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Come trasformare un dialogo sui Social Media in una disputa felice

I Social Media sono grandi strumenti di comunicazione, sono strumenti che rendono la conversazione più aperta, diretta, orizzontale. Ma spesso la conversazione si trasforma in discussione, per poi finire in disputa. Per capirne meglio, ne parliamo con Bruno Mastroianni, autore de “La disputa felice” che ci svela la regola per trasformare la discussione in una “disputa felice”.

I Social Media sono grandi strumenti di comunicazione, sono strumenti che rendono la conversazione più aperta, diretta, orizzontale. Tutti possono dire qualcosa e tutti possono discutere su qualcosa. Il fatto è che il più delle volte la conversazione si trasforma in discussione fino a finire in disputa. Anche per cose davvero minime. All’interno di questo fenomeno vi è poi quello degli haters e di tutti quegli utenti che si prefiggono come obiettivo quello di infastidire, provocare.

Insomma, i social media sono grandi strumenti di dialogo, di relazioni, ma, per rendere una dimensione quanto mai realistica, non si può non dire che in alcuni casi possono trasformarsi in strumenti che contraddicono proprio quello per cui sono nati, ossia il dialogo, la conversazione. E’ un fenomeno che appassiona, interessa ovviamente tutti, e oggi ve ne parliamo perchè da qualche mese è uscito un libro molto bello su questo tema, un libro che arriva fino al punto della questione, la analizza a fondo,provando a dare anche una spiegazione e una soluzione. Il libro si intitola “La disputa felice” e l’autore è Bruno Mastroianni, filoso, autore, social media manager di de @LaGrandeStoria @RaiTre e della Multipiattaforma di @RaiUno, è Tutor di Comunicazione politica e globalizzazione alla Università Telematica Internazionale Uninettuno. A Bruno Mastroianni abbiamo posto qualche domanda per capire meglio come dialogare sui Social Media e di svelarci quale sia questa regola per la “disputa felice”.

Si dice sempre che Internet ha reso la conoscenza più accessibile, quindi alla portata di tutti. Ma è davvero un vantaggio?

Sì, è un grandissimo vantaggio, che però non ha risolto nulla. Da sempre, la vera sfida dell’uomo, più che l’accesso alla conoscenza, è la capacità di saper organizzare e mettere in relazione le diverse conoscenze, vagliandone anche la validità. Direi che l’accesso libero e immediato alle informazioni accentua questa sfida: di fronte al sovraccarico di contenuti a cui siamo tutti esposti quotidianamente c’è bisogno di competenze per sapersi orientare. Il rischio: vivere in un mondo di informazioni poco accurate (o addirittura false) che confermano le nostre convinzioni, ma non ci dicono nulla della realtà. Il web e l’iperconnessione in cui viviamo ci chiedono un surplus di sviluppo di pensiero critico.

Negli ultimi anni abbiamo preso in prestito dall’economia la “disintermediazione” per dire che sul web e sui social media le informazioni viaggiano senza “intermediari”. Che ne pensi?

Credo che gli “intermediari” non siano scomparsi del tutto, ma che siano piuttosto cambiate le dinamiche di mediazione, che ora avvengono più dal basso e sono in qualche modo più libere. Prima i media, le istituzioni, i personaggi pubblici avevano ruolo di mediatori in base alla posizione preminente che ricoprivano in società. In quello scenario, gli spazi del dibattito pubblico erano determinati e c’era una sorta di “selezione all’ingresso” su chi aveva voce e chi no (pensiamo agli spazi mediatici limitati). Oggi che quegli spazi sono stati “liberati”, la selezione non può essere più fatta a priori, ma deve essere guadagnata sul campo. Questa non è la fine del ruolo di mediazione (che non può scomparire dalla società), è una sua riconfigurazione su base più libera. Oggi più che mai abbiamo bisogno di giornalisti, di esperti, di istituzioni che sappiano accettare la sfida della conversazione pubblica generalizzata per riconquistare la loro funzione in base alle loro competenze e non più in base alla posizione sociale. La chiamerei una “mediazione a posteriori”.

