidente come un “massiccio attacco cyber” orchestrato da un gruppo o uno Stato, sottolineando che gli indirizzi IP coinvolti proverrebbero dall’area ucraina.

L’ipotesi tecnica più accreditata, supportata anche da esperti del settore, è quella di un attacco Distributed Denial of Service (DDoS), una strategia che mira a sovraccaricare i server con un volume di traffico insostenibile, rendendo il servizio inaccessibile.

Jake Moore, Global Security Advisor di ESET, ha offerto un’analisi approfondita:

Gli attacchi DDoS sono un metodo efficace per colpire un’azienda senza dover compromettere direttamente i suoi sistemi principali, permettendo agli autori di restare in gran parte anonimi. Questo rende la protezione ancora più complessa, soprattutto quando il contesto dell’attacco è sconosciuto e ci si può affidare solo a misure generiche di mitigazione.”

Moore ha aggiunto che gli hacker sfruttano sempre più dispositivi IoT per amplificare questi assalti, una tendenza in crescita che complica ulteriormente le difese.


Cosa sono gli attacchi DDoS

Un attacco Distributed Denial of Service (DDoS) è una tecnica usata dai cybercriminali per mettere fuori uso un servizio online, come un sito o una piattaforma, sommergendolo di richieste.

Immaginiamo un negozio preso d’assalto da migliaia di clienti fittizi che bloccano l’ingresso: i server, incapaci di gestire un traffico così intenso e artificiale, si bloccano, rendendo il servizio inaccessibile agli utenti reali.

Questi attacchi spesso sfruttano reti di dispositivi compromessi – dai computer ai dispositivi IoT come telecamere o router – coordinati per colpire il bersaglio contemporaneamente, rendendo difficile individuarne l’origine.


 

X e il down: al momento nessuna prova concreta, solo speculazioni

Nonostante le affermazioni di Musk, al momento non sono state pubblicate evidenze tecniche che confermino l’origine ucraina dell’attacco.

X non ha fornito log o dati sugli IP coinvolti, e la dichiarazione del suo proprietario resta al momento priva di riscontri ufficiali.

La situazione dunque lascia aperte diverse interpretazioni. Potrebbe trattarsi di una deduzione basata su analisi interne non ancora condivise; oppure di un’accusa deliberata, dettata da dinamiche geopolitiche.

Musk, noto per le sue posizioni controverse, ha avuto negli ultimi giorni attriti non di poco conto con l’Ucraina, soprattutto legati all’uso di Starlink nel conflitto con la Russia.

In ogni caso, senza un report dettagliato, la tesi dell’attacco da una zona ucraina resta semplice speculazione.

X e i precedenti casi di down

Non è la prima volta che X si trova ad affrontare blackout di tale portata.

In passato, la piattaforma è stata già bersaglio di attacchi DDoS e disservizi strutturali che, in alcuni casi, sono stati erroneamente interpretati come cyberattacchi mirati.

Sempre secondo Moore, “X è una delle piattaforme più discusse al mondo, il che la rende un bersaglio ideale per hacker che vogliono lasciare il segno. L’unica strategia efficace per contrastare questi attacchi è continuare ad anticipare l’imprevedibile e rafforzare costantemente le difese.”

La vulnerabilità di X potrebbe essere accentuata anche dalla sua crescente centralità nel dibattito pubblico.

La situazione attuale e maggiore sicurezza

Il down di X pone comunque diversi interrogativi.

È stato davvero un attacco coordinato dall’Ucraina, come sostiene Musk, o un problema tecnico amplificato dalla narrazione del suo proprietario? E se si trattasse di un DDoS, chi ne è responsabile?

La mancanza di trasparenza da parte di X alimenta il dibattito, mentre la piattaforma torna operativa senza chiarire davvero cosa sia accaduto.

Quel che è certo è che la sicurezza informatica resta una sfida cruciale e centrale per le grandi piattaforme digitali. Soprattutto, nel caso di X, quando queste diventano luoghi di scontro anche su temi delicati di strettissima attualità.

[L’immagine di copertina è stata realizzata da Franz Russo utilizzando un modello di intelligenza artificiale generativa]

 

Giornata Internazionale della Donna: il Doodle Google dedicato alle STEM

Giornata Internazionale della Donna: il Doodle Google dedicato alle STEM

Google celebra la Giornata Internazionale della Donna 2025 con un Doodle dedicato alle donne nelle STEM, ricordando c’è ancora molto da fare per colmare il divario.

Come ogni anno, anche oggi 8 marzo 2025, Google dedica un Doodle speciale alla Giornata Internazionale della Donna, un momento che celebra i contributi delle donne in ogni ambito della società.

Questa volta il colosso di Mountain View celebra le donne nelle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).

Il doodle che accompagna il Doodle mette in evidenza: un atomo (fisica); una doppia elica di DNA e una provetta (biologia e chimica); un teschio fossile (paleontologia e archeologia); e un’astronauta (esplorazione spaziale).

Il doodle di Google per le donne STEM

Si tratta di simboli che rappresentano in modo efficace e visivo l’importanza dei contributi femminili nei vari settori STEM, celebrando la loro presenza e i loro risultati. Evocando il loro impatto straordinario sulla scienza e sulla tecnologia.

Giornata Internazionale della Donna: il Doodle Google dedicato alle STEM
Giornata Internazionale della Donna: il Doodle Google dedicato alle STEM

Google, attraverso questo Doodle vuole lanciare un messaggio chiaro per il futuro, richiamando l’attenzione su un tema ancora critico: la presenza femminile nel settore STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).

Nonostante i grandi progressi fatti negli ultimi anni, le donne costituiscono ancora soltanto il 29% della forza lavoro STEM a livello globale.

La scelta di Google non è casuale, ma riflette la necessità di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla presenza femminile nelle discipline STEM, un ambito in cui la partecipazione delle donne è ancora inferiore rispetto a quella maschile.

Ricorderete l’articolo che avevo dedicato proprio al divario, tra donne e uomini, proprio parlando di intelligenza artificiale.

Un divario rischia di tradursi in tecnologie meno inclusive, con algoritmi e sistemi che riflettono pregiudizi e stereotipi esistenti.

Il divario tra donne e IA

I dati ci dicono, infatti, che solo il 22% dei professionisti dell’Intelligenza Artificiale sono donne. Se restringiamo l’analisi alla produzione scientifica, la situazione peggiora: appena il 13,83% degli autori di pubblicazioni AI sono donne e solo il 18% dei relatori nelle principali conferenze internazionali sul tema è di sesso femminile.

La scelta di Google di dedicare questo Doodle alle donne nelle STEM diventa così un’occasione importante non solo per celebrare ma anche per sensibilizzare tutti su questi temi.

Per contrastare l’attuale situazione, è necessario un impegno continuo da parte di istituzioni, aziende e organizzazioni educative per aumentare la partecipazione femminile, attraverso iniziative concrete come borse di studio, programmi di mentorship e campagne di sensibilizzazione mirate.

Solo attraverso un investimento reale nell’inclusione femminile sarà possibile assicurare un futuro più equo e tecnologicamente avanzato.

La diversità è un valore aggiunto fondamentale per l’innovazione. Ed è proprio l’innovazione, insieme alla passione e alla determinazione, che caratterizza il cammino di tante donne straordinarie, capaci di sfidare i limiti imposti da una società che, troppo spesso, fatica ancora a riconoscerne pienamente il talento.

La Giornata Internazionale della Donna è quindi anche un momento di riflessione sul presente e sul futuro.

Investire oggi nell’inclusione femminile in ambito STEM significa infatti investire nel progresso sociale e tecnologico di domani.

Ancora una volta Google, con un semplice Doodle, ci invita non solo a celebrare, ma soprattutto a riflettere.

Buona Giornata Internazionale della Donna a tutte e a tutti.

 

Instagram, i reel e la visibilità: come cambia l’algoritmo

Instagram, i reel e la visibilità: come cambia l’algoritmo

Instagram continua a potenziare i Reel, ma la visibilità resta legata a regole che cambiano di continuo. Creator e brand devono inseguire l’algoritmo del proprietario per restare rilevanti.

In attesa di capire quale sarà il futuro di TikTok negli Usa, i diretti competitor non stanno certo a guardare, anzi. Mentre si attende un segnale dall’amministrazione Trump, e mentre proseguono le trattative con diversi compratori che si sono fatti avanti, Instagram potenzia la sua strategia sui reel.

Infatti, Instagram sta cambiando continuamente il modo in cui rende visibili i reel, cercando di riuscire a realizzare le condizioni ideali qualora gli utenti di TikTok si trovassero sprovvisti della loro app preferita.

Una scelta che, se da un lato conferma l’importanza crescente dei contenuti video brevi sulla piattaforma, dall’altro pone nuove sfide per creator e brand che vogliono raggiungere un pubblico sempre più ampio e profilato.

Già un anno fa, Instagram ha iniziato a fornire indicazioni precise sul funzionamento del proprio algoritmo. L’obiettivo dichiarato è permettere ai creator di comprendere meglio cosa favorisce (o penalizza) la visibilità dei loro contenuti. E, soprattutto, come migliorare la performance dei reel, il formato oggi più utilizzato e in costante crescita.

Instagram, i reel e la visibilità: come cambia l’algoritmo
Instagram, i reel e la visibilità: come cambia l’algoritmo

Come funziona l’algoritmo dei reel su Instagram

Innanzitutto, Instagram chiarisce che la visibilità dei reel è determinata principalmente dall’engagement. Quindi, quanto più un contenuto genera interazioni (visualizzazioni complete, like, commenti, condivisioni e salvataggi), tanto più l’algoritmo ne aumenterà la diffusione.

Ma non solo. La piattaforma valuta anche altri fattori come l’originalità del contenuto, la coerenza tematica, e la qualità complessiva del video (risoluzione, audio, editing).

Inoltre, recentemente è stato confermato che Instagram analizza con particolare attenzione la capacità di un reel di trattenere l’utente per tutta la durata del video. Quindi, i contenuti che riescono a catturare immediatamente l’attenzione e mantenerla alta dall’inizio alla fine sono premiati con una distribuzione maggiore.

Da cosa dipende la visibilità di un reel

In occasione di un evento per i creator a New York, Instagram ha praticamente evidenziato che adesso la lunghezza massima per i reel è di 3 minuti.

Se ricordate, l’anno scorso Instagram continuava a ripetere che i video dovessero mantenersi tra i 30 e i 90 secondi come lunghezza massima. Questo per essere più performanti.

E infatti, creator e brand si sono adeguati a questo standard, impostando tutte le loro strategie di contenuti video su questa lunghezza.

Ma adesso tutto cambia. Infatti se l’algoritmo oggi considera una durata più lunga significa rivedere tutta la strategia per poter essere considerati dall’algoritmo. Una modifica che in realtà non risponde ad una diretta esigenza di creator o brand. No, risponde solo ad una diretta strategia commerciale di Meta che con Instagram vuole competere con TikTok.

Cosa cambia nel dettaglio e cosa considera l’algoritmo:

  • Durata massima: i Reel adesso possono arrivare fino a 3 minuti, non c’è una indicazione precisa su una durata ideale.

  • Originalità: Instagram penalizza i Reel che mostrano chiaramente loghi o watermark provenienti da altre piattaforme, come TikTok.

  • Autenticità: sono penalizzati i Reel non realizzati direttamente da chi li condivide. Instagram favorisce contenuti creati in prima persona dall’autore.

  • Qualità video: è fondamentale pubblicare video con risoluzione alta per ottenere la massima visibilità; contenuti di bassa qualità visiva vengono penalizzati.

Instagram e la logica dell’algoritmo del proprietario

Questi continui cambiamenti introdotti da Instagram sono una chiara espressione di ciò che ormai definisco da un po’ di tempo come algoritmo del proprietario.

Intendo dire, un algoritmo che riflette direttamente le decisioni strategiche e commerciali della piattaforma. Come è appunto questo caso.


Algoritmo del proprietario e SNARF: la via di BuzzFeed per i social media


Creator e brand si trovano così costretti ad adattarsi continuamente a regole mutevoli, che spesso non rispecchiano necessariamente gli interessi degli utenti, ma piuttosto quelli della piattaforma stessa.

Un esempio pratico riguarda la durata ideale dei reel, che è stata modificata più volte nel corso dell’ultimo anno, costringendo gli utenti a ripensare continuamente le proprie strategie di contenuto.

Questo sistema crea una dipendenza quasi assoluta dalla piattaforma, rendendo sempre più difficile costruire strategie di lungo periodo e ottenere una visibilità stabile e duratura.

Oltre che contribuire ad abbassare la qualità dei contenuti.

La durata dei reel, dai 15 secondi ai 3 minuti

I Reels sono stati lanciati nel 2020 come risposta alla popolarità di TikTok, inizialmente con una durata massima di 15 secondi.

Modifica che coincide con la competizione con TikTok, che già permetteva video di 3 minuti dal 2021.

200 miliardi di reel visualizzati ogni giorno

Nonostante il 70% dei contenuti su Instagram sia costituito da foto e immagini, il formato reel è comunque in grande crescita.

Sono più di 200 miliardi i reel che vengono visualizzati ogni giorno su Instagram e Facebook.

Si calcola che, in media, gli account Instagram con più di 50.000 follower caricano un reel ogni due giorni. E si prevede che i reel su Instagram saranno 1 miliardo entro il 2025.

