Il decreto legge emanato dal Consiglio dei Ministri due giorni fa, e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, per affrontare le conseguenze del Coronavirus, apre la strada, su larga scala, al fenomeno dello Smart Working. Ma le aziende sono pronte?
La veloce, e improvvisa, diffusione del Coronavirus in Italia sta mettendo alla prova il nostro paese su più fronti. L’emergenza sanitaria, gestita dal governo, e la conseguente messa in quarantena di diversi paesi, tutti localizzati nel “lodigiano”, considerato ad oggi il “focolaio italiano” da dove tutto sarebbe partito, hanno messo in evidenza un grande problema, che è quello legato alla impossibilità di recarsi sul posto di lavoro in periodo di quarantena. Si tratta di un periodo obbligatorio in cui i residenti dei paesi in cui vige il provvedimento (iniziato oggi nella zona di Codogno) non possono uscire di casa, neanche per andare a lavorare.
Una condizione questa che è oggi, nel 2020, superabile grazie al fenomeno dello Smart Working, o Lavoro Agile, ossia un particolare approccio al modo di lavorare che è più focalizzato sull’efficienza e l’efficacia della prestazione lavorativa e non più solo sulla postazione fisica come condizione imprescindibile. Si tratta d una modalità “agile”, appunto, che permette al lavoratore di poter organizzare autonomamente il proprio lavoro, lavorando anche da casa, e permette all’organizzazione di essere più focalizzata sui risultati, mettendo insieme flessibilità dell’orario di lavoro, collaborazione, condivisione.
Si tratta di una modalità, di un approccio, come abbiamo detto, che in questo momento specifico sta emergendo come grande esigenza, che mette a nudo, per certi versi, le difficoltà che le aziende incontrano oggi, per non aver creduto abbastanza in questa modalità, per tanti motivi. Tra questi, sicuramente emerge il fatto di non aver investito abbastanza per permettere ai lavoratori di poter lavorare anche senza essere fisicamente in azienda, è quindi un problema di strumenti ed è un problema infrastrutturale, legato alla ottimizzazione della connessione (quindi server da potenziare, sistemi cloud da adottare e così via).
Come sapete, il 22 febbraio scorso il governo ha emanato un decreto legge per affrontare subito l’emergenza Coronavirus nelle zone più colpite, decreto già pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e quindi operativo da oggi, 24 febbraio. Tra i provvedimenti c’è quello di consentire alla popolazione dei paesi sottoposti a quarantena di avvalersi della possibilità di lavorare da casa, quindi dello smart working.
Al comma N dell’articolo 1, si legge della “sospensione delle attività lavorative per le imprese, a esclusione di quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità e di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare”.
Si tratta quindi di una condizione che può essere attivata subito, a patto che le aziende siano pronte. E qui arrivano i problemi. Tenuto conto dei pochi giorni a disposizione per rendere lo smart working operativo, c’è da dire che ad oggi solo le grandi aziende sono in grado di garantire questa modalità ai propri lavoratori e, forse, non avverrà anche da noi quello che è già successo in Cina, proprio per affrontare il Coronavirus, dove si sta registrando una enorme sperimentazione di smart working e di smart e-learning che non ha precedenti, con aziende che in poco tempo hanno potenziato le proprie infrastrutture, i propri server per permettere ai lavoratori di essere operativi anche da casa.
In Italia non tutte le aziende sono pronte allo smart working, sarebbe interessante anche sapere come si sta affrontando il problema nelle zone interessate. Le organizzazioni non sono pronte anche per via di non elevati investimenti infrastrutturali, tenuto conto che il nostro paese, in una classifica di 50 paesi per velocità di connessone si piazza al 47° posto, non il massimo.
Per avere un quadro più completo del fenomeno smart working in Italia, facciamo affidamento agli ultimi dati diffusi dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano che ci dice che nel nostro paese lo Smart Working è al 58% nel 2019, in crescita lieve dal 56% del 2018, nelle grandi aziende. Va aggiunto poi un 7% di imprese che aveva già attivato iniziative informali e di un 5% che prevedeva di farlo nel corso dei prossimi dodici mesi. L’indagine evidenziava poi un 22% di imprese che avrebbe considerato la modalità smart working nel prossimo futuro e l’8% che non aveva ancora deciso oppure che non mostrava interesse.
L’indagine dell’Osservatorio metteva in evidenza la crescita del fenomeno presso le PMI con la crescita di progetti dall’8% al 12%, mentre i progetti informali passavano dal 16% al 18%. Ma, dato assolutamente rilevante che un po’ offusca tutto questo, le aziende che non hanno mostrato interesse verso lo smart working sono cresciute dal 38% al 51%.
Sono raddoppiati anche i progetti presso la Pubblica Amministrazione, dall’8% al 16%, di cui 7% delle PA ha attivato iniziative informali (erano l’1% del 2018), il 6% le avrebbe avviate nei successivi dodici mesi. Le PA che mostrano segnali più evidenti sono quelle di grandi dimensioni, nel 42% de casi hanno già attivato progetti strutturati.
Ma quanti sono gli smart workers ad oggi?
Sempre tenendo conto dell’ultima indagine dell’Osservatorio, i lavoratori che sfruttano la modalità smart working sono 570 mila, un numero di crescita del 20% rispetto al 2018. Si tratta di un numero che sarà sicuramente in crescita già a partire dai prossimi giorni, perché se è vero, come è vero, che il virus continuerà la sua diffusone lungo lo stivale, probabilmente saranno sempre di più le persone che saranno costrette a restare a casa.
Di conseguenza, per le aziende italiane questo è il momento di accettare anche questa sfida e cogliere questa opportunità che potrebbe dare grandi vantaggi a tutta l’organizzazione.
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