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In che direzione sta andando l’influencer marketing dopo le scelte di Instagram? La parola a 6 esperti

La notizia, di qualche mese fa, è che Instagram avrebbe tolto i like, cosa che – nonostante in Italia sia ancora in fase di testing – ha “sconvolto” molti degli addetti ai lavori arrivando anche ad affermare che questo avrebbe significato la morte dell’influencer marketing.

Questo per i più catastrofici; per chi sa che per i social media la continua evoluzione è nel corso naturale delle cose, ha invece significato un modo diverso di pensare a Instagram e al suo ruolo, oltre che di interagire e relazionarsi, non solo tra brand e utenti ma anche tra gli utenti stessi.

Per fare il punto della situazione, ora che abbiamo abbondantemente superato la seconda metà di agosto e ci avviamo verso un autunno sicuramente pieno di novità, abbiamo chiesto un parere a professionisti di varia natura, sui like, ma non solo.

Riflessioni a tutto tondo che abbiamo fatto con chi ha scritto dei libri sull’influencer marketing come Raffaella Amoroso e Arianna Chieli, autrici di “Influencer marketing spiegato semplice” (Zandegù editore), Matteo Pogliani autore di “Influencer Marketing – Valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand” e “Professione
Influencer” editi da Dario Flaccovio Editore (Flaccovio) oltre che founder dell’ONIM, Osservatorio Nazionale Influencer Marketing, Cristiano Carriero, autore insieme a Camilla Bellini di “Influencer marketing” (Hoepli).  Insieme a loro anche due influencer ed esperte di digital strategy e digital PR come Domitilla Ferrari e Cristina Simone. Abbiamo anche chiesto a Lino Garbellini, autore di “Professione influencer”, ma ha declinato il nostro invito perché in questo momento non poteva.

instagram like

A tutti e 6 abbiamo posto le stesse domande ed ecco le loro interessanti risposte che ci permettono di capire cosa c’è dietro la decisione del social di Zuckerberg e come forse non tutto vada “in direzione del contenuto”.

Instagram sta sperimentando il fatto di togliere i like in modo da far sì che la gente valuti i contenuti e non quanti cuoricini ottengono. Esperimento fatto in Canada, anche se poi il social ha fatto un passo indietro ripristinando i like e che è in corso anche in Italia. Come interpreti tutto questo vista la tua esperienza?

influencer marketing instagram

Raffaella Amoroso e Arianna Chieli: “Che si voglia tornare a una maggiore attenzione nei confronti della qualità dei contenuti e non verso la quantità delle interazioni – che purtroppo, come sappiamo, spesso sono viziate da comportamenti poco etici – non può che essere una notizia positiva.
In un mondo ideale, la quantità delle interazioni non dovrebbe in alcun modo vincolare il giudizio sulla qualità del contenuto che le ottiene: se un contenuto mi piace, dovrei voler manifestare il mio apprezzamento (mettere un like o un commento) indipendentemente da quel che possono aver fatto/voler fare gli altri utenti.
Sappiamo però che così non succede e che la manifestazione di interesse di alcuni nei confronti di questi contenuti, guida e influenza anche quella degli altri, compresa quella delle aziende che spesso scelgono il creator di un contenuto non tanto per la sua competenza o per la qualità del suo lavoro, quanto per il “buzz” che riesce a creare intorno a esso. Probabilmente (o almeno questa è la nostra speranza) non vedere “cosa hanno già fatto
gli altri” riporterà le interazioni degli utenti – e quindi il loro stesso giudizio – a un livello più sincero e, a lungo andare, verranno premiati i post più meritevoli.
Inoltre nascondere il numero dei like eviterà i confronti tra profili: molto spesso infatti la quantità delle interazioni guida un giudizio di valore (più sono più il profilo è “buono”) che da adesso in poi ci auguriamo venga invece affidata alla sola valutazione della qualità del contenuto.

Matteo Pogliani: “Ci vedo in primis la volontà di fare product design condiviso, influencer marketingfacendo testare le novità a chi poi dovrà utilizzare (e apprezzare) le stesse. Altro punto rilevante è senza dubbio quello di spostare maggiormente l’attenzione su KPI ed elementi più “profondi”, qualitativi, meno legati alla sola riprova sociale. Una necessità per combattere, in parte, le tante pratiche orientate alla sola performance (BOT, account fake, acquisto follower e like), pratica che rischia alla lunga di rendere queste piattaforme luoghi con contenuti sempre meno interessanti e quindi con meno presenza da parte degli utenti.
Ciò avrebbe enormi ripercussioni lato advertising per Facebook.