L’India è il mercato più grande per i reel di  Instagram, complice anche il divieto di TikTok. In Europa l’Italia è il terzo paese, dopo Germania e Uk.



Meglio puntare sulla qualità dei contenuti

Dopo questi numeri, è necessario concentrarsi su che tipo di messaggio e di contenuti video vogliamo condividere. Questo per evitare di restare troppo legati ai capricci degli algoritmi e finire per abbassare la qualità dei contenuti stessi.

È sempre utile ricordare che la finalità principale delle condivisione di contenuti è quella di instaurare Relazioni. E questo vale ancora di più quando si parla dell’algoritmo del proprietario.

Facciamo sempre in modo che a guidarci sia la qualità del contenuto e la qualità di ciò che davvero vogliamo comunicare.

 

Technology Vision 2025, la IA è una forza autonoma

Technology Vision 2025, la IA è una forza autonoma

L’IA non è più solo un supporto, ma una forza autonoma che trasforma il business. Dalla creazione del software alla robotica, fino alla personalizzazione dei brand, la Technology Vision 2025 di Accenture mostra come affrontare questa rivoluzione.

L’Intelligenza Artificiale (IA) oggi non è più solo un’innovazione tecnologica, ma rappresenta la struttura portante attorno alla quale si costruiscono le strategie di business del futuro​. Lo evidenzia Accenture nel nuovo report Technology Vision 2025, un’analisi approfondita delle tendenze digitali emergenti e del loro impatto sulle imprese a livello globale e in Italia.

Il rapporto di quest’anno – il 25° annuale di Accenture – è incentrato sull’idea di un’IA sempre più autonoma, capace di agire per conto delle persone, e pone al centro una questione cruciale: la fiducia nelle performance dell’IA come condizione fondamentale per realizzarne appieno il potenziale​.

L’IA generativa e gli agent autonomi stanno infatti ridefinendo il modo in cui le aziende operano e crescono, diventando alleati strategici per produttività e innovazione.

Al contempo, senza un adeguato livello di fiducia da parte di dipendenti e clienti, le organizzazioni rischiano di non sfruttare queste nuove capacità – non a caso, l’88% dei dirigenti italiani ritiene fondamentale comunicare chiaramente la strategia aziendale sull’IA per rafforzare la fiducia dei propri dipendenti.

Nonostante tutto, emerge anche un gap da colmare: solo il 46% dei leader in Italia prevede di rendere accessibili strumenti di IA generativa ai lavoratori nei prossimi tre anni, evidenziando la necessità di maggiore consapevolezza e pianificazione per integrare l’IA nelle organizzazioni​.

Il report Accenture identifica quattro trend chiave che delineano questa nuova era digitale dominata dall’IA autonoma. Si va dall’esplosione dell’AI nei sistemi informatici (“Big Bang Binario”) alla personalizzazione dell’AI come nuovo volto del brand, dall’integrazione dei modelli generativi nella robotica fisica fino alla collaborazione virtuosa tra AI e forza lavoro umana.

In questo articolo analizziamo in dettaglio ciascuno di questi trend, con un focus particolare sul contesto italiano: quali opportunità economiche si prospettano, quali aziende e settori possono trarre vantaggio da queste tendenze, e quali sfide dovranno affrontare le imprese italiane per abbracciare la trasformazione tecnologica in atto.

Technology Vision 2025, la IA è una forza autonoma
Technology Vision 2025, la IA è una forza autonoma

Big Bang Binario: l’IA espande i sistemi e rivoluziona l’automazione

Il primo trend evidenziato è denominato “Il Big Bang Binario”, a indicare un punto di svolta in cui l’IA genera un’espansione esponenziale dei sistemi digitali, trasformandone radicalmente natura e sviluppo. Grazie ai foundation model (modelli di AI di base, addestrati su enormi quantità di dati) e alla diffusione dell’IA generativa, le aziende stanno sperimentando un vero big bang tecnologico: la crescente autonomia degli agent digitali accelera la creazione di nuovo software, riduce i costi e i tempi di sviluppo e rende la tecnologia più accessibile tramite il linguaggio naturale.

In altri termini, l’IA sta passando da strumento di automazione a protagonista nella progettazione e nell’esecuzione dei sistemi software stessi​.

Questo fenomeno – il “Big Bang Binario” – sta portando verso un ecosistema IT fondato su tre pilastri: abbondanza (molti più sistemi e soluzioni digitali creati con facilità), astrazione (interfacce più intuitive, come la conversazione in linguaggio naturale, che democratizzano l’uso della tecnologia) e autonomia (sistemi in grado di agire e ottimizzarsi quasi da soli)​. Le tradizionali applicazioni statiche lasciano il posto ad architetture basate sulle intenzioni e a sistemi composti da molteplici agenti AI capaci di interagire fra loro e con gli utenti​.

In questo contesto, le imprese più lungimiranti stanno già ampliando la propria visione oltre le implementazioni immediate dell’IA, per cogliere il cambiamento profondo nelle fondamenta tecnologiche. Ad esempio, i codice generato dall’IA sta innalzando il ruolo degli sviluppatori a ingegneri di sistemi, mentre agent autonomi consentono agli utenti di interagire con software complessi semplicemente dialogando​.

Si tratta di una trasformazione che offre opportunità uniche di competizione: chi adotta per tempo queste innovazioni potrà godere di vantaggi in termini di velocità di innovazione e flessibilità dei sistemi. Il 77% dei dirigenti a livello globale concorda che gli agenti AI rivoluzioneranno il modo di creare applicazioni e sistemi digitali, e molti riconoscono che presto dovremo costruire ecosistemi digitali “tanto per gli agenti AI quanto per le persone”​.

In Italia, in particolare, si prevede un forte impatto: il 33% dei top manager italiani stima un incremento significativo di produttività grazie all’adozione di agenti AI, e ben l’85% ritiene che questi strumenti ridefiniranno i sistemi digitali aziendali nei prossimi anni​.

In pratica, stiamo entrando in un’era di “abbondanza digitale” in cui sarà molto più facile e rapido sviluppare nuovi servizi basati sull’IA; le decisioni che i leader prendono oggi su come implementare queste tecnologie determineranno la competitività delle loro aziende nel prossimo decennio​.

Dal Big Bang Binario derivano anche nuove responsabilità. Se le tecnologie odierne sono un mezzo e non un fine ultimo, le imprese devono prepararsi fin d’ora a gestire ecosistemi popolati da agenti autonomi in modo sicuro e affidabile​.

Accenture sottolinea l’importanza di preservare la fiducia durante questa transizione: occorre implementare meccanismi di monitoraggio dell’AI, definire chiare linee guida di governance e addestrare i sistemi a decisioni trasparenti, così da allineare l’autonomia dell’IA con gli obiettivi di business e la fiducia degli utenti​.

Le aziende italiane all’avanguardia si stanno già muovendo in questa direzione; le altre dovranno rapidamente adeguarsi, definendo una strategia su come integrare gli agenti AI nel proprio digital core (il nucleo digitale dei processi) e iniziando a sperimentarli in progetti pilota​.

In sintesi, il Big Bang Binario prospetta un futuro imminente in cui i sistemi saranno molto più numerosi, potenti e autonomi – una grande opportunità per chi saprà evolvere i propri modelli tecnologici e organizzativi in tempo.

Technology Vision 2025 Accenture
Technology Vision 2025 Accenture

Il tuo volto in futuro: l’AI come nuova identità di marca

Il secondo trend, chiamato “Il tuo volto in futuro”, riguarda la personalizzazione dell’IA e l’identità del brand. Man mano che le aziende integrano chatbot e assistenti virtuali nelle interazioni con i clienti, si pone una domanda strategica: qual è la personalità della tua AI? Oggi molte esperienze basate su AI generativa sono piuttosto generiche – basti pensare ai vari assistenti virtuali e bot conversazionali che, utilizzando modelli linguistici di larga scala (LLM) simili, tendono ad avere tutti lo stesso tono “neutro”. Questo rischia di diluire l’identità del brand e offrire ai clienti un’esperienza impersonale​.

Accenture evidenzia quindi la necessità di differenziarsi attraverso l’AI, sviluppando agenti conversazionali e assistenti virtuali che riflettano i valori, il linguaggio e lo stile unici di ciascun marchio. In altri termini, l’AI del futuro non dovrà essere anonima, ma diventare una sorta di ambasciatore digitale del brand.

Dotare l’AI di una “voce” e una personalità coerente con il marchio può rafforzare il legame con i consumatori e costruire una nuova forma di fiducia. Ad esempio, un’assistente virtuale di una banca potrebbe parlare con il tono rassicurante e autorevole tipico di quell’istituto, mentre il bot di un’azienda di moda adotterà uno stile più vivace e creativo, in linea con il brand.

Questa personificazione dell’AI offre alle aziende un nuovo terreno su cui competere: l’80% dei dirigenti teme che LLM e chatbot possano rendere tutte le interazioni col cliente simili tra loro, ma al contempo il 77% è convinto che si possa risolvere il problema creando proattivamente esperienze AI “personificate”, infondendo nell’AI elementi distintivi del brand (cultura, valori, tono di voce)​.

In Italia la sensibilità su questo tema è ancora maggiore: il 94% dei dirigenti italiani concorda sull’importanza di sviluppare AI personalizzate, con una personalità in linea con il brand, e considera prioritario nei prossimi tre anni creare assistenti AI capaci di rappresentare al meglio l’identità aziendale​.

Inoltre, quasi tutte le aziende (95%) riconoscono che definire e mantenere una personalità coerente per i propri agenti AI diventerà cruciale nel prossimo triennio​.

Le implicazioni pratiche di questo trend sono significative. Le imprese dovranno investire nella progettazione della “user experience” conversazionale, andando oltre la pura funzionalità tecnica: tone of voice, carattere, persino un volto o avatar per l’assistente virtuale – ogni elemento contribuirà a rendere l’AI riconoscibile e allineata al marchio.

Ciò comporta nuove sfide, come bilanciare la creatività con la coerenza (garantire che l’AI non esca dai binari della brand identity) e assicurare che l’AI personificata agisca in modo etico e affidabile, perché qualsiasi errore o comportamento inappropriato avrebbe un impatto diretto sulla reputazione aziendale.

Su quest’ultimo punto, il 77% dei dirigenti italiani afferma che la propria organizzazione dovrà impegnarsi proattivamente nel creare un rapporto di fiducia tra l’AI personificata e i clienti​– ad esempio, essendo trasparenti sul fatto che si sta interagendo con un agente automatizzato e monitorandone attentamente le prestazioni.

In definitiva, “Il tuo volto in futuro” suggerisce che ogni azienda avrà la sua AI con un volto e una voce unici, e che questa diventerà parte integrante dell’esperienza cliente, al pari di un venditore in carne e ossa o dell’interfaccia di un’app. Le imprese italiane che sapranno sfruttare l’IA per esprimere la propria identità potranno differenziarsi nettamente nel mercato, offrendo esperienze su misura e rafforzando la propria brand equity nell’era digitale.

Un corpo per gli LLM: l’AI entra nel mondo fisico attraverso la robotica

Il terzo trend della Technology Vision 2025 è intitolato “Un corpo per gli LLM” (Large Language Models), e riguarda l’evoluzione della robotica grazie ai modelli generativi. Finora l’IA generativa è stata principalmente una tecnologia software (si pensi a chatbot, generatori di testo o immagini), ma ora sta estendendo la propria portata al mondo fisico.

In pratica, gli stessi avanzamenti che hanno permesso ai modelli di linguaggio di capire e generare testo stanno venendo applicati ai robot, dando origine a macchine più intelligenti e adattabili. I foundation model integrati nei sistemi robotici consentono infatti ai robot di apprendere nuovi compiti in modo molto più rapido e flessibile, senza la necessità di essere riprogrammati da zero per ogni nuova funzione​.

Grazie all’IA generativa e alla capacità di comprendere istruzioni in linguaggio naturale, i robot possono interpretare meglio il contesto, interagire con gli esseri umani in maniera più intuitiva e affrontare situazioni complesse con maggiore autonomia​.

Questa evoluzione sta rivoluzionando settori come la manifattura, la logistica e la sanità, aprendo nuove opportunità di collaborazione uomo-macchina. Ad esempio, in un magazzino logistico, si prospettano robot generici in grado prima di svolgere compiti vari e poi specializzarsi “al volo” in nuove mansioni, imparando dall’esperienza sul campo​.

Nella produzione industriale, l’IA può dotare i bracci robotici di maggiore “intelligenza” per riconoscere oggetti o adattarsi a piccole variazioni nei pezzi da assemblare, riducendo fermi macchina e difetti.

In ambito sanitario, robot assistenti potrebbero apprendere procedure di assistenza ai pazienti o supporto in sala operatoria combinando visione artificiale e modelli linguistici (per seguire istruzioni del chirurgo in linguaggio naturale, ad esempio). In sintesi, stiamo passando da robot pre-programmati per compiti specifici a robot versatili e “generalisti”, dotati di un corpo fisico ma anche di un “cervello AI” addestrato su enormi dataset, capace di trasferire conoscenze da un ambito all’altro.

