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Il profilo dello startupper in Italia, boostrappa ma non molla

Che siano aziende già costituite (59%) o ancora progetti di impresa (41%), la formula più diffusa di finanziamento resta ancora il modello 3 F – “family, friends and foolsper il 40% delle idee presentate alla Mind the Bridge Competition di quest’anno. I giovani talenti, in prevalenza operanti al nord (39%) e al centro (34%) su imprese web based (60%) o ICT (25%), cercano finanziamenti da venture capital (69%), ma anche partner strategici (50%) che possano supportarli nei processi di sviluppo. Con un capitale medio raccolto di 71 mila euro, vince chi ha un’alta formazione e un’alta propensione alla mobilità. Ma sale la quota di chi si costituisce all’estero (9%) e si fa sempre più concreta la minaccia di un massiccio “corporate drain”.

I nostri giovani talenti non se la sentono proprio di mollare, anzi. Si stima siano almeno un migliaio le richieste di finanziamento che i venture capital fund e business angel network raggruppati intorno al VC Hub, il gruppo informale che raccoglie i principali investitori italiani, ricevono ogni anno. Un flusso che, pur in assenza di dati analitici, risulta in crescita significativa negli ultimi anni.  Su questi progetti si concentra l’attenzione della  Mind the Bridge Foundation che quest’anno, con il supporto scientifico del CrESIT dell’Università dell’Insubria di Varese, ha voluto comprendere in profondità il fenomeno attraverso un’analisi della “galassia” delle startup italiane che partecipano annualmente alla sua Business Plan Competition. Dall’analisi dei dati, presentati oggi da Alberto Onetti (Chairman della Mind the Bridge Foundation e Direttore del CrESIT) in occasione del Venture Camp in Sala Buzzati a Milano, emergono indicazioni estremamente interessanti per il 2011.

Innanzitutto gli obiettivi di queste giovani startup che, nel 69% dei casi, cercano un finanziamento daVenture Capital. Percentuale che sale fino al 76% se si restringe l’analisi alle società maggiormente strutturate. Al momento, il 40% del panel analizzato ha dichiarato di aver reperito fondi attraverso bootstrapping (risparmi dei fondatori e fondi raccolti all’interno del nucleo familiare o della rete di conoscenti, meglio noto come sistema “family, friends and fools”), mentre un 8% ha avuto accesso anche a grant (finanziamenti in genere destinati al supporto di attività di ricerca in ambito universitario) per coprire parte dei costi di sviluppo dell’idea nelle fasi iniziali. Il 23% ha trovato finanziamenti da investitori terzi, in prevalenza seed (fondi di investimento collegati ad attività di incubazione e business development, 15%) e solo in misura più limitata da venture capital (fondi di investimento specializzati nel capitale di rischio, 4%) e da business angels (tipo di investimenti in forma associata, 4%).

Ovviamente, restringendo l’analisi alle società già costituite (59%, contro un 41% di progetti di impresa) crescono le percentuali di accesso a capitali tramite seed (21%), business angels (6%) e venture capital (6%).

In particolare, se limitiamo l’analisi alle Top15 semifinaliste dell’edizione 2011, si nota come le fonti di funding siano ancora più articolate ed evolute: oltre al bootstrapping (47% dei casi) e a grant (20%), il40% circa dichiara di aver avuto accesso al seed financingil 7% a business angels ed il 13% a venture capital. Il capitale in media raccolto dalle startup ammonta a circa 71 mila euro (dato che presenta tuttavia un’elevata varianza) ma, se si considerano le sole Top15, il dato quasi raddoppia, salendo a 136 mila euro circa, a testimonianza di come i progetti migliori tendano a trovare maggiore accessoa capitali.

Tuttavia i soldi non sono tutto, si sa, persino nel business. Parallelamente, si fa sempre più forte (50% degli intervistati) l’esigenza di trovare un partnerstrategico che possa supportare le imprese nei processi disviluppo della business idea e portare le competenze al gruppo imprenditoriale esistente. Tendenza che trova conferma anche nell’analisi dei “company seeks” per le Top15. Difatti se tutte le migliori startup confermano di essere alla ricerca di capitali, una percentuale molto ampia(40%) cerca accordi strategici di partnership. I capitali servono, ma il successo non sembra quindi passare solo da quelli.