Ultimo, ma a mio avviso determinante, è anche la volontà di Facebook, da tempo accusata di sfruttarli e trattarli come semplici “dati”, di passare un messaggio di attenzione e cura nei riguardi degli utenti. Una mossa meramente pro reputation, andando oltre il reale impatto di tale cambiamento sull’utilizzo della piattaforma”.

influencer marketingCristiano Carriero: “Penso che Facebook e nel caso specifico Instagram vogliano riattivare l’80% dei profili che si sentono esclusi. Quando parliamo di questi social, pensiamo sempre all’influencer, ma non è questo che interessa Zuckerberg, piuttosto che ci sia più gente possibile.

Se Facebook, checché se ne dica, è il social più utilizzato da tutti (e un po’ meno dalle nuove generazioni), Instagram è diventato utilizzato da tanti ma sfruttato da quei pochi che sono gli influencer. La decisione di nascondere i like, secondo me, porterà anche gli utenti al momento meno attivi a postare di più dando meno rilievo alla riprova sociale. Se hai messo una bella foto e prendi 3 like, ci resti male specie se ti paragoni a chi ne ha messa una simile e ne prende 30mila perché è più “influente”. Instagram, invece, con questa prova vuole vedere quanta gente torna attiva e ciò per il social potrebbe essere una “svolta”.

Per gli influencer, o meglio per la macchina dell’influencer marketing, ciò potrebbe essere problematico, bisogna però fidarsi. Molti parlano della volontà, con tale scelta, di dare valore ai contenuti, cosa che è molto nobile, ma ho imparato con la mia esperienza che la prima volontà di queste aziende sono i numeri, avere più utenti e il più attivi possibile che postano foto, commentano, mettano like. Perché Instagram è diventato al momento per me una sorta di club esclusivo dove i più fighi sono gli influencer e gli altri si limitano a mettere like. Che questo poi possa aumentare anche la qualità dei contenuti intesi come più  post di qualità, ben venga”.

Domitilla Ferrari: “A cosa servono i like? Partiamo da qui. Sono un segno di apprezzamento, anche se per influencer marketingqualcuno sono la traccia lasciata da chi è passato a vedere cosa abbiamo postato (o la traccia lasciata da chi ci ha visto passare nella sua TL senza cercarci, cosa che capita più spesso, in effetti). Abbiamo vissuto senza poter misurare il nostro successo, il riscontro degli altri, a lungo, prima che la web analytics diventasse d’uso comune attraverso la valorizzazione pubblica di ogni nostra azione online.

Quanti follower nuovi ho oggi? E quanto sono piaciute le mie foto e a chi? Ma soprattutto: chi ha visto le mie stories? Un anno fa, un artista impegnato a raccontare le implicazioni culturali, sociali e politiche dei software, ha inventato il Demetricator per togliere le notifiche numeriche da Facebook e per Twitter, per denunciare il potere distraente dei numeri sui social media: «Questi numeri mi portano a valutare la mia partecipazione all’interno del sistema da un punto di vista metrico», aveva spiegato Benjamin Grosser sul suo blog. «Osservo il conteggio delle risposte anziché le risposte stesse o aspetto che appaiano un numero di richieste di amicizia anziché cercare connessioni significative“.

E l’arte ha fatto quello che solitamente ci aspettiamo dalla fantascienza che spesso prevede il futuro: Instagram ha iniziato a sperimentare il potere del contenuto vs quello del suo presunto apprezzamento. “.

influencer marketing Cristina Simone: “Valuto questo esperimento in maniera molto positiva, ma pare che la piattaforma stia già tornando sui suoi passi.
Non avere più il numero dei like in evidenza riporta, finalmente, l’attenzione sul contenuto. (Ne avevo parlato anche su Twitter con colleghi di settore in thread vari appena la notizia era uscita). Ci si focalizza su quello che c’è nella foto e non tanto su quanti hanno messo il like. E potrebbe finire questa assurda compravendita di finti like.
C’è questa idea di fondo, errata, che tanti più like hai (così come commenti o followers) e tanto più sei “figo”. Questo esperimento ci fa ricordare, invece, la potenza vera dei social ovvero le connessioni tra le persone e la ricchezza che si crea da tanti più contatti abbiamo”.

Chi potrebbe essere più danneggiato: aziende o utenti “normali”?