Queste prospettive sono entusiasmanti, ma pongono anche nuove sfide in termini di gestione e responsabilità. La maggior parte dei dirigenti si dichiara ottimista sulle potenzialità dei robot adattivi e intelligenti, ma al tempo stesso l’81% dei leader aziendali italiani segnala la necessità di ampliare l’applicazione dei principi di “IA responsabile” man mano che i robot verranno impiegati in contesti fisici​.

In altre parole, più l’AI esce dallo schermo per entrare nel mondo reale, più diventa fondamentale garantire che il suo comportamento sia sicuro, etico e trasparente. Pensiamo alla sicurezza sul lavoro: robot più autonomi dovranno rispettare rigorosi standard per operare accanto alle persone senza rischi. Oppure al tema delle decisioni prese dai robot (ad esempio veicoli autonomi): è cruciale che siano comprensibili e allineate ai valori umani.

Le aziende dovranno quindi aggiornare le proprie politiche di governance dell’AI includendo i sistemi fisici, stabilendo regole chiare su controllo umano, privacy, e responsabilità in caso di malfunzionamenti. Un altro aspetto sarà l’accettazione da parte dei lavoratori: introdurre robot avanzati nei contesti produttivi richiederà formazione e change management, per far capire che questi strumenti sono alleati e non necessariamente minacce occupazionali.

Su questo fronte è incoraggiante notare che l’80% dei dirigenti crede che una collaborazione stretta e un apprendimento reciproco continuo tra persone e robot aumenterà la fiducia dei dipendenti verso le macchine.

In effetti, se i robot imparano dagli operatori umani e gli operatori imparano a sfruttare l’assistenza dei robot, si può instaurare un rapporto simbiotico positivo.

“Un corpo per gli LLM” ci proietta verso un futuro in cui le barriere tra digitale e fisico si assottigliano: i confini dell’AI si estendono oltre lo schermo, e le imprese italiane dovranno farsi trovare pronte ad abbracciare questa robotica di nuova generazione, cogliendone i benefici (efficienza, qualità, nuovi servizi) e gestendone responsabilmente i rischi.

Il nuovo ciclo di apprendimento: persone e IA crescono insieme

L’ultimo trend individuato da Accenture, “Il nuovo ciclo di apprendimento”, esamina come sta cambiando il rapporto tra IA e forza lavoro e il modo in cui si generano competenze nell’era dell’automazione avanzata.

Se in passato l’automazione tradizionale sostituiva l’uomo in compiti ripetitivi generando benefici una tantum (efficienza, costi ridotti), la nuova ondata di IA ha una caratteristica diversa: è in grado di apprendere e migliorare continuamente, instaurando con le persone un ciclo virtuoso di reciproco accrescimento​.

In pratica, più le persone usano l’IA, più l’IA diventa efficace, e di conseguenza più le persone possono ottenere risultati migliori – creando un circolo di feedback positivo che incrementa nel tempo il valore sia per i singoli che per l’organizzazione​.

Grazie all’IA generativa e agli strumenti cognitivo-assistivi, ogni dipendente può ormai disporre di un “copilota digitale” al proprio fianco, capace di fornire informazioni, automatizzare attività di routine e suggerire nuove soluzioni.

Questo significa che l’IA non si limita più ad automatizzare processi, ma sta ridefinendo il modo in cui i lavoratori apprendono nuove competenze e innovano sul lavoro.

Ad esempio, un analista di marketing può usare modelli di AI per esplorare enormi moli di dati e trovare idee di campagne creative, apprendendo a sua volta nuovi approcci dai risultati generati dall’IA; uno sviluppatore software junior può farsi assistere da un AI coding assistant (come GitHub Copilot) imparando dallo stile di codice suggerito e accelerando il proprio percorso di crescita.

L’IA diventa quindi un mentore virtuale oltre che uno strumento operativo. Accenture parla di “democratizzazione dell’innovazione”: rendendo accessibili tool avanzati a tutti i livelli dell’organizzazione, i dipendenti sono messi in condizione di contribuire attivamente alla crescita aziendale, non solo eseguendo compiti ma anche co-creando soluzioni insieme all’IA​.

È importante sottolineare che questa evoluzione non elimina il ruolo umano, ma lo potenzia.

Le mansioni ripetitive e a basso valore aggiunto potranno essere automatizzate dall’AI, liberando tempo perché le persone si concentrino su attività più strategiche, creative e di relazione.

Il rapporto evidenzia come sia fondamentale gestire la transizione con trasparenza e coinvolgimento: i dipendenti devono comprendere la strategia dell’azienda sull’AI e sentirsi parte attiva del processo, così da non temere l’automazione ma abbracciarla come un’opportunità di crescita​.

A livello globale, 80% dei leader indica come priorità garantire fin da subito una traiettoria positiva nelle relazioni tra persone e AI, prevenendo derive di timore o resistenza attraverso comunicazione e formazione adeguate​.

Sul fronte delle competenze, la sfida è enorme: occorre riqualificare il personale su larga scala.

Dall’indagine Accenture emerge che il 73% dei dirigenti italiani considera essenziale investire nella formazione dei dipendenti sugli strumenti di IA nei prossimi tre anni, così da assicurarsi che la forza lavoro sia pronta a sfruttare appieno il potenziale tecnologico e a operare in sinergia con le nuove AI​.

Questo dato va letto insieme a un altro insight significativo: il 95% dei leader aziendali prevede che i task svolti dai dipendenti cambieranno in modo moderato o significativo nei prossimi 3 anni, spostandosi verso attività a maggior valore aggiunto​.

In Italia però solo una minoranza delle aziende ha già intrapreso programmi strutturati di upskilling sull’AI, il che indica un ritardo da colmare. Le imprese dovranno attivare percorsi formativi agili e continui, integrando l’AI training nelle normali attività (ad esempio, affiancando ai team dei coach interni o creando comunità di pratica sull’uso dell’AI). Alcune organizzazioni stanno anche valutando l’inserimento di metriche di “AI readiness” nelle valutazioni di performance, per incentivare il personale ad adottare gli strumenti AI messi a disposizione.

In sintesi, “Il nuovo ciclo di apprendimento” dipinge un futuro in cui l’IA diventa parte integrante della forza lavoro, elevandone le capacità invece di limitarle. Per le imprese italiane, ciò si traduce nell’opportunità di avere team più agili, creativi e produttivi, a patto di investire da subito nelle persone.

La sfida culturale è far comprendere che uomini e macchine non sono in competizione a somma zero, ma possono alimentarsi a vicenda: l’IA impara dagli utenti umani e ne amplifica le potenzialità, mentre i lavoratori traggono beneficio dall’AI e ne guidano l’evoluzione con feedback continui.

Chi saprà realizzare questa collaborazione virtuosa avrà un vantaggio competitivo notevole, traducendo l’innovazione tecnologica in reale valore di business.

Impatto economico per l’Italia: dati e opportunità

Dai quattro trend analizzati emerge chiaramente un messaggio: l’IA, se adottata strategicamente, può diventare un volano di crescita economica per l’Italia. Accenture stima che l’integrazione pervasiva dell’Intelligenza Artificiale nei processi produttivi e nei servizi potrebbe tradursi in un incremento del PIL italiano fino a 15 miliardi di euro nei settori tradizionali del Made in Italy nei prossimi anni.

Parliamo di comparti come il manifatturiero, l’agroalimentare, il tessile-moda, l’arredamento – ambiti in cui l’Italia è storicamente forte e dove l’AI può portare innovazione nei prodotti e nelle catene del valore.

Ad esempio, nel manifatturiero made in Italy (dalla meccanica di precisione all’automotive), l’adozione di robotica avanzata e sistemi di AI per la gestione della produzione potrebbe aumentare significativamente la produttività e la qualità, rafforzando la competitività delle nostre imprese sui mercati globali.

Allo stesso modo, nel settore moda e lusso, l’AI generativa può accelerare la progettazione creativa e personalizzare l’esperienza di acquisto, mentre nell’agroalimentare algoritmi intelligenti ottimizzano le filiere e garantiscono tracciabilità, migliorando sia l’efficienza che la sostenibilità.

Un altro ambito di investimento è quello dei software di AI generativa aziendale (ad esempio piattaforme di analisi dati aumentata, assistenti virtuali interni, tool di progettazione supportata dall’AI): adottare per prime queste soluzioni permette alle aziende di migliorare l’efficienza operativa e sviluppare nuovi prodotti/servizi prima della concorrenza.

Secondo un’altra ricerca Accenture, quasi il 70% degli executive globali ritiene che l’AI porti una nuova urgenza di reinventare i modelli operativi e i sistemi aziendali, data la velocità con cui si sta diffondendo rispetto a qualunque tecnologia precedente​.

L’Italia non fa eccezione: chi saprà cavalcare l’onda dell’AI autonoma potrà colmare parte del gap di produttività che storicamente separa il nostro Paese da altri competitor europei.

Va evidenziato che le PMI italiane, ossatura del tessuto economico nazionale, potrebbero essere tra le principali beneficiarie della democratizzazione dell’IA. La Technology Vision 2025 sottolinea la crescente accessibilità dell’AI anche per le imprese di piccole e medie dimensioni, grazie a costi decrescenti e soluzioni cloud pronte all’uso​.

Questo significa ridurre il divario tecnologico tra grandi e piccoli attori: ad esempio, oggi anche una PMI manifatturiera può permettersi un sistema di visione artificiale per il controllo qualità, o una PMI commerciale può implementare un chatbot sul proprio e-commerce con investimenti contenuti.

La conseguenza sarà un’innovazione più diffusa in tutti i settori, con miglioramenti che vanno dall’ottimizzazione dei processi interni fino alla creazione di nuovi modelli di business data-driven. Secondo Accenture, settori come la sanità potranno essere trasformati migliorando l’assistenza ai pazienti e accelerando la ricerca medica grazie a sistemi diagnostici AI e analisi predittive, mentre nei servizi finanziari l’AI potrà migliorare la valutazione dei rischi, la personalizzazione dei prodotti e il contrasto alle frodi​.

Nel retail, l’AI renderà possibili esperienze d’acquisto iper-personalizzate e una gestione più efficiente degli inventari​; nell’industria energetica, sistemi di AI aiuteranno a bilanciare le reti e integrare le fonti rinnovabili​.

Insomma, ogni comparto avrà le sue applicazioni chiave dell’AI e trarrà vantaggi specifici – aumento dell’efficienza, riduzione dei costi, miglior servizio al cliente, o magari la creazione di servizi completamente nuovi prima impensabili senza l’AI.

Per concretizzare questo impatto economico positivo, sarà determinante la capacità delle aziende italiane di passare dalla consapevolezza all’azione. I dati del report mostrano un quadro incoraggiante sul fronte della consapevolezza (molti leader riconoscono l’importanza dell’AI e ne hanno compreso i trend principali), ma evidenziano anche aree in cui bisogna accelerare: in particolare, dotarsi di una visione strategica di lungo periodo e investire nelle risorse umane.

Teodoro Lio AD Accenture Italia
Teodoro Lio AD Accenture Italia

Le opportunità ci sono e sono significative – dal boost di produttività interno fino a nuove offerte per i clienti – ma richiedono un cambio di passo nella trasformazione digitale delle nostre imprese, affinché l’IA diventi parte integrante del modello operativo italiano. Come ha dichiarato Teodoro Lio, Amministratore Delegato di Accenture Italia, “per le aziende italiane l’IA rappresenta un imperativo strategico in grado di innovare i modelli di business, ottimizzare le operations e migliorare l’esperienza dei consumatori”, ma per sfruttarne a fondo il potenziale occorre integrarla efficacemente in tutti i processi aziendali, accelerare gli investimenti e colmare il gap di competenze, rafforzando al contempo il patto di fiducia verso questa rivoluzione tecnologica che deve avere l’uomo alla guida​.

In queste parole c’è la sintesi di ciò che l’AI può fare per l’economia italiana (innovare, far crescere PIL e produttività) e di ciò che l’Italia deve fare per l’AI (investire, formare, fidarsi e governare il cambiamento).

Sfide e opportunità per le imprese italiane

L’adozione diffusa dell’Intelligenza Artificiale pone dunque una serie di sfide che le imprese italiane dovranno affrontare, ma anche molteplici opportunità da cogliere. Da un lato, come abbiamo visto, c’è l’urgenza di sviluppare strategie chiare e lungimiranti per integrare l’AI nei modelli di business; dall’altro c’è la promessa di notevoli benefici in termini di efficienza, innovazione e crescita. Vediamo i punti principali:

    • Definire una strategia chiara e olistica per l’AI: una prima sfida è passare dai progetti pilota estemporanei a una visione strategica complessiva. Il report di Accenture mette in guardia le aziende: l’IA pervaderà ogni area (operazioni, relazione con i clienti, prodotti, forza lavoro) e occorre quindi un approccio coordinato. Le imprese italiane sono chiamate a disegnare una roadmap di adozione dell’AI

    • Coltivare la fiducia e gestire il cambiamento culturale: come evidenziato, la fiducia è il fattore abilitante numero uno. Le aziende devono lavorare su due fronti. Internamente, vincere lo scetticismo o la paura dei dipendenti verso l’automazione, coinvolgendoli attivamente. Comunicare in modo chiaro gli obiettivi dell’AI (l’88% dei manager sa che deve farlo) e dimostrare con i fatti che l’AI può migliorare il lavoro di tutti aiuta a creare un clima di fiducia e collaborazione.