Una cosa è vera e cioè che il livello di discussione, sui social media in particolare, è piuttosto alto. Si discute sempre, anche per cose in realtà futili. Si discute anche più di quello che si farebbe al bar, per esempio. Sarà che il “nascondersi” rende più facile “esporsi”. È così? E come lo spieghi?

Intanto direi che appaiono essere molti i litigi che scaturiscono dalle discussioni, e qui il paradosso: quando diventa litigio, la discussione, e quindi il confronto, finisce. Magari imparassimo a trasformare ogni differenza di opinioni in una discussione: ciò ci farebbe crescere culturalmente. A mio avviso litighiamo perché non siamo abituati ad avere a che fare quotidianamente e ordinariamente con la differenza dell’altro (differenza di vedute, di linguaggio, di cultura). Prima del web, la diversità la incontravamo solo in momenti specifici (nei viaggi, in certe professioni), per il resto si poteva vivere nei propri contesti sociali omogenei lasciando tutto ciò che era diverso fuori dalle proprie vite. Oggi la differenza ce la ritroviamo nei commenti ai nostri post, nel tweet dello sconosciuto che viene da un altro mondo ed entra nella nostra quotidianità senza chiedere permesso. Questo genera la reazione: difesa, contrasto, livore. È un’umanissima risposta di autoconservazione di fronte al diverso che mette in dubbio le nostre certezze, il nostro mondo.

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Il fenomeno degli haters, fenomeno che spesso e volentieri colpisce le celebrità, Twitter è un caso emblematico da questo punto di vista, è a sua volta figlio di questa libertà di accesso all’informazione?

Trovo che sia interessante ribaltare la prospettiva: non vedere tanto gli hater come una categoria (non lo è), ma occuparsi del fenomeno dell’odio che invece riguarda tutti. È qualcosa che si manifesta con diversi gradi di intensità; parte ad esempio dai velenosi tra le righe che persone comuni si scambiano tra loro al momento di discutere, passa per quelle generalizzazioni spesso sessiste o razziste che si intravedono in certi commenti, fino ad arrivare agli insulti espliciti e alla violenza verbale diretta. Credo che sia interessante studiarlo non come qualcosa di speciale, ma come una tendenza che è dentro ogni uomo, che si manifesta in minore o maggiore intensità in base alla capacità del singolo di controllare certi istinti. Ritengo che celebrità e personaggi pubblici ricevano commenti d’odio in misura maggiore e più intensa per il fatto di essere più in vista, ma è interessante non tralasciare tutto quel panorama di grandi e piccoli episodi di odio che ognuno di noi subisce (e spesso restituisce) nei suoi spazi e nella cerchia delle sue connessioni. Gli hater siamo noi, insomma.

Cerchiamo di arrivare al punto del tuo interessantissimo libro Bruno, cos’è la “disputa felice”? Davvero si può discutere sul web e sui social media senza litigare?

Ho cercato di riflettere sulla possibilità di un tipo di comunicazione che, pur evidenziando dissenso e producendo discussioni sincere, non interrompa la relazione con l’altro. Non ho scritto un libro di tecniche di comunicazione (ce ne sono migliori del mio, e sono citati all’interno); ho voluto fare un libro che aiuti ciascuno a riflettere su se stesso e sulle sue capacità di comunicazione. Il centro della tesi del libro è che la maggior parte delle volte che litighiamo lo facciamo perché abbiamo qualche carenza nelle nostre convinzioni. Questa carenza ci porta ad aver paura e a non affrontare serenamente il pensiero differente dell’altro, che mette in difficoltà il nostro mondo. Se riuscissimo a scoprire che il dissenso dell’altro ci può aiutare a pensare meglio, perderemmo questa paura e rinunceremmo a tutta una serie di errori di comunicazione che ci portano allo scontro. Insomma, il litigio è un comportamento che rivela qualche nostra mancanza. Scoprirlo è iniziare a riprendere le discussioni senza la paura di essere contraddetti, ma trovando in esse il gusto di capire meglio le cose.

