Il Covid-19 ha provocato una crescita esponenziale dello smart working in Italia, come prevedibile. I dati dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ci dicono che si è passati da 570 mila a 6,58 milioni di smart workers.
Come abbiamo più volte sottolineato da inizia pandemia, il Covid-19 ha accelerato diversi fenomeni. Prima tra tutti, quella della digitalizzazione di diversi processi, molte aziende hanno abbracciato il digitale come mai prima. E le stesse aziende si sono trovate poi ad affrontare il fenomeno dello smart working, un fenomeno che nel nostro paese era molto circoscritto prima del decreto di febbraio di quest’anno.
Smart Working in Italia nel 2020, un vero boom
Ebbene, i dati dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ci descrivono un vero boom dello smart working in Italia in questi ultimi mesi. Non che questi rappresenti una sorpresa, era un dato atteso, ma i numeri sono comunque importanti, se consideriamo, inoltre, che buona parte di coloro che per necessità sono diventati smart workers non torneranno più indietro, e sono tanti.
Pensate, lo abbiamo anche riportato, che prima del Coronavirus gli smart workers in Italia erano appena 570 mila, facendo segnare nel 2019 comunque una crescita del 15%. Adesso la crescita è del 1.050% e gli smart workers italiani sono 6,58 milioni. Numeri che impressionano e che danno bene l’idea di cosa sia stato il fenomeno per le aziende italiane e, di conseguenza, per le città italiane, un aspetto quest’ultimo non secondario.
Il fenomeno ha coinvolto il 97% delle aziende, il 94% delle pubbliche amministrazioni italiane e il 58% delle Piccole e Medie Imprese. Dei 6,58 milioni di smart workers, la maggior parte lavora nelle grandi imprese, 2,11 milioni; 1,13 milioni lavora nelle PMI; 1,5 milioni nelle microimprese sotto i dieci addetti e infine 1,85 milioni di lavoratori agili nelle PA.
I dati ci dicono anche che a settembre, al ritorno dalle ferie, il numero di smart workers era comunque alto: 5,06 milioni. Ed erano così suddivisi: 1,67 milioni nelle grandi imprese; 890 mila nelle PMI; 1,18 milioni nelle microimprese; 1,32 milioni nella PA. In media i lavoratori nelle grandi aziende private hanno lavorato da remoto per la metà del loro tempo lavorativo (circa 2,7 giorni a settimana), nel pubblico 1,2 giorni a settimana.
Il dato forse più interessante è che alla fine dell’emergenza, perché finirà prima o poi, saranno ben 5,35 milioni gli smart worker che continueranno a lavorare in remoto, un numero che resta quindi molto alto. Di questi, 1,72 milioni continueranno da casa nelle grandi imprese; 920mila nelle PMI; 1,23 milioni nelle microimprese e 1,48 milioni nelle PA.
Smart Working e “New Normal”
A fronte di questa “nuova normalità” o “new normal“, il 70% delle grandi imprese aumenterà le giornate di lavoro da remoto, portandole in media da uno a 2,7 giorni alla settimana, una su due modificherà gli spazi fisici. Nelle PA saranno introdotti progetti di smart working (48%), aumenteranno le persone coinvolte nei progetti (72%) e si lavorerà da remoto in media 1,4 giorni alla settimana (47%), rispetto alla giornata media attuale.
Due aspetti possiamo cogliere da questi dati, tra l’altro ripresi anche qui sul nostro blog. E cioè che questa pandemia ha dimostrato che un nuovo modo di lavorare è possibile, anche nel nostro paese. Sembrava quasi difficile a credersi solo 1 anno fa.
E poi, questa pandemia ha messo a nudo l’impreparazione delle aziende, tecnologica e non solo.
Più di due grandi imprese su tre hanno dovuto aumentare la dotazione di pc portatili e altri strumenti hardware (69%) e di strumenti per poter accedere da remoto agli applicativi aziendali (65%); tre PA su quattro hanno incoraggiato i dipendenti a usare i dispositivi personali; il 50% delle PMI non ha potuto operare da remoto. A livello organizzativo, invece, è stato difficile mantenere un equilibrio fra lavoro e vita privata per il 58% delle grandi aziende e il 28% dei lavoratori, e per il 33% delle organizzazioni i manager non erano preparati a gestire il lavoro da remoto.
Nonostante le difficoltà, questo tipologia di smart working atipico ha contribuito a migliorare le competenze digitali dei dipendenti (per il 71% delle grandi imprese e il 53% delle PA), a ripensare i processi aziendali (59% e 42%) e ad abbattere barriere e pregiudizi sul lavoro agile (65% delle grandi imprese), segnando una svolta irreversibile nell’organizzazione del lavoro.
Ma vi è ancora un altro aspetto che emerge da questi dati interessanti. Il 29% dei lavoratori ha incontrato difficoltà a separare il tempo del lavoro e quello privato e a mantenere un equilibrio fra i due aspetti (28%), oltre a sperimentare una sensazione di isolamento nei confronti dell’organizzazione nel suo insieme (29%). Il difficile work-life balance è stata anche la prima barriera da superare per le grandi imprese (58%), seguita dalla disparità del carico di lavoro fra alcuni lavoratori meno impegnati e altri sovraccaricati (40%), dall’impreparazione dei manager a gestire il lavoro da remoto (33%) e limitate competenze digitali del personale (31%). Nelle PA, invece, le difficoltà maggiori hanno riguardato l’inadeguatezza delle tecnologie a disposizione (46%) e la disparità nel carico di lavoro (39%), poi l’equilibrio fra vita privata e professionale (33%) e le scarse competenze digitali (31%).
Ecco, questi i dati, presentati oggi durante una conferenza online, più rilevanti che abbiamo colto.
E voi che ne pensate? Siete tra quelli che hanno approcciato allo smart working durante questa pandemia? Qua è stata la vostra esperienza? Raccontatecela tra i commenti o attraverso i nostri canali social.
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