    • Formazione e skill gap: una sfida cruciale, come discusso, è dotare la forza lavoro delle competenze necessarie per utilizzare e governare l’AI. In Italia molte imprese accusano un ritardo nella formazione digitale: ad esempio, solo il 20% circa delle aziende ha formato almeno un quarto del proprio personale sulle tecnologie AI. Il rischio è di avere a disposizione potenti strumenti di AI che però rimangono sottoutilizzati per mancanza di know-how. Accenture evidenzia che il 68% dei dirigenti avverte la necessità di migliorare le competenze e riqualificare i dipendenti (inclusi quelli con disabilità) all’uso di strumenti AI. La buona notizia è che c’è consapevolezza: il 73% dei leader intende investire in questo ambito​. L’opportunità da cogliere è quella di costruire una workforce “AI-proficient”.

    • Adeguare infrastrutture e processi: un aspetto spesso sottovalutato, ma essenziale, è l’aggiornamento dell’infrastruttura tecnologica e dei processi aziendali per accogliere l’AI. Le aziende italiane dovranno investire in dati, cloud e architetture modulari.

    • Innovazione responsabile e normativa: infine, una sfida trasversale è assicurare un’innovazione responsabile, in linea con normative e aspettative sociali. La regolamentazione sull’AI è in divenire (si pensi al progetto di EU AI Act in Europa) e le aziende dovranno mantenersi al passo, adeguando i propri sistemi agli standard di legge. Chi muove primi passi può addirittura contribuire a plasmare queste normative attraverso best practice settoriali. L’attenzione all’etica, alla trasparenza e all’inclusività dell’AI non deve essere vista solo come un obbligo, ma come un’opportunità per distinguersi.

Per le imprese italiane la strada dell’AI è piena di sfide, ma tutte affrontabili con la giusta visione e determinazione. Ogni sfida superata si traduce in un’opportunità: chi saprà definire una strategia chiara, costruire fiducia, formare le persone, aggiornare i sistemi e innovare responsabilmente, avrà accesso ai notevoli benefici che l’AI promette – in termini di efficienza, qualità, nuovi prodotti e servizi, soddisfazione del cliente e crescita del business.

Il ruolo dell’IA nel futuro delle imprese

L’Accenture Technology Vision 2025 traccia un panorama nel quale l’Intelligenza Artificiale sarà sempre più il motore dell’impresa del futuro.

I quattro trend – Big Bang Binario, Il tuo volto in futuro, Un corpo per gli LLM e Il nuovo ciclo di apprendimento – delineano insieme un mondo in cui l’AI permea ogni dimensione del business: dai sistemi informatici che diventano autonomi e “intelligenti per default”, all’esperienza cliente personalizzata da assistenti virtuali con un volto amico; dalla robotica evoluta che fonde digitale e fisico, alla collaborazione simbiotica tra persone e agenti AI in ogni ufficio e reparto.

Per le aziende italiane, questo scenario rappresenta una sfida epocale ma anche una straordinaria chance di trasformazione e crescita.

Il filo conduttore che lega tutte le tendenze è la necessità di un cambio di paradigma nella gestione aziendale.

Chi avrà la lungimiranza di investire in questa trasformazione oggi, potrà costruire l’impresa resiliente e competitiva di domani.

L’Italia ha tutte le carte in regola per essere protagonista in questo nuovo capitolo tecnologico: un tessuto imprenditoriale dinamico, eccellenze nella ricerca sull’AI e nella robotica, e settori di punta che potrebbero fare da traino nell’adozione (pensiamo alla robotica avanzata sviluppata nei nostri centri di ricerca, o alle sperimentazioni di AI nel campo medico).

Per massimizzare i benefici dell’AI, però, le imprese dovranno agire con un approccio equilibrato, che potremmo sintetizzare in alcune linee guida: visione, persone, tecnologia, fiducia.

Visione: sviluppare piani chiari su come l’AI reinventerà i propri prodotti e processi, senza aver paura di ripensare i modelli di business (ad esempio, offrire servizi “as a service” basati su AI dove prima si vendeva un prodotto fisico).

Persone: mettere le persone al centro, formandole e coinvolgendole perché diventino parte attiva del cambiamento – l’innovazione di successo è fatta da persone che credono nel progetto.

Tecnologia: investire nelle piattaforme e nelle partnership giuste – poche aziende potranno fare tutto da sole, sarà importante collaborare con fornitori tech, università, ecosistemi di startup per integrare le migliori soluzioni AI in modo rapido ed efficace.

Fiducia: instaurare un clima di fiducia attorno all’AI, sia internamente che esternamente, attraverso la trasparenza, la responsabilità e l’attenzione all’etica. Questo manterrà l’innovazione su binari sicuri e socialmente accettabili, evitando contraccolpi.

L’Intelligenza Artificiale si candida a essere il fattore decisivo del successo aziendale nei prossimi anni.

Non si tratta più di chiedersi se adottare l’AI, ma come farlo al meglio e quanto in fretta.

Le aziende italiane che sapranno unire la tradizionale creatività e capacità di adattamento “made in Italy” con la potenza dell’AI, svilupperanno un vantaggio unico. Potranno creare prodotti innovativi, esperienze clienti memorabili e organizzazioni agili, in grado di prosperare anche in un contesto competitivo e in rapido mutamento.

Al contrario, chi resterà fermo rischierà di subire un progressivo declino, man mano che i concorrenti augmented dall’AI guadagneranno terreno. “L’IA non sostituirà gli esseri umani, ma gli esseri umani che sapranno usare l’IA sostituiranno quelli che non la sanno usare” – questa citazione, spesso ripetuta nel dibattito, riassume bene la posta in gioco.

Il futuro delle imprese sarà scritto dalla collaborazione uomo-macchina: investire oggi per costruire questo sodalizio virtuoso significa assicurarsi un ruolo da protagonisti nell’economia di domani.

E, come ci ricorda la Technology Vision 2025 di Accenture, il momento di agire è adesso.

Addio Skype, Microsoft ha deciso di puntare su Teams

Addio Skype, Microsoft ha deciso di puntare su Teams

Microsoft ha deciso che chiuderà Skype il 5 maggio 2025 per puntare tutto su Teams. Ecco le motivazioni, l’impatto sugli utenti e le alternative come Zoom e Google Meet, e non solo.

Era nell’aria da tempo, ma ora è ufficiale: Microsoft ha annunciato la chiusura definitiva di Skype, prevista per il 5 maggio 2025.

Dopo oltre vent’anni di servizio, il celebre software di messaggistica e videochiamate che ha rivoluzionato la comunicazione digitale andrà in pensione.

La decisione segna la fine di un’era e, al contempo, rafforza la strategia di Microsoft nel puntare tutto su Teams, la piattaforma pensata per la collaborazione e la comunicazione, che diventerà l’unico riferimento per utenti privati e aziende.

Perché Microsoft ha deciso di chiudere Skype

Skype, lanciato nel 2003 da Niklas Zennström e Janus Friis, ha rivoluzionato la comunicazione digitale con la sua tecnologia peer-to-peer, consentendo chiamate vocali gratuite o a basso costo su Internet.

Skype primo logo del 2003
Skype primo logo del 2003

Microsoft ha poi acquisito la piattaforma nel 2011 per 8,5 miliardi di dollari, quando era il punto di riferimento assoluto per le chiamate VoIP. Ma, con il passare degli anni, la concorrenza si è fatta sempre più agguerrita.

Soprattutto dopo il COVID-19, con gli utenti che cercavano strumenti più moderni per il lavoro da remoto e l’interazione sociale.

E quindi, servizi come Zoom, Google Meet e WhatsApp hanno progressivamente eroso la sua quota di mercato. A questo si è aggiunto Microsoft Teams, riducendo ulteriormente il peso di Skype.

La scelta di Microsoft di chiudere Skype nasce quindi dalla volontà di concentrare gli sforzi su Teams, semplificando l’offerta e garantendo una maggiore continuità nello sviluppo di nuove funzionalità.

Secondo Jeff Teper, presidente della divisione Collaborative Apps and Platforms di Microsoft, “Skype ha svolto un ruolo fondamentale nell’innovazione delle comunicazioni digitali, ma ora è tempo di guardare avanti e unificare l’esperienza utente su un’unica piattaforma più moderna“.

Negli ultimi anni, Skype ha registrato un drastico calo di utenti: dai circa 300 milioni di utenti attivi al mese nel 2016 ai soli 36 milioni nel 2023.

Teams, invece, ha registrato una crescita esponenziale, diventando la soluzione di riferimento per aziende e utenti consumer. A questo punto, per Microsoft non aveva più senso mantenere due strumenti simili, ma con un divario netto in termini di utilizzo e investimenti.

Cosa succederà agli utenti Skype?

Per chi ancora utilizza Skype, Microsoft ha previsto un periodo di transizione fino a maggio 2025. Gli utenti potranno trasferire contatti, cronologia chat e crediti direttamente su Teams, utilizzando le stesse credenziali. Inoltre, fino alla chiusura definitiva, Skype e Teams continueranno a essere interoperabili, permettendo agli utenti di comunicare tra loro indipendentemente dalla piattaforma scelta.

Chi non desidera passare a Teams potrà invece scaricare ed esportare la propria cronologia delle chat prima della chiusura. Per quanto riguarda gli abbonamenti a Skype e il credito telefonico, Microsoft garantirà il trasferimento su Teams, in modo da non penalizzare gli utenti che ancora utilizzano il servizio per chiamate internazionali.

Addio Skype, Microsoft ha deciso di puntare su Teams
Addio Skype, Microsoft ha deciso di puntare su Teams

Quali le alternative a Skype

La chiusura di Skype spinge gli utenti a valutare alternative per le chiamate e i meeting online. Oltre a Microsoft Teams, che sarà il principale erede di Skype, esistono diverse piattaforme valide:

  • Zoom: Negli ultimi anni si è imposto come lo strumento di riferimento per videoconferenze e meeting professionali. Offre una versione gratuita con chiamate fino a 40 minuti e piani a pagamento per esigenze aziendali più avanzate.
  • Google Meet: Integrato con Google Workspace, è una soluzione solida per meeting online, con una versione gratuita che permette videochiamate fino a 60 minuti.
  • WhatsApp e Telegram: Per chi cerca un’alternativa più informale e immediata, entrambe le piattaforme offrono chiamate e videochiamate di gruppo.
  • Discord: Nato per la community gaming, ma oggi usato anche per team di lavoro, permette chat vocali e videochiamate gratuite senza limiti di tempo.

Ma vediamo un dettaglio qui in basso:

Piattaforma Caratteristiche principali Pro Contro Limiti della versione gratuita
Zoom Videoconferenze, breakout rooms Video di alta qualità, meeting di grandi dimensioni Limite di 40 minuti per la versione gratuita, necessario abbonamento per più tempo Fino a 100 partecipanti, 40 minuti
WhatsApp Messaggi, chiamate vocali/video Gratuito, ampiamente utilizzato, crittografia end-to-end Meno adatto per videochiamate di grandi gruppi, focus sui dispositivi mobili Nessun limite significativo per le chiamate
Google Meet Videoconferenze, integrazione con Google Integrato con Google Calendar, facile da usare Limite di 60 minuti per la versione gratuita, richiede account Google Fino a 100 partecipanti, 60 minuti
Discord Voce/testo per comunità, server Gratuito, comunicazione di gruppo illimitata Focus sul gaming, potrebbe non essere adatto per uso generico Nessun limite significativo
Slack Collaborazione in team, canali, integrazioni Orientato al business, funzioni robuste La versione gratuita ha limiti nella cronologia dei messaggi, necessaria sottoscrizione per l’accesso completo Cronologia messaggi limitata, abbonamento per accedere a più contenuti
FaceTime Videochiamate per utenti Apple Perfettamente integrato nei dispositivi Apple, alta qualità Disponibile solo nell’ecosistema Apple, non multipiattaforma Gratuito, senza limiti, ma solo per dispositivi Apple

Addio Skype, la fine di un’era

Skype ha segnato un’epoca, permettendo a milioni di persone di effettuare chiamate via internet e rendendo possibili connessioni come mai prima.

È evidente che la sua chiusura rappresenta la fine di un’era.

Ma per Microsoft rappresenta una nuova fase e punta tutto su Teams per offrire un’esperienza più moderna e integrata.

Chi ha usato Skype fin dagli albori (chi scrive è tra questi) non può che provare un po’ di nostalgia. Ma la tecnologia va avanti, e con essa le piattaforme che meglio rispondono alle esigenze di oggi.

La chiusura di Skype è solo un nuovo capitolo nella lunga storia dell’evoluzione della comunicazione digitale.


Sitografia:

 

X, la sua evoluzione attuale e tutto ciò che c’è da sapere

X, la sua evoluzione attuale e tutto ciò che c'è da sapere

X potrebbe tornare a valere 44 miliardi di dollari. La situazione della piattaforma di Elon Musk potrebbe evolvere, in virtù del contesto che è cambiato dall’elezione di Trump. Ecco un approfondimento sulla piattaforma che fotografa in modo dettagliato il momento attuale.

È innegabile, la piattaforma X di Elon Musk è sicuramente con il vento in poppa, come si dice, dall’insediamento di Trump. Un dato che corrisponde all’inizio del mandato di Musk da ministro dell’Efficienza Governativa dell’amministrazione Trump.