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Bruno Mastroianni autore de La Disputa felice

Come ci si difende dagli insulti e come si disinnesca una lite?

Scoprendo come la tendenza all’insulto, alle frasi sprezzanti, alla battuta offensiva, nasce dentro di noi. Quando riflettiamo su cosa succede a noi stessi quando siamo in difficoltà (l’odio è sempre una manifestazione di incapacità), impariamo a non prendercela troppo quando ne siamo vittime. L’ideale è non offendersi e non raccogliere le provocazioni, ma riconoscere, pur nelle parole aggressive dell’altro, l’argomentazione che c’è sotto (c’è sempre). Rispondere con pazienza a quell’argomentazione non solo ci rende migliori perché ci mette alla prova, ma può anche spegnere i conflitti. E se non li spegne, avrà comunque un effetto sociale positivo. Le nostre interazioni online sono sempre lette da una moltitudine silenziosa più ampia: chi legge quelle risposte argomentate, pacificanti e pacate, comunque riceve qualcosa in termini di conoscenza; un effetto alternativo al muro contro muro che in ogni caso non porta a nulla e non dà niente a nessuno.

Allora, qual è la regola della disputa felice?

Comunicare non è convincere, né vincere, né avere la meglio sull’altro; comunicare è capire chi non è d’accordo, perché proprio dove c’è divergenza tra idee c’è nuova conoscenza. Chi sta sempre tra persone concordi diventa un imitatore e impoverisce le sue capacità. Dissentire senza litigare ci permette invece di conoscere molte più cose e stringere relazioni con molte più persone di quanto avremmo mai potuto e immaginato. Che poi, se ci pensiamo, è l’aspetto più promettente della vita in connessione.

Grazie Bruno per questa interessante e bella intervista e vi ricordiamo che trovate il suo libro nelle librerie e anche su Amazon.

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Franz Russo Blogger, Digital Strategist
Franz Russo, fondatore, nel 2008, del blog InTime, ho collaborato con grandi aziende nazionali e internazionali, come consulente per strategie di comunicazione e come divulgatore. Da sempre impegnato nella comunicazione digitale, cerco di unire sempre una profonda passione per l’innovazione tecnologica a una visione olistica dell’evoluzione dei social media e degli strumenti digitali. Il mio percorso professionale in questo campo, iniziato nel 2007, è stato caratterizzato da un costante impegno nel raccontare e interpretare i cambiamenti nel panorama digitale. Il mio approccio si basa su un mix di analisi strategica, creatività e un profondo impegno per il racconto e la divulgazione.
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  1. […] Come trasformare un dialogo sui Social Media in una disputa felice. I Social Media sono grandi strumenti di comunicazione, sono strumenti che rendono la conversazione più aperta, diretta, orizzontale. Tutti possono dire qualcosa e tutti possono discutere su qualcosa. Il fatto è che il più delle volte la conversazione si trasforma in discussione fino a finire in disputa. Anche per cose davvero minime. All’interno di questo fenomeno vi è poi quello degli haters e di tutti quegli utenti che si prefiggono come obiettivo quello di infastidire, provocare. […]

  2. […] Come trasformare un dialogo sui Social Media in una disputa felice. I Social Media sono grandi strumenti di comunicazione, sono strumenti che rendono la conversazione più aperta, diretta, orizzontale. Tutti possono dire qualcosa e tutti possono discutere su qualcosa. Il fatto è che il più delle volte la conversazione si trasforma in discussione fino a finire in disputa. […]

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giovedì, 25 Aprile, 2024

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