Le alleanze, i contatti, le conoscenza maturate negli anni servono infatti a costituire un ambiente più favorevole e, non a caso, le startup migliori sono quelle con gruppi imprenditoriali con unapropensione alla mobilità superiore rispetto alla media.

I dati mostrano come i talenti siano attratti da università con alta reputazionee un’offerta di programmi di formazione di eccellenza di cui la nascita di startup risulta una naturale conseguenza. Di qui lacriticità di investire nella ricerca e formazione universitaria se si vuole avere un ritorno in termini di nuove imprese innovative. Il popolo degli startupper manifesta una spiccata mobilità, anche internazionale. L’11% dei wannabe‐entrepreneur, una volta ottenuta la laurea triennale, decide di spostarsi verso altre regioni italiane (6%) o all’estero (5%) per proseguire gli studi con un master di primo livello e, tra coloro che inseguono un dottorato di ricerca o un MBA, la percentuale di spostamento sale al 40%: il 20% va all’estero, mentre il restante 20% si muove verso altre regioni italiane”.

Uno spostamento che in alcuni casi può divenire addirittura definitivo.

Una percentuale importante (9%) – e in crescita nel tempo – di startup ha deciso di costituirsi all’estero. – commenta Alberto Onetti –  Questo dato sembra segnalare una carenza di attrattività del nostro paese. Dal momento che oltre il 40% è rappresentato da progetti di impresa (‘wannabe startup’) non ancora costituiti in società, oggi come non mai diventa fondamentale investire nella ricerca e nella formazione universitaria se si vuole avere un ritorno in termini di nuove imprese innovative e se si vuole evitare, oltre a fughe di cervelli, anche un massiccio ‘corporate drain’ “.

Ma chi sono gli startupper italiani e in quali settori operano? Il profilo medio che emerge è costituito damaschi (ancora limitata la presenza femminile, sia pure lievemente  in crescita rispetto allo scorso anno), trentaduenni, residenti al Centro (39%) o al Nord Italia (35%), laureati e spesso in possesso di un Master o di un Dottorato di Ricerca. Il campo di operatività nell’85% dei casi è rappresentato dalweb e dalle ICT. Numericamente inferiore risulta invece il ruolo delle imprese operanti nelle clean technologies (10%) e in ambito biotech/life sciences (5%).

I dati su età media e formazione segnalano inoltre come quello dell’imprenditore sia un mestiere che si impara sul campo, che richiede conoscenze di alto livello ed esperienza: l’80% degli startupper, prima dell’avvio della propria attività imprenditoriale, ha lavorato in azienda mediamente per 6/7 anni. Nel 33% dei casi tale esperienza lavorativa è stata svolta all’estero. Questa percentuale supera il 50% se si considerano le Top15 startup.

Da non sottovalutare, infine, il fatto che 1 founder su 5 è alla sua seconda startup – concludeMarco Marinucci, fondatore di Mind the Bridge – e che nel 20% dei casi la precedente esperienza imprenditoriale è stata fatta all’estero. Tra le Top15 la percentuale di serial entrepreneur sale al 35%, così come la quota di startup incorporate all’estero (4 su 10). Da segnalare come il 75% delle aziende precedenti siano ancora attive e come, nel 61% dei casi, gli imprenditori continuino ad esservi coinvolti. Un fatto che sottolinea due aspetti che caratterizzano fortemente la figura dello ‘startupper’, ovvero l’importanza del ‘pivoting’ e il carattere seriale del ‘mestiere dell’imprenditore’ che si perfeziona solo facendolo”.

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Franz Russo Blogger, Digital Strategist
Franz Russo, fondatore, nel 2008, del blog InTime, ho collaborato con grandi aziende nazionali e internazionali, come consulente per strategie di comunicazione e come divulgatore. Da sempre impegnato nella comunicazione digitale, cerco di unire sempre una profonda passione per l’innovazione tecnologica a una visione olistica dell’evoluzione dei social media e degli strumenti digitali. Il mio percorso professionale in questo campo, iniziato nel 2007, è stato caratterizzato da un costante impegno nel raccontare e interpretare i cambiamenti nel panorama digitale. Il mio approccio si basa su un mix di analisi strategica, creatività e un profondo impegno per il racconto e la divulgazione.
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