Raffaella Amoroso e Arianna Chieli: “Gli utenti ‘normali’ (escludiamo quindi gli influencer) interagiscono solitamente con una follower base estremamente fidelizzata che per sua natura poco si fa influenzare dai comportamenti degli altri. Se i miei follower equivalgono ai miei amici, per esempio, posso stare sicura che questi esprimeranno un parere nei confronti dei contenuti che pubblico indipendentemente da quel che fanno gli altri. Gli utenti “normali”, inoltre, tendono a pubblicare post senza dare peso alle interazioni che generano. Onestamente non credo quindi che verranno danneggiati da questa novità. Al contrario saranno portati a esprimere
una loro preferenza nei confronti dei contenuti che trovano sul loro feed in modo libero senza farsi influenzare da quel che altri hanno già fatto prima di loro.

Le aziende, che invece su Instagram lavorano soprattutto in collaborazione con gli influencer, dovranno prestare sempre maggiore attenzione alla qualità dei contenuti che questi pubblicano  e non alle (presunte) interazioni che sono in grado di generare. Se fino a ora molto spesso lo scouting delle aziende per trovare i propri ambassador si è basato soprattutto su metriche quantitative, ora una prima scrematura dovrà basarsi sulla qualità del
contenuto presentato e sulla propria competenza nel crearlo.

Ci auguriamo ovviamente che non si abbia la tentazione di prendere altre scorciatoie come, per esempio, basarsi sul
numero dei follower o dei commenti generati sotto i post (metriche queste che – ancora visibili – continueranno presumibilmente a essere oggetto di comportamenti poco etici)”.

instagram like

Matteo Pogliani: “Il danno maggiore è per chi utilizza professionalmente queste piattaforme, quindi soprattutto brand e creator. Ok la qualità, ma è inutile nascondersi: per questi la riprova sociale e l’impatto dato dai like è un fattore ancora rilevante. Una metrica che, seppur molto limitata e superficiale, è comunque rilevante agli occhi di follower e utenti.

Un danno che diventa ancora maggiore per quei soggetti che hanno basato molto del loro posizionamento sulle vanity metrics, senza mai voler andare oltre e orientarsi anche su parametri più orientati al business. Per esempio, utenti che devono il loro seguito alla fama più che alla propria attività online (celebrities e simili), si vedrebbero privati di uno dei pochi elementi di rilievo da mostrare ed esibire”.

Cristiano Carriero: “Secondo me, è il sistema che può esserne più danneggiato. C’è un sistema influencer marketing che piace a tutti e conviene a tutti. L’azienda lo usa perché fa awareness su prodotto, l’influencer perché ci fa dei soldi. Che poi, se ci pensi, non è una cosa nuova. Pensa a Costantino e a Daniele Interrante che, purtroppo per loro, sono cresciuti in un’epoca in cui c’erano solo la TV e l’ospitata in discoteca, oggi sarebbero degli influencer da  migliaia di euro.

C’è da dire che quando guardiamo a chi c’è su Instagram, ci riferiamo sempre ai nostri contatti più vicini, ma non sono quelli a spostare i soldi. Basta poco poi per diventare influencer ed essere di un certo rilievo: chi va in TV o chi fa sport per esempio. Pensiamo al calcio femminile: queste ragazze hanno avuto la fortuna di nascere in questa epoca: oltre all’ingaggio che si spera abbiano da atlete che hanno partecipato al Mondiale, possono usare i loro profili IG anche per fare delle campagne. E basta vedere come sono cresciuti i loro profili e l’attenzione che hanno suscitato nei brand che sono sempre estremamente attenti a queste cose.

Pertanto, a mio avviso, è il sistema che potrebbe avere un piccolo rallentamento: l’azienda vuole i numeri. Io al marketing manager devo fare vedere i numeri. A un certo punto non interessa pure la qualità ma i numeri”.

Domitilla Ferrari: “E se invece la questione fosse chi potrebbe trarne vantaggio? Direi che la risposta è: tutti noi. In un articolo sul Guardian Natasha Schüll, autrice di Addiction by Design dice: ‘Dobbiamo iniziare a riconoscere i costi del tempo trascorso sui social media. Non è solo un gioco, ci riguarda finanziariamente, fisicamente ed emotivamente’.

instagram like smm

Cristina Simone: “Nessuno dei due, dal mio punto di vista. Ma solo le piattaforme che vendono questi ‘servizi’ che vedono ridurre i pacchetti acquistati.
Le aziende, in particolare, che investono budget in campagne di influencer marketing sono quelle che ne avrebbero i vantaggi più alti. Significa non soffermarsi a guardare quanti cuoricini ha ottenuto la foto, pagata, dell’influencer, ma quello che è riuscita a generare.
Significa poi scegliere con più attenzione l’influencer, non solo in base alla media dei like che riceve e significa fare un’analisi più profonda dei risultati”.