La piattaforma sta vivendo un momento apparentemente positivo. E forse non sorprende più di tanto. Infatti, tutto questo è un effetto di tante azioni che Musk ha messo in campo nei mesi scorsi.

X potrebbe essere sul punto di mettersi alle spalle alcune difficoltà economiche grazie a nuove manovre finanziarie, e spinge sempre più sull’integrazione dell’intelligenza artificiale e sulla monetizzazione dei contenuti.

In ogni caso, in questo contesto che volge al positivo, le preoccupazioni sull’imparzialità della piattaforma e sulla sua influenza politica restano più evidenti che mai.

Quello che segue è un dettagliato resoconto della situazione di X in questa fase. Un momento fare il punto sulla piattaforma, sulla strategia di Musk e sulla integrazione sempre più stretta con la IA.

Strategia che al momento sta portando le aziende a investire con nuove inserzioni.

In tutto questo, è di assoluta rilevanza il fatto che oggi Musk non è solo il proprietario della piattaforma, ma è anche a capo del Dipartimento dell’Efficienza Governativa dell’amministrazione Usa e uno degli uomini più vicini proprio al presidente Donald Trump.

Un ruolo questo che non può non generare delle conseguenze.

X, la sua evoluzione attuale e tutto ciò che c'è da sapere
X, la sua evoluzione attuale e tutto ciò che c’è da sapere

Utenti e abbonamenti

X mantiene una base utenti ampia ma la quota di abbonati paganti è molto limitata. La piattaforma conta oltre 580 milioni di utenti attivi mensili nel mondo.

In ogni caso, gli utenti abbonati ai servizi Premium (inclusi i livelli Premium e Premium+) rappresentano solo una piccolissima frazione. Si stima che gli abbonati a pagamento siano nell’ordine delle centinaia di migliaia – ad esempio circa 650.000 utenti a inizio 2025 – ossia meno dello 0,2% degli utilizzatori totali. Persino analisi più ottimistiche (TechCrunch/AppFigures, fine 2023) indicavano circa 1,3 milioni di abbonati, pari allo 0,3% degli utenti, confermando in ogni caso che meno di 1 utente su 100 paga per i servizi premium. Di conseguenza, oltre il 99% degli utenti di X utilizza solo la versione gratuita.

Nel tentativo di aumentare gli abbonamenti, X ha introdotto da fine 2023 tre livelli di abbonamento (Basic, Premium e Premium+) con prezzi crescenti (rispettivamente $3, $8 e $16 mensili all’esordio).

Solo gli ultimi due livelli includono la spunta blu di verifica e funzionalità avanzate. A dicembre 2024 X ha annunciato un forte rincaro dei prezzi del piano Premium+ (fino a +37% in alcune aree): ad esempio negli USA il costo è passato da $16 a $22 al mese, nell’UE da 16€ a 21€.

In Italia, dopo gli adeguamenti e le commissioni dei negozi mobile, Premium+ costa circa 46,36 € al mese via web e 58 € via mobile (abbonamenti tramite app hanno un sovrapprezzo). Il piano Premium base da $8 (9,76€ da web e 11€ da mobile) è rimasto invece invariato.

La maggior parte degli abbonati resta sul livello Premium standard, mentre solo una minoranza opta per il più costoso Premium+ (che offre zero pubblicità e funzioni extra). In sintesi, gli utenti paganti sono pochissimi rispetto al totale, anche se X sta cercando di aumentarne il numero offrendo più servizi esclusivi (e alzando i prezzi dei tier più alti).

X, la situazione economica

Dal punto di vista finanziario, X vive una fase delicata. Dopo l’acquisizione di Musk, il fatturato pubblicitario è crollato: a metà 2023 Musk ha rivelato un calo di quasi 50% dei ricavi pubblicitari rispetto al periodo pre-acquisizione​. Questo, unito agli ingenti debiti contratti per l’acquisto, ha mantenuto il flusso di cassa negativo nel 2023.

Twitter/X ha accumulato circa 13 miliardi di dollari di debito dall’operazione di leveraged buyout, con interessi annui stimati in 1,5 miliardi che rappresenta un peso notevole sui conti.)

Come noto, Musk ha tagliato drasticamente i costi (personale ridotto da ~7.500 a ~1.000 dipendenti, spese operative annuali tagliate da $4,5 mld a $1,5 mld​) ma non è bastato, ancora, a riportare subito l’azienda in utile.

Nel 2024 la nuova CEO Linda Yaccarino ha lavorato per riconquistare inserzionisti e stabilizzare i ricavi, con qualche segnale positivo ma risultati ancora inferiori al passato.

Ricavi e inserzionisti: secondo analisi di terze parti, nel 2024 X ha generato circa $1,4 miliardi di ricavi pubblicitari negli Stati Uniti, in calo del 28% rispetto ai quasi $2 miliardi del 2023​. A livello globale, si stima che il fatturato 2024 di X sia ben al di sotto dei circa $5 miliardi annui che Twitter realizzava prima di essere acquisito.

Nonostante il calo dei ricavi, il numero di inserzionisti attivi sulla piattaforma è addirittura aumentato: nel 2024 c’è stato un +15% di aziende che hanno investito in pubblicità su X rispetto all’anno precedente​. Questo dato suggerisce che, dopo l’esodo iniziale di molti grandi sponsor nel 2022, X ha attirato nuovi inserzionisti (spesso medio-piccoli) per rimpiazzarli​. Ad esempio, a fine 2024 ben 46 dei 100 top spender su X USA erano nuovi clienti che non investivano nel 2022​.

In ogni caso, questi nuovi inserzionisti spendono mediamente meno dei grandi brand che hanno abbandonato: la spesa media per inserzionista è scesa, frammentando di più gli introiti. Il principale inserzionista su X nel 2024 (il colosso e-commerce cinese Temu) ha rappresentato solo il 3% della spesa pubblicitaria totale USA, mentre in passato singoli grandi clienti (es. automobili, tech) coprivano quote maggiori.

Elon Musk Donald Trump Casa Bianca 2025
Elon Musk Donald Trump Casa Bianca 2025

In sintesi, X sta recuperando inserzionisti in numero, ma con budget medi più bassi, il che mantiene i ricavi pubblicitari sotto i livelli pre-Musk. Le aziende tradizionali restano caute: secondo stime Kantar, nel 2024 solo il 12% dei responsabili marketing globali si fidava delle ads su X, complice il timore per controversie e moderazione più blanda, e molte hanno ridotto la spesa.

A fronte di tutto questo, per compensare la debolezza dell’advertising, X sta puntando su nuove fonti di ricavo – abbonamenti (X Premium), dati e servizi finanziari – ma al momento la pubblicità rappresenta ancora circa 75% dei ricavi di X​.

Gli abbonamenti Premium hanno contribuito per decine di milioni di dollari nel 2023, una cifra piccola rispetto alle perdite di introiti pubblicitari. Nel complesso, gli osservatori stimano che X abbia chiuso il 2023 in forte perdita operativa.

Verso fine 2024, Musk ha sostenuto (citando dati interni) che la società stava migliorando la redditività (EBITDA adjusted) rispetto al periodo precedente​, grazie ai tagli di costi e alle nuove iniziative, ma senza fornire numeri precisi.

Va ricordato che X essendo una società privata non pubblica più bilanci ufficiali; le informazioni finanziarie trapelano solo tramite fonti secondarie o dichiarazioni dei vertici. Un indicatore del valore attuale percepito è dato da Fidelity (fondo investitore in X), che a dicembre 2023 ha svalutato la sua partecipazione in X di oltre il 60-70% rispetto al 2022​, segnalando aspettative di valore molto ridotte.

Ma non è tutto qui, perché la situazione di X cambia radicalmente a cavallo tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025. Poche settimane in cui si rende più chiara la nuova amministrazione Usa, in cui Musk gioca, e giocherà, un ruolo di primissimo livello.


 


X e le trattative per nuovi finanziamenti

Elon Musk è attualmente impegnato nel tentativo di rafforzare la posizione finanziaria di X cercando nuovi investitori. Secondo Bloomberg, nel febbraio 2025 X è in trattative per raccogliere capitali freschi proponendo una valutazione di circa 44 miliardi di dollari​, cioè la stessa cifra pagata da Musk per acquisire Twitter nell’ottobre 2022.

In pratica Musk punta a convincere nuovi partner a investire nella società senza sconti rispetto al prezzo originale di due anni fa. Si tratterebbe del primo round di finanziamento esterno da quando Musk ha preso il controllo di Twitter e l’ha portata fuori dalla Borsa​.

Le trattative però non sono scontate. Da un lato, alcuni investitori vedono del potenziale non sfruttato in X: la recente vicinanza di Musk alla politica statunitense (ad esempio il suo allineamento con il candidato repubblicano Elon Musk, e il ruolo di X come piattaforma favorevole a posizioni conservatrici) avrebbe migliorato la percezione di X presso certi finanziatori, che sperano Musk possa spingere gli interessi delle sue aziende con l’aiuto del nuovo clima politico​.

Questo “fattore Trump” ha generato un rinnovato ottimismo sulle prospettive di X, inducendo Musk a tentare la raccolta fondi proprio ora.

Collocazione del debito di X

Di recente, le banche finanziatrici dell’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk hanno venduto oltre 5,5 miliardi di dollari del debito legato a quell’operazione, liberandosi così di gran parte dell’esposizione.

In particolare, agli inizi di febbraio 2025 un consorzio guidato da Morgan Stanley ha collocato 5,5 miliardi di dollari in prestiti (parte dei 13 miliardi originari) presso investitori.

Questa tranche di debito (un prestito a termine garantito) è stata venduta al 97% del valore nominale, offrendo agli acquirenti un rendimento iniziale intorno all’11%​.

Il fatto che sia stato piazzato appena sotto la pari (90-95 centesimi attesi, ma chiuso a 97) indica che le banche sono riuscite a limitare le perdite e, anzi, “probabilmente a vendere in profitto” rispetto al valore di carico​. Tra gli acquirenti di questo debito figurano grandi investitori istituzionali come Pimco e Citadel, segno di un rinnovato interesse del mercato creditizio verso X.

Elon Musk Donald Trump
Elon Musk Donald Trump

A questi 5,5 miliardi si è aggiunta pochi giorni dopo la vendita di un’ulteriore tranche da 4,74 miliardi di prestiti garantiti con scadenza 2029, collocati al 100% del nominale e a tasso fisso (~9,5% di interesse)​. Dopo queste operazioni, alle banche rimane in bilancio solo una porzione residua di circa 1,3 miliardi in prestiti non garantiti, la cui futura collocazione è ancora incerta​.

Effetti sulla stabilità finanziaria di X

La riuscita collocazione del debito di X segnala un miglioramento della fiducia degli investitori nella solidità e nelle prospettive finanziarie dell’azienda. Inizialmente, le banche erano rimaste “incagliate” con quei prestiti per quasi due anni, poiché le drastiche scelte di Musk (licenziamenti massicci e un approccio permissivo alla moderazione dei contenuti) avevano spaventato gli inserzionisti e fatto calare i ricavi, aumentando il rischio di default e deprimendo il valore di mercato del debito (si parlava di offerte intorno al 60% del nominale a fine 2022)​.

La situazione è cambiata a fine 2024: l’elezione di Donald Trump e il nuovo ruolo di Musk nell’amministrazione hanno alimentato ottimismo sugli affari di X, tanto che i finanziatori si sono detti più fiduciosi di trovare compratori per il debito.

Come abbiamo visto in precedenza, il collocamento quasi integrale dei 13 miliardi di dollari (a prezzi vicini alla pari) riflette dunque una maggiore stabilità finanziaria percepita: X oggi viene considerata meno a rischio di insolvenza, grazie alle prospettive di ricavi in miglioramento e alla presenza di investitori disposti a scommettere sul suo rilancio​.

Va notato, nonostante tutto, che il costo del debito per X rimane molto elevato (si parla di cedole intorno al 9-11%), il che pesa sui conti aziendali.

In sintesi, la vendita del debito ha alleggerito le banche da un fardello rischioso e rappresenta un voto di fiducia del mercato verso X, pur lasciando l’azienda con oneri finanziari significativi.

X e l’impatto di Grok 3 sulla piattaforma

Una delle mosse strategiche di Musk per rilanciare X è l’integrazione dell’intelligenza artificiale all’interno della piattaforma, tramite il chatbot Grok sviluppato dalla sua startup xAI.

Grok 3 è l’ultima versione di questo modello di AI generativa (LLM) e rappresenta il tentativo di Musk di competere direttamente con chatbot come ChatGPT di OpenAI, Claude di Anthropic e Gemini di Google.

Durante la presentazione di qualche giorno fa, Musk ha definito Grok-3 “l’AI più intelligente della Terra”, sostenendo che supera i modelli rivali (GPT-4, Google Gemini, DeepSeek V3, ecc.) in vari benchmark matematici, scientifici e di codifica​.

Il modello Grok 3 vanta una capacità computazionale oltre 10 volte superiore al suo predecessore e introduce nuove funzionalità di “ragionamento” avanzato.

Ad esempio, è stato presentato un motore di ricerca interno chiamato DeepSearch, che consente al bot di analizzare in profondità le domande e cercare informazioni mirate prima di fornire la risposta​.

