L’acquisizione di Kellogg’s da parte di Ferrero rivela un cambio di paradigma ormai in atto. Le aziende storiche valgono meno delle startup tech. Una riflessione sul significato del valore di un’azienda nell’era dei dati e del digitale.
È la notizia di cui ormai si parla da giorni, soprattutto in Italia, ma non solo.
Ferrero, uno dei marchi italiani più forti al mondo, ha annunciato l’acquisizione di Kellogg’s per una cifra che si aggira attorno ai 3 miliardi di dollari. Sì, proprio 3 miliardi.
Una cifra che, a prima vista, può apparire importante, ma che nel contesto attuale del mercato globale, dominato da valutazioni vertiginose nel settore tech e digitale, suona come molto bassa, se non addirittura “ridicola”.
E questo non per sminuire il valore dell’acquisizione. Ma solo per spiegare quello che è il contesto odierno. Che è poi lo scopo di questa riflessione.
Infatti, se mettiamo questa cifra accanto ad acquisizioni recenti di startup tecnologiche o piattaforme digitali con pochi anni di vita, la sproporzione è talmente evidente da non poter essere ignorata.
E non è solo una questione di numeri. È una questione di tempo/storia, di percezione e di proiezione nel futuro.
La storia di un’azienda e la velocità del presente
Kellogg’s è un’azienda nata nel 1906. Ha attraversato guerre mondiali, boom economici, cambiamenti di abitudini alimentari e rivoluzioni di mercato.
È diventata sinonimo di “cereali a colazione” in tutto il mondo. Eppure oggi, nel 2025, il suo valore sul mercato risulta essere meno della metà di quanto Microsoft ha pagato per LinkedIn nel 2016.
Una cifra che risulta venti volte più bassa di quanto Meta ha speso per WhatsApp nel 2014. E oltre sessanta volte più bassa dell’acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft nel 2022.
Questa sproporzione non è casuale. È il segnale di un cambiamento profondo nella gerarchia del valore. Le aziende tradizionali non vengono più premiate per la loro solidità, per la loro storia o per la loro presenza capillare sul territorio.
Oggi, ciò che conta è la capacità di intercettare il presente e generare futuro.

Alcune recenti acquisizioni nel mondo digital e tech
Per rendere chiara la dimensione di questa trasformazione, basta osservare alcune delle acquisizioni digital e tech più significative degli ultimi anni:
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Instagram, con 13 dipendenti e nessun modello di business sostenibile, fu acquisita da Meta nel 2012 per 1 miliardo.
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WhatsApp, app gratuita, nel 2014 fu valutata 19 miliardi.
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LinkedIn, il social network professionale, fu acquistato da Microsoft nel 2016 per 26 miliardi.
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Activision Blizzard, colosso del gaming, è passato a Microsoft per 68,7 miliardi.
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E nel 2023, Figma, una giovane startup per il design collaborativo, stava per essere acquistata da Adobe per 20 miliardi (poi l’operazione è saltata per motivi antitrust).
In questi casi, non contano i capannoni, i camion, le filiere o i dipendenti.
Ma vale, soprattutto, la capacità di scalare, raccogliere dati, diventare infrastruttura dell’attenzione.
All’opposto, le grandi acquisizioni nel settore industriale, seppur solide, raccontano una storia diversa:
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LVMH ha acquistato Tiffany per 15,8 miliardi, pur essendo un marchio con oltre 180 anni di storia.
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InBev ha acquisito Anheuser-Busch nel 2008 per 52 miliardi, cifra che oggi suona più alta solo perché avvenuta in un tempo ancora favorevole all’industria tradizionale.
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E oggi, Ferrero acquisisce Kellogg’s per 3 miliardi, ottenendo marchi storici, infrastrutture produttive e una base consolidata di consumatori.
Il confronto è impietoso: le aziende storiche valgono meno del sogno di un’idea digitale scalabile.
I dati sono più importanti del petrolio
Abbiamo accennato ai dati, poco più sopra. Allora val la pena ricordare come i dati siano davvero importanti. L’esempio che segue ci aiuta a focalizzare meglio il tema.
Nel 2017 una celebre copertina dell’Economist titolava: “Il bene più prezioso del mondo non è più il petrolio, ma i dati.” Era una fotografia esatta del passaggio di paradigma che stavamo vivendo, e che oggi è diventato realtà quotidiana.

A differenza del petrolio, i dati non si esauriscono. Si moltiplicano. E, soprattutto, non richiedono impianti fisici o infrastrutture complesse per essere estratti e venduti, ma bastano, volendo semplificare, un algoritmo, una piattaforma, un’app.
Le aziende tech hanno costruito il loro valore sulla capacità di raccogliere, interpretare e monetizzare questi dati.
Non è un caso che le valutazioni più alte degli ultimi anni siano andate proprio a imprese che non producono nulla di fisico, ma che controllano flussi immateriali: attenzione, comportamento, interazioni. E quindi, potere.
Il Valore oggi è questione di prospettiva
Nel nuovo paradigma del mercato, ciò che si valuta non è quello che l’azienda ha costruito nel tempo, ma quello che potrà generare nei prossimi 6, 12, 24 mesi.
Kellogg’s ha costruito la propria realtà in oltre un secolo, consolidando presenza industriale, filiere e riconoscibilità globale.
Figma (come qualsiasi azienda dello stesso settore e innovativa), invece, in appena quattro anni ha saputo imporsi come riferimento per la collaborazione digitale.
Due storie incomparabili per natura e per epoca, ma che agli occhi del mercato si valutano con lo stesso parametro. Ossia, la capacità di intercettare il futuro.
Questa dinamica rende chiaro che il valore simbolico, culturale, produttivo o economico costruito nel tempo non è più sufficiente. Le aziende storiche si trovano a dover ridisegnare la propria traiettoria.
O si reinventano, o diventano parte di chi ha già agganciato il treno della trasformazione.

Ferrero consolida, mentre il tech colonizza
L’acquisizione di Kellogg’s da parte di Ferrero non è una mossa per fare disruption, ma un’azione di consolidamento.
È una strategia coerente con una visione industriale, fondata sull’integrazione verticale, sull’espansione nei mercati chiave e sulla difesa del proprio perimetro competitivo.
Il settore tech, invece, non acquisisce per consolidare, ma per colonizzare. E quindi piattaforme, dati, comportamenti.
Non importa quanto sia solida un’azienda, se non è in grado di tenere il passo digitale, non è competitiva. E alla fine, viene inglobata.
Le aziende storiche sono in svendita?
Questa è la domanda più scomoda. Ma anche la più necessaria. Il caso Kellogg’s, come quello recente di Tiffany, o in passato di Motorola, Nokia, Yahoo, ci dice che essere iconici oggi non basta più.
La reputazione non è più sufficiente a generare valore nel presente. Serve essere capaci di guardare oltre.
E che la storia non è tutto, se non è accompagnata da innovazione vera.
È questo che oggi dovrebbero interrogarsi tutte le imprese nate nel secolo scorso: quanto del loro valore è ancora riconosciuto? Quanto della loro narrazione è ancora rilevante?
L’acquisizione di Kellogg’s da parte di Ferrero è molto più di un’operazione industriale.
È un segnale forte. Il valore oggi non risiede solo e soltanto nella storia, come spesso siamo portati a credere. Ma nella capacità di leggere il presente e anticipare il futuro.
Anche i marchi più iconici devono scegliere. Evolvere o scomparire. La solidità di ieri non basta più.
Serve visione, velocità e una nuova grammatica del valore.