E di contro chi potrebbe essere più avvantaggiato?

Raffaella Amoroso e Arianna Chieli: “Continuerà a essere avvantaggiato l’influencer affezionato a un comportamento poco etico (in parole povere quello che compra like, commenti, follower).

Nel caso in cui l’azienda – in fase di scouting – gli chieda gli Insights dei contenuti pubblicati (e quindi avrà accesso anche al numero di like ottenuti dai suoi post) potrà continuare a presentare dei dati viziati (anche se solo parzialmente visto che al momento Impressions e Reach non si possono “comprare”); nel caso in cui l’azienda invece non si basi sugli Insights ma solo sulle metriche visibili (numero di follower e commenti) sguazzerà in uno shopping sfrenato di finti seguaci e commenti “copia e incolla”. In pratica: non cambierà nulla“.

Matteo Pogliani: “Chi lavora ed ha lavorato bene potrebbe essere sicuramente avvantaggiato, o meglio, non penalizzato dall’eliminazione di una metrica per lui non rilevante. Non sono tanti (purtroppo), ma ci sono brand e creator che da sempre hanno focalizzato la loro attenzione su commenti on topic, condivisioni, traffico al sito, kpi assolutamente più marketing oriented. Per loro significherebbe portare la contesa su un territorio amico e quindi certamente più performante”.

Cristiano Carriero: Un grosso vantaggio potrebbe coglierlo tutti questi performer come Buzzoole per fare un esempio. Il fatto che nascano tutte queste piattaforme le aziende pagano per avere tanti piccoli influencer e non le celebrities va sempre più in direzione della semplicità. Usare tanti microinfluencer che in maniera spontanea fanno molto di più di grandi celebrities è sicuramente un vantaggio per i brand perché questo dà più valore allo storytelling? E poi quante aziende si possono permettere influencer da 25 mila euro?”

Domilla Ferrari: “Per me vale quanto detto prima: questa situazione potrebbe portare vantaggi a tutti noi”.

Cristina Simone: Per me tutti gli attori in causa: addetti ai lavori (aziende e influencer) e utenti “normali”.
I primi potranno finalmente focalizzarsi sull’interazione che genera il contenuto e monitorare le conversazioni (a patto che siano reali) e non il semplice numero di cuoricini.
Molti addetti ai lavori si fermano a guardare il semplice numero, ma è fondamentale guardare cosa c’è dietro lo stesso. Anche perché i numeri sono facilmente gonfiabili. Sarebbe bello se togliessero anche il totale dei commenti che un post ha ricevuto. È positivo poi per gli influencer che, spesso, si guardano tra loro per vedere chi ha ricevuto un numero più alto di like. Infine, è positivo anche per gli utenti “normali” che possono tornare a prestare attenzione a quello che viene raccontato in un post. E non tanto al fatto che, se un post ha ricevuto tanti cuoricini, allora ci racconta per forza una cosa bella.

Instagram è un social bellissimo ma ha creato “l’ansia dei like”, specie nei più giovani.

Ultima domanda: ci regalate una sorta di stato dell’arte sull’infuencer marketing, non solo su Instagram ma in generale anche su altri social?

Raffaella Amoroso e Arianna Chieli: “Il 2019 è l’anno in cui l’Influencer Marketing ha raggiunto la sua maturità. I brand investono e continuano ad investire in campagne, ma con una maggiore attenzione alla qualità e alla misurabilità dei risultati.
Instagram continua a farla da padrone, seguito da YouTube e dalle nuove piattaforme molto amate dai più giovani come TikTok. Per quanto riguarda le collaborazioni, i brand cercano una relazione di più lunga durata: non un singolo post, ma la costruzione direlazioni a lungo termine con gli influencer giusti. La sfida è trovare nuovi modi creativi e rilevanti per collaborare con loro.
Sono i cosiddetti microinfluencer (con una fan base tra i 10 e i 100k) ad avere totalizzato il maggior numero di sponsored post, evidenza di come non sia più solo il numero di follower e like a dettare le regole della strategia.