L’obiettivo di Musk è posizionare Grok come un’alternativa potente e “estremamente veritiera, utile e curiosa” (queste le parole chiave di xAI) ai chatbot esistenti​, integrandolo nell’ecosistema X per differenziarlo dagli altri social network.

In pratica, X sta diventando anche una piattaforma di AI conversazionale, sfruttando Grok come valore aggiunto esclusivo per i suoi utenti paganti.

Integrazione su X e lancio app stand-alone

Grok 3 è stato inizialmente reso disponibile all’interno di X per gli utenti Premium+. A partire da novembre 2023 (con Grok 1 e 2 in beta) fino a febbraio 2025 (Grok 3), gli abbonati Premium+ su X hanno accesso anticipato al chatbot avanzato direttamente dall’app X​. Va detto che una versione beta è disponibile anche per gli utenti non abbonati.

Contestualmente, xAI ha deciso di espandere la portata di Grok lanciandolo anche come applicazione stand-alone separata da X. Da qualche giorno è stata rilasciata la app mobile di Grok per iPhone (iOS) su App Store, inizialmente in beta chiusa e poi aperta al pubblico​.

L’app consente di utilizzare Grok anche a chi non è su X, tramite un abbonamento dedicato chiamato SuperGrok. Elon Musk ha annunciato che Grok sarà presto disponibile anche come app autonoma per macOS e Windows (per desktop)​.

Al momento, la versione Android dell’app è in pre-registrazione (con coming soon sul Play Store)​. Va notato che, per questioni normative (GDPR), l’app di Grok non è ancora utilizzabile in Europa.

xAI sta adeguando le policy privacy prima di lanciarla nell’UE​. In Italia, ad esempio, l’app di Grok 3 non è disponibile, sebbene sia possibile pre-registrarsi sugli store per essere avvisati quando sarà accessibile​.

Questa strategia multi-piattaforma (integrazione su X + app dedicate) indica la volontà di Musk di fare di Grok un prodotto a sé stante oltre che un servizio per arricchire X.

Elon Musk presentazione Grok 3
Elon Musk presentazione Grok 3

Impatto economico e modello di business

L’introduzione di Grok 3 su X potrebbe avere implicazioni economiche di rilievo. Innanzitutto, Grok funge da leva per aumentare il valore degli abbonamenti Premium+. L’accesso completo alle funzionalità avanzate di Grok 3 (risposte più approfondite, modalità “Think” e “DeepSearch”, utilizzo illimitato, modalità voce in arrivo, ecc.) è riservato agli utenti Premium+ (il livello più alto di X)​.

Questo significa che per sfruttare appieno l’AI di Musk all’interno di X, un utente deve sottoscrivere l’abbonamento più costoso.

Non a caso, l’aumento di prezzo di Premium+  è stato giustificato da X proprio con “la necessità di finanziare nuovi servizi per gli abbonati Premium+ e rendere il tier completamente senza pubblicità” – e tra questi nuovi servizi rientra evidentemente Grok.

Attualmente, un abbonamento Premium+ dà diritto all’uso illimitato di Grok su X senza costi aggiuntivi, mentre gli utenti gratuiti di X hanno accesso solo a Grok 2 (versione precedente) o a funzionalità limitate.

In parallelo, xAI ha lanciato il piano SuperGrok (separato da X) al costo di circa $30 al mese​ per chi desidera utilizzare Grok 3 tramite l’app stand-alone senza passare da X.

Dunque, Grok apre una nuova linea di ricavi per l’ecosistema di Musk: sia direttamente (abbonamenti all’app Grok per non-utenti X), sia indirettamente (maggiore attrattiva del piano Premium+ di X).

Nel breve termine, Musk sta promuovendo aggressivamente Grok 3 per stimolare l’adozione. Sempre qualche giorno fa, xAI ha annunciato che Grok 3 è disponibile gratuitamente per tutti, “per un breve periodo”​.

Ciò significa che, per qualche settimana, anche gli utenti non abbonati possono provare la versione più avanzata dell’AI sia su X (selezionandola nel menu del chatbot) sia scaricando l’app dedicata, senza pagare.

Si tratta evidentemente di una mossa promozionale temporanea per far conoscere le capacità del chatbot e invogliare poi gli utenti a pagare per continuare ad usarlo. Terminata la promozione, solo i clienti paganti avranno pieno accesso: come ribadito da Musk, gli abbonati X Premium+ (46€ al mese da web e 58€ da mobile) o i sottoscrittori di SuperGrok (30$/mese) godranno di “accesso aumentato” a tutte le feature di Grok 3, comprese quelle future come la modalità voce​.

Dunque l’impatto economico atteso dall’introduzione di Grok 3 è di rafforzare gli introiti ricorrenti di X: spingendo più utenti a fare l’upgrade a Premium+ nonostante il prezzo elevato (in virtù dell’AI esclusiva), e aprendo al contempo un flusso di entrate aggiuntivo tramite gli abbonamenti standalone all’AI per utenti esterni al social.

I primi effetti già si vedono: grazie anche a funzioni come Grok, le entrate da abbonamenti mobile di X nel 2024 sono più che raddoppiate (+128%) rispetto al 2023​.

L’AI generativa è un tema caldo e molti utenti curiosi hanno pagato per provarla: l’offerta di nuovi tier (Basic/Premium+) e l’integrazione di Grok hanno reso l’abbonamento a X più attraente per chi cercava un’alternativa a ChatGPT, contribuendo a far salire i ricavi da utenti paganti.

In prospettiva, se Grok 3 dovesse affermarsi come tecnologia valida, X potrebbe ritagliarsi un posizionamento nel mercato: non più solo social network, ma piattaforma ibrida social+AI.

Ciò potrebbe attirare una nuova categoria di utenti e inserzionisti interessati all’intelligenza artificiale, oltre a giustificare prezzi premium per gli abbonati.

Ovviamente resta da vedere se la qualità di Grok sarà all’altezza dei concorrenti e se gli utenti saranno disposti a pagare cifre elevate (oltre 500€ l’anno) per queste funzionalità. Per ora, Musk sta investendo su Grok come asso nella manica per dare a X un vantaggio competitivo e una nuova fonte di reddito.

Se l’operazione dovesse avere successo, l’impatto economico potrebbe manifestarsi rilevante. Più abbonamenti Premium+ (quindi entrate stabili mensili maggiori) e una diversificazione del business di X oltre la sola pubblicità.

In caso contrario, rimarranno i costi di sviluppo dell’AI e il rischio che gli utenti continuino a preferire le alternative gratuite o più popolari (come ChatGPT). In sintesi, Grok 3 è sia un fattore di innovazione che una scommessa economica per X: nel breve termine sta aiutando a giustificare aumenti di prezzo e a spingere nuovi abbonamenti, mentre nel lungo termine punta a trasformare X in una piattaforma social/AI integrata, con benefici finanziari se il numero di utenti paganti dovesse crescere di conseguenza​.

Elon Musk CPAC 2025
Elon Musk CPAC 2025

Ritorno degli inserzionisti su X

Gli inserzionisti stanno davvero ritornando su X?

Dopo l’ondata di abbandoni pubblicitari seguita all’acquisizione di Musk, si osservano segnali di ritorno dei grandi brand su X.

Ad esempio, Amazon ha ripreso a investire in pubblicità sulla piattaforma: a gennaio 2025 il colosso e-commerce ha notevolmente aumentato il budget pubblicitario su X, dopo averlo ridotto al minimo per oltre un anno a causa di timori legati ai discorsi d’odio​.

Anche Apple, che nel 2023 aveva sospeso completamente le proprie campagne su Twitter/X, sta ora valutando un rientro: la società di Cupertino è in trattative per sperimentare nuovamente inserzioni sulla piattaforma​.

In generale, diverse aziende tecnologiche, media e agenzie che avevano sospeso la pubblicità (in seguito a episodi controversi, come l’endorsement di Musk a un post antisemita nel 2023) stanno riavviando le campagne.

Tra i grandi marchi dell’intrattenimento, Disney – assieme ad altri come IBM, Comcast, Warner Bros. Discovery e Lionsgate – ha ripreso gli investimenti pubblicitari su X dopo circa un anno di boicottaggio​.

Secondo diverse fonti, Disney e e le altre aziende hanno gradualmente riallocato budget su X verso la fine del 2024, in quello che viene visto come un “ritorno cauto” sulla piattaforma.

Lo stesso Elon Musk ha confermato e accolto con favore questo trend: a novembre 2024 ha dichiarato di “apprezzare enormemente” il ritorno dei grandi brand e ha ringraziato la CEO di X Linda Yaccarino e il suo team per aver ricostruito la fiducia e assicurato che la pubblicità venga mostrata in contesti sicuri per i marchi​.

Andamento degli investimenti pubblicitari

Nonostante alcuni segnali positivi, il quadro generale degli introiti pubblicitari di X rimane complesso e in evoluzione. La fuga iniziale degli inserzionisti dopo l’ottobre 2022 ha causato un crollo significativo delle entrate: ogni mese del 2023 la piattaforma ha registrato incassi pubblicitari in USA inferiori di oltre il 55% rispetto all’anno precedente​. Musk stesso ha ammesso che un boicottaggio protratto degli advertiser avrebbe potuto portare X alla bancarotta, evidenziando quanto fosse critica la situazione.

Nel corso del 2024 la tendenza sembra essersi parzialmente invertita: nuove aziende hanno iniziato a comprare spazi su X e alcune grandi imprese sono tornate, contribuendo ad ampliare la base di inserzionisti.

Un’analisi di Sensor Tower rivela che nel gennaio 2025 ben 46 dei 100 maggiori spender pubblicitari su X negli Stati Uniti erano marchi che non investivano affatto nel 2022, segno che la piattaforma sta attirando nuovi clienti pubblicitari per rimpiazzare (in parte) quelli persi​.

Molti di questi nuovi inserzionisti appartengono a settori come l’e-commerce (ad esempio la già citata cinese Temu, risultata il primo advertiser nel 2024 con il 3% della spesa totale USA) o i servizi finanziari e di intrattenimento digitale (es. Robinhood, DraftKings, NFL, ecc.)​. Amazon stessa è rientrata nella top 10 degli investitori pubblicitari su X a inizio 2025​, evidenziando come alcuni grandi spender storici stiano riaprendo i rubinetti.

Va detto, dal punto di vista dei ricavi totali, la ripresa è ancora parziale: stime indipendenti indicano che X ha chiuso il 2024 con circa 1,4 miliardi di dollari di ricavi pubblicitari negli USA, in calo di circa 28% rispetto al 2023​ (anno che a sua volta aveva già visto un forte declino rispetto all’era pre-Musk).

In breve, X è riuscita a diversificare gli inserzionisti (più account attivi, +15% nel 2024 rispetto all’anno precedente​), ma gli importi medi per inserzionista sono più bassi – complici budget ridotti e prezzi scontati – e il volume d’affari complessivo rimane distante dai livelli pre-acquisizione.

Fiducia del mercato nei confronti di X

La percezione di brand safety e affidabilità della piattaforma da parte degli inserzionisti sta migliorando solo gradualmente ed esistono ancora timori evidenti.

Da un lato, il ritorno di aziende del calibro di Disney, Amazon, Apple e altri suggerisce una rinnovata fiducia di alcuni grandi adv spender, favorita anche dagli sforzi di X nel garantire maggiore controllo sui contenuti accanto ai quali compaiono gli annunci (come testimoniato dall’attenzione pubblicamente espressa da Musk per “assicurarsi che la pubblicità appaia solo dove i brand lo desiderano”​).

Inoltre l’ascesa politica di Musk e la vittoria di Trump hanno creato un clima percepito come più favorevole da determinati inserzionisti: alcuni nuovi inserzionisti potrebbero essersi avvicinati alla piattaforma proprio in seguito a questi eventi​.

Dall’altro lato, molti marketer restano cauti.

In sintesi, il mercato pubblicitario sta dando a X segnali da decifrare: da un lato riconosce i progressi (con un lento ritorno dei budget e nuovi attori interessati), dall’altro continua a monitorare con prudenza l’evoluzione delle politiche di contenuto e l’atmosfera sul social, prima di impegnare risorse paragonabili a quelle di un tempo.

Ruolo politico di Elon Musk e impatto su X

All’indomani delle elezioni USA del 2024 Elon Musk ha assunto un ruolo ufficiale nell’amministrazione Trump, venendo incaricato di guidare il nuovo Dipartimento dell’Efficienza Governativa (in inglese Department of Government Efficiency).

Questo organismo – creato dal Presidente Donald Trump nel quadro delle sue iniziative di governo – ha la missione dichiarata di eliminare gli sprechi e ottimizzare la spesa federale, con l’obiettivo ambizioso di tagliare 2 trilioni di dollari dal bilancio pubblico​.

Musk, in qualità di capo di questo dipartimento (soprannominato con ironia “DOGE” dall’acronimo inglese), è diventato a tutti gli effetti un consigliere influente della Casa Bianca e uno degli uomini chiave del nuovo esecutivo Trump​.

Si tratta di un fatto senza precedenti: un imprenditore tecnologico ai vertici di un’iniziativa governativa di questa portata. La nomina riflette la reciproca stima tra Trump e Musk – Trump beneficia dell’immagine di innovatore e “tagliatore di costi” di Musk, mentre Musk ottiene un ruolo istituzionale di alto profilo – e segnala una stretta vicinanza politica tra i due.

