Una recente analisi di Check Point Software ha rivelato che le aziende non erano preparate alla modalità smart working e che per il 95% di esse questo potrebbe comportare una “pandemia digitale”.
Come abbiamo visto in questi ultimi due mesi, a causa della pandemia da Covid-19, la modalità smart working è quella che si è resa necessaria, ovunque, per permettere alle persone di poter comunque continuare a lavorare. Un tema, quello dello smart working, che in queste settimane abbiamo toccato, e approfondito, qui sul nostro blog, proprio per cercare di raccontare come le aziende italiane hanno affrontato questo momento.
Come già detto, le aziende italiane si sono trovate da un giorno all’altro a dover considerare in maniera decisa questa modalità. Era il 24 febbraio quando il governo, a seguito della creazione di due “zone rosse”, nel lodigiano e in Veneto, indicava nel primo dpcm la modalità del lavoro da remoto. Tutti lo abbiamo definito “smart working”, anche se, come ci ha spiegato Stefano Epifani nel nostro InTime Podcast, si tratta per lo più di telelavoro.
Ecco, da quel momento, molte aziende si sono trovate in difficoltà, soprattutto quelle medio-piccole che non avevano mai considerato prima quella modalità.
Ebbene, oggi Check Point Software certifica che quel livello di difficoltà, quel livello di impreparazione ha riguardato la stragrande maggioranza delle aziende è reale. Una difficoltà di gestione che può diventare una seria minaccia per la sicurezza delle aziende.
L’azienda, fornitore leader mondiale specializzato nella sicurezza informatica, ha analizzato i dati e gli eventi di sicurezza informatica relativi a questa pandemia e, secondo una ricerca condotta con Dimensional Research, emerge che il 95% delle aziende ha sperimentato problemi di sicurezza legati allo smart working. La ricerca rivela anche che il 61% delle aziende si preoccupa dei rischi per la sicurezza e dei cambiamenti necessari per facilitare lo smart working, il 55% cerca come migliorare la sicurezza dell’accesso da remoto e il 49% richiede più sicurezza anche per gli endpoint.
La situazione rischia anche di complicarsi se l’accesso ai file avviene da infrastrutture personali, proprio perchè si lavora da casa, magari non aggiornate all’ultima release o non protette adeguatamente tramite sistemi antivirus completi. Oltre a queste minacce legate all’hardware, in queste settimane sono aumentati notevolmente i rischi legati all’interazione umana e a phishing.
Come visto in tante situazioni purtroppo, gli hacker sanno riposizionarsi molto in fretta e hanno cominciato prima a creare siti legati al Coronavirus, con oltre 4.000 domini nuovi riconducibili al virus in poche settimane, l’8% di cui è sospetto o malevolo, poi hanno iniziato ad attaccare direttamente le persone inviando un’enorme mole di e-mail phishing a tema Covid-19.
Il picco è stato raggiunto il 28 marzo con 5.000 attacchi riconducibili al virus. Un’analisi di Check Point svolta in Italia ha dimostrato che più di un sito su dieci registrato negli ultimi 30 giorni e legato ai temi della “salute” è malevolo. Ora che si sta parlando della Fase 2, e dell’attivazione degli aiuti di Stato, gli hacker stanno diffondendo domini ingannevoli e inviando e-mail che diffondono malware per approfittare di questo nuovo tema d’interesse.
Coronavirus, le aziende italiane alle prese con lo Smart Working
Nel solo mese di nel marzo 2020 sono stati registrati 2.081 nuovi domini legati a sussidi, fondi e supporti statali (di cui 38 malevoli e 583 sospetti).
Insomma, anche questo è un tema che va considerato. Lo smart working deve essere applicato tenendo a mente tutte quelle che sono le implicazioni, incluse quelle legate alla sicurezza che, come abbiamo visto, se trascurate, posso generare problemi gravi.
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[…] detto, nella prima prima fase le aziende sono state colte impreparate e la stragrande maggioranza ha sperimentato problemi legati …. Il repentino passaggio al lavoro da casa ha esposto le aziende a molti rischi, non avendo […]