Una delle evidenze dell’ultimo anno è una richiesta di maggiore trasparenza: le persone vogliono sapere quando un post è sponsorizzato e lo IAP, l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria in Italia, ha pubblicato una digital chart sulla riconoscibilità della comunicazione commerciale diffusa attraverso Internet che tutti, influencer e brand, sono tenuti a rispettare”.

Matteo Pogliani: “Se parliamo delll’Italia ci troviamo dinanzi ad un mercato in enorme fermento, ma ancora non del tutto maturo. Un mercato dove c’è soddisfazione e grande volontà di creare progetti (secondo il report ONIM quasi il 70% delle aziende si ritengono soddisfatte dei progetti e aumenteranno il budget dedicato all’IM), ma anche un approccio ancora poco professionale e focalizzato (solo il 30% delle realtà utilizza strumenti data driven per la selezione).
Instagram non è semplicemente il canale più utilizzato, è IL CANALE dell’influencer marketing. Qui vivono la stragrande maggioranza dei progetti, spunti anche dal ruolo determinante delle Stories, formato dalle grandi prestazioni e sempre più amato dagli utenti.
Andando oltre i dati, credo che i crescenti investimenti delle aziende porterà a breve ad un’evoluzione dell’influencer marketing in Italia, costringendo gli attori coinvolti a dar vita a campagne finalmente più strategiche, orientate cioè al risultato.
Una differenza netta che segnerà il brusco calo di quelle realtà “gonfiate” a favore di chi, invece, ha un approccio più articolato, in grado cioè di andare oltre numero follower e like. Una rivoluzione in un certo senso che intaccherà la “bolla” a cui stiamo assistendo, non decretando la fine dell’IM come pensano molti, quanto più riportandola al suo reale ruolo, premiando conseguentemente i veri professionisti”.

Domitilla Ferrari: “‘Niente più conta nella comunicazione’, scrive Gabriele Ferraresi nel libro Cortocircuito: Come politica, social media e post-ironia ci hanno fottuto il cervello, ‘Niente ha davvero importanza e allo stesso tempo tutto ne ha, se ci si ostina a leggerlo con i codici con cui siamo cresciuti. Codici che faremmo bene a mettere del tutto in discussione e piantarla una buona volta di sprecare energie mentali e tempo dietro al nulla. Che senso ha discutere di un Ministro degli Interni che su Instagram pubblica più post di Chiara Ferragni?’.

Il punto è che i social media hanno in parte sostituito non solo, ahimè, il ruolo informativo dei media, ma anche quello di intrattenimento, proprio attraverso la valorizzazione numerica di un indice di interesse evidente.

A me portano via tempo, quando voglio farmelo portare via. Per me i social media sono spesso anche uno svuotatesta, come un tempo – prima di abituarmi al binge watching – facevo zapping. Ma anche perdendo tempo seguo solo persone che stimo: la mia rete si costruisce così – come dicevo quagrazie alla stima che confesso di avere per l’intelligenza di quelli che decido di includere nella mia vita. Insomma, viva Internet ma: stop making stupid people famous.

Cristina Simone: “Mi piace seguire e analizzare i trend sul web. In questo momento, è innegabile l’attenzione (e i budget aziendali) su Instagram che ha letteralmente soppiantato altri social come Facebook o Twitter. In particolare su settori altamente fotogenici come il fashion, il food o il travel.

Ma una serie di fattori come la diffusione della consapevolezza del mondo dei fake, l’esperimento di IG, la crescita dell’instant messaging, ecc… stanno riportando la sensibilità e l’attenzione verso il contenuto. Non soltanto uno scorrere senza prestare attenzione ma un usufruire del contenuto. Le stories, il mezzo più effimero per eccellenza, scompaiono dopo 24h, ma il contenuto scritto se è utile agli utenti continua a vivere e portare risultati (a chi lo paga, a chi lo scrive e a chi lo legge).

Quindi il futuro lo vedo incentrato sui contenuti e, di conseguenza, rimarranno solo quegli influencer che hanno qualcosa da raccontare“.
E voi siete d’accordo? Scriveteci la vostra opinione tra i commenti.
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Cristina Maccarrone
Giornalista, con un passato da direttore responsabile e un presente oltre che da SEOcopywriter anche da formatrice di scrittura per il web. Collabora con varie testate e magazine aziendali e ha una passione sfrenata per il mondo del lavoro, i social media e i libri. Ma di carta. Ama chiacchierare, in particolare su Twitter dove la trovi come @cristinamacca
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martedì, 23 Aprile, 2024

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