Secondo osservatori finanziari, l'”ascesa politica” di Musk a braccio destro del Presidente ha avuto ricadute positive sulle aspettative per X: molti investitori hanno interpretato questa alleanza come un segnale che X potrebbe trarre vantaggi (in termini di traffico utente e allentamento delle pressioni normative), contribuendo a migliorare i ricavi della piattaforma​.

Musk, DOGE e il rapporto coi brand

La situazione attuale mostra che i brand potrebbero iniziare a percepire un ambiente più stabile o propizio – forse perché vedono Musk più responsabilizzato e impegnato ad evitare ulteriori controversie che potrebbero riflettersi negativamente sul suo ruolo pubblico.

Non a caso, Musk negli ultimi tempi è apparso più attento alle istanze degli inserzionisti: ad esempio ha lodato pubblicamente il lavoro di Linda Yaccarino nel ricostruire relazioni di fiducia e nel garantire maggior controllo sulla posizione degli annunci, ringraziando “il team per aver fatto in modo che i contenuti pubblicitari compaiano solo dove gli inserzionisti vogliono”​.

Ma questa linea collaborativa indica che Musk – pur rimanendo un sostenitore della “libertà di parola” a suo modo – riconosce l’esigenza di compromessi operativi (come strumenti di brand safety e dialogo con gli advertiser) per mantenere vivi i ricavi pubblicitari.

In altre parole, il suo nuovo ruolo istituzionale dovrebbe averlo spinto a moderare certe posizioni e a sostenere politiche più vicine alle aspettative dei grandi sponsor, nell’interesse di salvaguardare la salute finanziaria di X.

Anche se, a ben veder alcune uscite recenti (specie quelle legate al sostegno di AfD in Germania e la continua denigrazione della stampa), tutto questo rischia di essere solo un miraggio.

Va considerato che l’associazione stretta tra X, Musk e l’amministrazione Trump potrebbe rappresentare un’arma a doppio taglio nelle relazioni con alcuni brand.

La piattaforma rischia di essere percepita come politicizzata o schierata, il che potrebbe alienare inserzionisti più attenti a mantenere neutralità (soprattutto quelli i cui valori o pubblico mal tollererebbero un legame con ambienti trumpiani).

Alcune aziende potrebbero temere che eventuali politiche o dichiarazioni controverse di Musk in ambito politico si riflettano negativamente sull’ecosistema di X, riaccendendo preoccupazioni di brand safety.

Un esempio pre-nomina fu l’episodio in cui Musk attaccò pubblicamente gli inserzionisti “in fuga”, dicendo loro di *“andare a farsi ***, gesto che destò scalpore​.  ragionevole aspettarsi che, con le nuove responsabilità governative, Musk eviterà uscite simili che metterebbero in imbarazzo sia X che l’amministrazione.

Finora, l’effetto della nomina sembra positivo sulle relazioni aziendali: la leadership di Yaccarino e l’attenzione di Musk a non compromettere il rapporto con gli sponsor hanno portato a un cauto ritorno di investimenti pubblicitari su X. I grandi brand stanno osservando se questa nuova fase “istituzionale” di Musk si tradurrà in maggiore stabilità e sostenibilità nella gestione di X.

In definitiva, se Musk riuscirà a bilanciare il ruolo politico con quello imprenditoriale, mantenendo un clima più consono ai grandi investitori pubblicitari, X potrebbe continuare a riconquistare quote del mercato adv.

Diversamente, eventuali derive polemiche o politiche potrebbero di nuovo incrinare la fiducia – forse – recuperata.

La situazione attuale vede Musk utilizzare la sua influenza politica per rilanciare X (ad esempio riportando sulla piattaforma figure e pubblico vicini all’amministrazione Trump, con benefici in termini di traffico e coinvolgimento)​, e questo appare ormai evidente.

Le prossime mosse di Musk – sia sul palco politico che su quello dei social media – saranno determinanti per capire se i grandi brand continueranno a investire su X con convinzione o se rimarranno sulla soglia, pronti a correggere il tiro al primo segnale di incertezza.


Elenco delle fonti consultate, la sitografia:

Vendita del debito di X


Situazione finanziaria di X e andamento degli inserzionisti


Ritorno degli inserzionisti su X


Ruolo politico di Elon Musk nell’amministrazione Trump e impatto su X


Posizionamento e impatto economico di Grok 3


Prezzi e strategie di abbonamento di X Premium e Premium+


[L’immagine di copertina è stata realizzata da Franz Russo usando il modello di IA generativa Grok 3]

 

 

Come funzionano le Community Notes di Meta

Come funzionano le Community Notes di Meta

Meta annuncia l’arrivo delle Community Notes su Facebook, Instagram e Threads. Gli utenti potranno aggiungere note ai post per contestualizzarli, con regole precise. Funzionerà meglio del fact-checking?

In un post su Threads, Meta ha ufficialmente annunciato l’arrivo delle Community Notes su Facebook, Instagram e Threads.

Come ricorderete, l’annuncio fu fatto da Mark Zuckerberg qualche settimana fa, introducendo il sistema che sposta la responsabilità della verifica delle informazioni direttamente nelle mani degli utenti.

Questo segna la fine del tradizionale fact-checking gestito da organizzazioni indipendenti e porta con sé importanti implicazioni per l’informazione online.

Ma come funziona esattamente questo nuovo meccanismo e quali sono i rischi e le opportunità?

Come funzionane le Community Notes di Meta

Fino ad oggi, il fact-checking sulle piattaforme Meta avveniva attraverso una rete di verificatori indipendenti, che esaminavano post segnalati e decidevano se fossero fuorvianti o falsi. Applicando eventualmente avvisi di contesto o limitandone la diffusione.

Con le Community Notes, invece, tutto cambia. Il processo è decentralizzato, infatti saranno gli stessi utenti a proporre chiarimenti sui post e a determinarne l’affidabilità.

Come funzionano le Community Notes di Meta
Come funzionano le Community Notes di Meta

Ma non tutti possono partecipare. Meta ha previsto specifici requisiti per diventare contributor alle Community Notes. È necessario: avere un account attivo da un certo periodo; rispettare le linee guida della piattaforma; mantenere un comportamento corretto.

Inoltre, ogni nota proposta è valutata attraverso un sistema di consenso che richiede l’approvazione di utenti con visioni diverse per evitare manipolazioni.

Un modello ispirato alle Community Notes di X

Se questo sistema vi suona familiare, non è un caso. Si tratta di un modello già implementato da X, la piattaforma di Elon Musk. Da tempo X ha abbandonato il fact-checking tradizionale a favore di un meccanismo di verifica basato sulla comunità.

E proprio X ha mostrato i limiti di questo approccio, con note che a volte rafforzano la disinformazione invece di contrastarla o che sono influenzate da gruppi organizzati.



Quali sono i rischi di questo sistema

La libertà di espressione è un valore fondamentale, ma lasciare la verifica dei fatti solo nelle mani degli utenti può aprire la strada a nuove forme di manipolazione.

Uno dei principali rischi è che le Community Notes siano poi usate per screditare fonti scomode o rafforzare narrazioni distorte, soprattutto se gruppi di utenti coordinati riuscissero a influenzarne il processo di approvazione.

C’è poi il problema della competenza. Ci si chiede infatti se gli utenti di Facebook, Instagram e Threads siano in grado di distinguere tra una fonte attendibile e una meno affidabile. Problema che tocca tutte le piattaforme digitali del resto.

O, forse, con questo sistema rischiamo di assistere a un sovraccarico di informazioni fuorvianti mascherate da ‘correzioni’ di contesto.

L’algoritmo del proprietario e la nuova direzione delle piattaforme

Il lancio delle Community Notes si inserisce in un quadro più ampio di trasformazione delle piattaforme social.

Una trasformazione in atto che ho cercato di sintetizzare con l’espressione “algoritmo del proprietario”.

Come abbiamo già discusso in altre occasioni, siamo sempre più di fronte a una dinamica in cui le regole del gioco vengono definite dagli interessi dei proprietari, con cambiamenti che riflettono la loro visione piuttosto che una strategia condivisa per migliorare la qualità dell’informazione online.

Se da una parte questo modello punta a dare maggiore autonomia alla community, dall’altra pone interrogativi su come verrà gestita l’informazione in futuro e su quanto i social media vogliano davvero assumersi la responsabilità della lotta alla disinformazione.


[L’immagine di copertina e tutte quelle che accompagno le condivisioni sui canali social sono state realizzate da Franz Russo attraverso il modello di IA Generativa Dall-E 3]

 

Dai social media tradizionali alla sfida dei prosocial

Dai social media tradizionali alla sfida dei prosocial

Nel 2025 i social media assorbono ancora oltre 2 ore al giorno del nostro tempo, guidati dagli algoritmi del proprietario. Ma esiste un’alternativa: la sfida dei prosocial, piattaforme che puntano su dialogo sano e comunità autentiche.

Nel 2025 il nostro rapporto con i social media si fa sempre più complesso. Le piattaforme continuano a dominare il nostro tempo e a influenzare profondamente il modo in cui ci informiamo, interagiamo e, in ultima analisi, viviamo la nostra quotidianità digitale. Ma qualcosa sta cambiando.

I dati ci raccontano un fenomeno che ormai non possiamo più ignorare: il tempo che trascorriamo online è diventato la risorsa più preziosa, ma al contempo cresce la consapevolezza degli effetti negativi di questo modello.

E così emergono nuove piattaforme che provano a rispondere a queste criticità, dando vita a quello che potremmo definire il fenomeno dei prosocial media.

I dati rilevanti di We Are Social sui social media

Partiamo dai numeri più aggiornati. Il recente report “Digital 2025” di We Are Social, realizzato insieme a Meltwater, offre come sempre uno sguardo dettagliato sul panorama digitale globale e locale. A livello mondiale, il numero di utenti attivi sui social media ha raggiunto i 5,24 miliardi, con un incremento del 4,1% rispetto all’anno precedente. Parliamo del 63% della popolazione globale. Ma è il tempo che passiamo online a colpire: in media, le persone trascorrono 2 ore e 21 minuti al giorno sui social.

In Italia, la situazione non è molto diversa. Gli utenti attivi sono oltre 43 milioni, pari al 71% della popolazione (dati 2024, in attesa di quelli del 2025). Il tempo di utilizzo medio è inferiore alla media globale: 1 ora e 55 minuti al giorno. Le piattaforme più utilizzate restano WhatsApp, Facebook, Instagram e TikTok, con quest’ultima che continua ad attirare soprattutto i più giovani.

Questo tempo speso sulle piattaforme non è neutro. È il risultato di strategie precise da parte dei social network, progettati per massimizzare il nostro tempo di permanenza attraverso algoritmi che selezionano i contenuti più capaci di generare reazioni e interazioni.

Dai social media tradizionali alla sfida dei prosocial
Dai social media tradizionali alla sfida dei prosocial

Algoritmo del proprietario e SNARF

È quello che ho già definito di recente come l’algoritmo del proprietario, ovvero quel meccanismo che non ci mostra ciò che realmente ci interessa, ma quello che più conviene ai proprietari delle piattaforme.

E su questo si innesta la logica SNARF: un circolo vizioso che ingabbia l’utente sulle piattaforme e lo spinge a reazioni sempre più emotive.

Di fronte a questa dinamica, sempre più persone iniziano a chiedersi se esista un’alternativa.

E una risposta potrebbe essere rappresentata dai cosiddetti prosocial media.

Cosa si intende per piattaforme prosocial media

Il termine non è solo un’etichetta per nuove piattaforme emergenti, ma è parte di una riflessione più profonda, teorica e pratica, che punta a ridefinire il modo in cui le piattaforme social vengono progettate e utilizzate.

La definizione è stata elaborata in un paper accademico pubblicato nel febbraio 2025 da Divya Siddarth, Audrey Tang e Glen Weyl, dal titolo “Prosocial Media”.

Secondo gli autori, i prosocial media rappresentano piattaforme pensate per promuovere il benessere sociale, la fiducia tra gli utenti e la coesione delle comunità, anziché basarsi esclusivamente sull’engagement come strumento di monetizzazione.


Ascolta su YouTube


I pilastri dei prosocial

Il paper identifica tre pilastri fondamentali per un social media prosociale:

    1. Trasparenza e fiducia: le piattaforme devono essere trasparenti riguardo al funzionamento degli algoritmi e ai modelli di business adottati.
    2. Controllo agli utenti: gli utenti devono avere la possibilità di decidere quali contenuti vedere e come personalizzare la propria esperienza online.
    3. Promozione del benessere: i contenuti e le interazioni devono essere orientati a migliorare la qualità delle conversazioni e il benessere delle comunità, riducendo il peso delle dinamiche di polarizzazione e disinformazione.

Questo approccio teorico è stato sintetizzato in un articolo pubblicato su Wired da Audrey Tang, dal titolo “Embrace the Shift to ‘Prosocial Media’”, che ha contribuito a portare il dibattito su questi temi a un pubblico più ampio.

Ora, a partire da questa cornice concettuale, alcune piattaforme stanno cercando di sperimentare modelli più vicini ai principi prosociali.

WeAre8

Un esempio può essere è WeAre8, una piattaforma che elimina gli algoritmi tradizionali e condivide il 60% dei ricavi pubblicitari con gli utenti. Il suo obiettivo è creare un ambiente positivo, dove la monetizzazione non sia più legata al tempo speso online, ma a un utilizzo più consapevole. La piattaforma punta a raggiungere 100 milioni di utenti entro il 2025.

Bluesky

Un altro caso, sebbene con caratteristiche diverse, è Bluesky, la piattaforma decentralizzata che ha superato i 30 milioni di utenti a inizio 2025. Pur non essendo propriamente prosocial, Bluesky si inserisce in questa spinta verso una maggiore autonomia e trasparenza, offrendo agli utenti più controllo sui contenuti.

Queste nuove realtà, insieme a quelle che già si basano sul senso di community, non rappresentano ancora una soluzione definitiva. Ma si pone una questione fondamentale. Quale futuro attenderà le piattaforme social media? Possiamo costruire spazi digitali che favoriscano il dialogo sano e il benessere delle persone? È possibile che l’utente torni ad essere in grado di controllare meglio la propria esperienza digitale?

Ecco, la risposta a queste domande, secondo gli autori della ricerca, potrebbe essere data appunto dalle piattaforme prosocial.

A noi non resta che verificare l’evoluzione degli eventi. Perché potrebbe anche essere che queste piattaforme si trasformino in rifugi, isole digitali. E che costringeranno gli utenti ancora alla ricerca di nuove alternative.

[L’immagine di copertina, così come quelle che accompagnano la condivisione dell’articolo sui social, è realizzata da Franz Russo con il modello di IA Generativa Dall-E 3]

 

Fast Information, come contrastare l’informazione superficiale

Fast Information, come contrastare l’informazione superficiale

La Fast Information, spinta dagli algoritmi delle piattaforme e dalla ricerca di like, alimenta superficialità, disinformazione e polarizzazione. Per contrastarla, serve prendersi il tempo per capire, recuperare spirito critico e responsabilità.

Viviamo immersi in un flusso costante di informazioni. Ogni giorno, ogni ora, veniamo bombardati da titoli, notifiche, post e aggiornamenti che si susseguono senza sosta.

Eppure, è ormai chiaro che ci stiamo abituando a quella che potremmo definire Fast Information. Un’informazione veloce, superficiale, confezionata più per raccogliere like e approvazione immediata che per aiutarci davvero a comprendere il mondo che ci circonda.

Basta aprire i social per accorgersene. Fatelo adesso, in questo preciso istante.

Cosa si intende per Fast Information

Titoli ad effetto, frasi secche, giudizi netti, spesso accompagnati da toni perentori o indignati. Si innesca così una reazione a catena: chi legge viene spinto a rispondere di pancia, senza avere il tempo di approfondire, e chi scrive rincorre sempre più la sintesi e il clamore per alimentare il ciclo delle interazioni. Questo meccanismo diventa rapidamente il carburante di quella che possiamo chiamare superficialità informativa.

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti e si sviluppano su più livelli.

Fast Information, come contrastare l’informazione superficiale
Fast Information, come contrastare l’informazione superficiale

Quali rischi corriamo 

Disinformazione

Il primo rischio è la disinformazione. Notizie sbagliate, parziali o manipolate trovano spazio con facilità e diventano virali prima ancora che sia possibile verificarle. La velocità, che in teoria dovrebbe essere un valore aggiunto, diventa così un ostacolo alla verità.

Polarizzazione

Il secondo rischio è la polarizzazione. Tutto si riduce a una battaglia tra opposti: bianco o nero, amico o nemico. Non c’è più spazio per il dubbio, per il confronto civile, per la complessità. Le sfumature spariscono e con esse anche la capacità di dialogare con chi la pensa diversamente.

Perdita del pensiero critico

Infine, la perdita della capacità critica. La fretta e il bisogno di approvazione soffocano l’abitudine a fermarsi, ragionare, verificare. Il dubbio, che dovrebbe essere il motore di ogni conoscenza, viene sostituito da certezze assolute costruite spesso sul nulla. E così, ci si ritrova a credere a tutto, o peggio, a non credere più a nulla.

Dentro questo quadro, c’è un ulteriore elemento che merita attenzione. Ed è il ruolo di chi si erge a paladino dell’informazione alternativa. Una funzione che, se esercitata con responsabilità, costituirebbe davvero un valore prezioso.

Ma troppo spesso questa etichetta diventa uno scudo per legittimare pressapochismo e arroganza. Pur di sembrare controcorrente, si alimentano tifoserie, si screditano realtà e marchi senza basi solide, si preferisce colpire piuttosto che spiegare.

L’approfondimento viene sostituito con slogan

L’approfondimento lascia il posto agli slogan, la verifica cede il passo alla provocazione.

Ma questa rincorsa alla superficialità non è frutto del caso. È spesso una conseguenza diretta di ciò che i social media ci mostrano. Le piattaforme non sono neutre.

Gli algoritmi che decidono quali contenuti farci vedere sono sempre più spesso modellati dagli interessi e dalle visioni di chi possiede quelle piattaforme.

L’algoritmo del proprietario

È quello che che ho già definito come l’algoritmo del proprietario. Vale a dire, un sistema che non premia più necessariamente ciò che è rilevante per noi, ma ciò che è utile a chi detiene il controllo della piattaforma.



E così, ad essere favoriti, sono i contenuti che generano più reazioni immediate, spesso polarizzanti, perché alimentano discussioni, scontri, e mantengono gli utenti incollati allo schermo.

La logica SNARF dei social media

Dentro questa logica, prende forma un altro fenomeno: la cosiddetta SNARFizzazione. Scrolliamo velocemente, siamo attratti solo da ciò che colpisce al primo sguardo, reagiamo senza approfondire.

SNARF è l’acronimo di

  • Stakes (posta in gioco)
  • Novelty (novità)
  • Anger (rabbia)
  • Retention (intrattenimento)
  • Fear (paura).

Si tratta di un comportamento istintivo, automatico, che ci porta a consumare contenuti in modo superficiale, senza esercitare quello spirito critico che invece sarebbe indispensabile.

L’informazione non è più qualcosa che cerchiamo per capire, ma qualcosa che subiamo.

Informazione sempre più superficiale

Il risultato è che l’informazione diventa sempre più rapida e superficiale, e noi ci trasformiamo in consumatori compulsivi di titoli, anteprime, notifiche. Ci illudiamo di essere sempre informati, mentre in realtà ci allontaniamo sempre più dalla comprensione profonda di ciò che accade intorno a noi.

Eppure, la soluzione non richiede formule straordinarie. L’unica strada percorribile, oggi più che mai, è tornare a prendersi il tempo per capire. Non fermarsi ai titoli, non farsi travolgere dalle emozioni del momento, non dare subito ragione a chi urla più forte.

Pretendere informazioni complete, ragionare sulle fonti, essere curiosi, ma anche prudenti. Perché informare e informarsi significa essere responsabili. Verso chi ci legge e ci ascolta, ma soprattutto verso noi stessi.

Ed è proprio in questa responsabilità che si gioca la qualità del nostro vivere digitale.

[L’immagine di copertina e quella che accompagna le condivisioni sui social media è stata realizzata da Franz Russo utilizzando il modello di IA Generativa Imagen 3 di Gemini]

Algoritmo del proprietario e SNARF: la via di BuzzFeed per i social media

Algoritmo del proprietario e SNARF: la via di BuzzFeed per i social media

BuzzFeed lancia l’idea di una nuova piattaforma social contro i modelli dominati dall’algoritmo del proprietario e dalla logica SNARF. Ma davvero è possibile una via alternativa che utilizzi la IA per alimentare creatività e connessioni autentiche?

Negli ultimi anni, il mondo dei social media è cambiato profondamente. Se inizialmente piattaforme come Facebook e Twitter nascevano per connettere le persone, oggi l’esperienza dell’utente è dominata da sistemi algoritmici che decidono cosa vedere e quanto tempo rimanere sulle piattaforme.

Il cuore di questa trasformazione è l’intelligenza artificiale, che governa i feed personalizzando i contenuti, ma spesso con l’obiettivo primario di trattenere l’utente il più a lungo possibile. Questo processo, apparentemente neutrale, nasconde in realtà una dinamica più complessa che ho definito “algoritmo del proprietario”.

Algoritmo del proprietario e SNARF: la via di BuzzFeed per i social media
Algoritmo del proprietario e SNARF: la via di BuzzFeed per i social media

Cosa si intende per Algoritmo del Proprietario

L’algoritmo del proprietario non lavora più per mostrare all’utente ciò che davvero gli interessa. Adesso è impostato per favorire i contenuti che meglio rispondono agli obiettivi strategici della piattaforma e, quindi, dei suoi proprietari.

Che si tratti di trattenere il pubblico sulla piattaforma, di penalizzare i link esterni o di spingere temi più polarizzanti, l’utente non è più al centro delle decisioni.

La proposta dei contenuti da seguire è nelle mani dei gestori della piattaforma, e l’algoritmo diventa lo strumento attraverso cui orientare e condizionare il comportamento delle persone.

Cos’è SNARF

A questo si aggiunge un ulteriore livello di sofisticazione, emerso recentemente e sintetizzato dal CEO di BuzzFeed, Jonah Peretti, con il termine SNARF.

L’acronimo, poco conosciuto in Italia, sta per:

  • Stakes (posta in gioco)
  • Novelty (novità)
  • Anger (rabbia)
  • Retention (trattenimento)
  • Fear (paura).

È la formula perfetta per creare dipendenza: contenuti che stimolano reazioni forti, senso di urgenza, indignazione, paura, e che spingono l’utente a restare il più a lungo possibile.

Cosa si intende per SNARF
SNARF

Un sistema che alimenta il cosiddetto doomscrolling, quella pratica ormai quotidiana di scorrere senza sosta il feed in cerca di nuovi stimoli e cose interessanti.


Cosa si intende per doomscrolling

Nel contesto delle piattaforme social dominate dagli algoritmi, è emerso un comportamento sempre più diffuso e riconosciuto: il doomscrolling. Il termine, nato dall’unione delle parole doom (rovina, catastrofe) e scrolling (scorrere), indica l’abitudine compulsiva di scorrere senza sosta il feed dei social media, consumando notizie e contenuti negativi o carichi di tensione emotiva.

È una spirale in cui l’utente viene risucchiato, continuando a cercare nuovi aggiornamenti, spesso legati a crisi, conflitti, emergenze o polemiche. Questa pratica non è casuale: gli algoritmi delle piattaforme favoriscono proprio i contenuti che suscitano emozioni forti, come rabbia, paura e indignazione, perché sono quelli che generano maggiore coinvolgimento.

Come risultato porta senso di ansia e stress crescente per l’utente, ma anche più tempo speso sulla piattaforma, esattamente ciò che l’algoritmo del proprietario si propone di ottenere.


Proprio da questa riflessione, e come reazione a questo modello, nasce l’iniziativa di BuzzFeed.

Il digital media storico, che ha già rivoluzionato in passato il giornalismo digitale, sta ora lavorando a una nuova piattaforma social basata sull’intelligenza artificiale, ma con un approccio diverso rispetto ai modelli dominanti.

Il futuro dei social media, l’idea di BuzzFeed

L’idea di BuzzFeed, nelle parole del CEO Jonah Peretti, è di creare una piattaforma che metta al centro la creatività e le connessioni umane, anziché favorire l’addiction da contenuti ottimizzati per l’engagement.

Una piattaforma che utilizza l’IA non per sostituire le persone o per spingerle a restare online, ma per dare strumenti nuovi alla creatività degli utenti.

Credo che questa proposta si collochi nello scenario come una possibile “terza via” rispetto agli attuali sviluppi del panorama social.

Infatti, oggi, vediamo da una parte le piattaforme storiche, come Meta, che affinano sempre più i loro algoritmi e provato ad introdurre personaggi generati dall’IA per popolare i feed e creare interazioni automatizzate. Sempre ai fini di generare maggiore tempo di utilizzo.

Dall’altra, esperimenti estremi come SocialAI, una piattaforma dove non ci sono esseri umani, ma solo bot di intelligenza artificiale che interagiscono tra loro.

L’idea di BuzzFeed sembra voler andare in una direzione diversa: non l’algoritmo del proprietario che decide cosa è meglio per te, non una piattaforma popolata da bot che simulano l’umano, ma un social che sfrutta l’IA come strumento per facilitare l’espressione, la narrazione interattiva, la sperimentazione di nuovi formati e la costruzione di connessioni autentiche tra persone.

Da qui ci si può preregistrare alla nuova piattaforma.

La domanda da porsi al momento è: questa visione riuscirà a concretizzarsi? Oppure anche questa piattaforma finirà per cedere alla logica della retention e dell’engagement esasperato? In fondo, il mercato dei social media oggi si regge proprio su quei modelli che hanno fatto la fortuna dei grandi colossi.

Ci troviamo di fronte a una svolta importante: se l’intelligenza artificiale può essere utilizzata per rafforzare l’autonomia e la creatività delle persone, oppure se continuerà a essere lo strumento per consolidare il potere delle piattaforme sui comportamenti degli utenti.

Il futuro dei social media si gioca anche qui. Tra l’algoritmo del proprietario e la possibilità di restituire alle persone il controllo sulle proprie esperienze digitali.



 

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